Un momento della presentazione del libro nella Chiesa Madre |
Sin dalle primissime pagine il volume di Francesco Marsalisi e di Calogero Ridulfo, pone la chiesa di San Martino come spazio aperto all’attività e all’incontro di tanti artisti siciliani e non. I documenti reperiti sul cantiere della chiesa nel XV secolo, periodo dell’ampliamento di cui parla Costantino Bruno, oltre a dare notizia dei mastri marammieri ci informano già su tante altre figure di artisti che a vario titolo concorrono all’abbellimento dell’“Ecclesia Sancti Martini”.
Si ricorda, ad esempio, lo stazzunaru Nardinus Stanchella o lo scalpellino, impegnato nell’esecuzione del lavoro d’intaglio della porta d’ingresso, Manfridus De Messana, finora non conosciuto, probabile congiunto di uno dei pittori messinesi con tale cognome, Agostino o Francesco, quest’ultimo, individuato da Geneviève Bresc Bautier e attivo a Palermo nel 1411, o uno dei componenti dell’omonima famiglia citata in vari documenti relativi alla maramma della Cattedrale di Palermo.
Nonostante le attività
di rimaneggiamento procedessero “con un ritmo commisurato alla lentezza del
recupero delle risorse”, la chiesa veniva dotata di pregevoli opere, tra cui si
ricorda la cassettina reliquiaria in argento e argento dorato e smalti, di
argentiere senese o siciliano del 1401, commissionata da Johannes de Camerana,
citata da Salvatore Mangano, per la prima volta scientificamente studiata da
Giovanni Travagliato.
Purtroppo sono perduti
i diversi ornamenti e le suppellettili che il presbitero Vincenzo Puraria
lascia nel testamento del 1449, rintracciato dagli autori, all’altare di San
Paolino della Maggiore Chiesa.
Tale arricchimento
artistico culminerà nelle importanti committenze dall’ultimo scorcio del
Quattrocento in avanti ad importanti maestri ad ornamento dei nuovi altari: Guglielmo
da Pesaro, Tommaso de Vigilia, Antonello Gagini, Pietro Ruzzolone, Vincenzo
degli Azani, più conosciuto come Vincenzo da Pavia, o meglio la sua cerchia
pittorica, di cui si sono tanto occupati Gioacchino Di Marzo, Stefano Bottari,
Maria Grazia Paolini, Maria Concetta Di Natale, Vincenzo Abbate, Teresa
Pugliatti, Antonino Giuseppe Marchese e Giovanni Mendola. Tra i tanti artisti
coinvolti si citano ancora Girolamo Paladino, Cristoforo Guastapani e i
corleonesi Nicola Milazzo, Giacomo, Giovanni e Michele Scaturro.
Agli inizi del XVI
secolo la chiesa veniva dotata di altre interessanti suppellettili in argento
eseguite da abili argentieri siciliani, come la navetta portaincenso e il
turibolo architettonico, che ripropone un’architettura tardo gotica di impronta
spagnola, raro esemplare siciliano di così tarda datazione poiché estremamente
deteriorabile per il continuo surriscaldamento cui è sottoposto.
Le visite pastorali
relative alla Chiesa Madre, stilate sin dal 1574, meticolosamente analizzate
dagli autori, sono un’importante fonte di notizie, permettono di conoscere, ad
esempio, l’ubicazione o la successione cronologica delle tante cappelle della
chiesa, quasi tutte fondate da facoltose famiglie, ma anche il loro corredo
artistico, accresciuto o migliorato dagli ordini impartiti dagli arcivescovi pro-tempore.
Già nel 1596 Ludovico
II Torres, ordinava di far dipingere la cornice della “tavola della Gloria”
della grande cona collocata nella
tribuna, raffigurante nella parte centrale la Vergine delle Grazie con
San Pietro, San Paolo, San Martino e Sant’Antonino.
L’opera, come
suggeriscono gli autori, dovrebbe corrispondere a quella descritta in un rogito
del 16 maggio 1488 rintracciato dalla Bresc Bautier tra le carte del notaio
Giuliano Fuxillaro, oggi all’Archivio di Stato di Palermo. Avvalora
ulteriormente tale ipotesi la lettura attenta del manoscritto del Bruno che
ancora nel 1787 non solo poteva ammirarla, ma ne leggeva pure l’iscrizione che
riportava oltre alla data (1491) anche il nome dell’autore.
Per la cona, precedentemente iniziata da
Guglielmo da Pesaro, incompiuta per la sopravvenuta morte di quest’ultimo, cui
concordemente oggi si attribuisce il polittico dell’“Incoronazione della
Vergine” di Palazzo Abatellis, già nel monastero del SS. Salvatore, l’Universitas di Corleone doveva versare
al De Vigilia ben 190 onze. Quest’ultimo era, infatti, il pittore più richiesto
dalla committenza della Sicilia occidentale della seconda metà del XV secolo e
numerose sono le opere a lui riferite dalle fonti, purtroppo perdute. Come
osserva Maria Concetta Di Natale, che al De Vigilia ha dedicato pure una monografia,
«Egli riesce a rielaborare con gusto personale forme diverse, senza risultare eclettico,
creando un’arte tipologicamente affine a quella di Angiolillo Arcuccio, attivo
a Napoli e legato” ad esempi valenzani, “che però Tommaso unisce agli influssi
catalani … Sono presenti inoltre nel pittore caratteri tipicamente italiani, da
quelli “marchigiani” a quelli
“liguri-piemontesi”» (Di Natale, in Sarullo 1993).
Un altro artista che
pare operasse in Chiesa Madre è il citato Giovanni Scaturro, capostipite della
famiglia di scultori lignei attivi tra il XV e il XVI secolo, arricchendo la
zona presbiterale con un Crocifisso ligneo, esemplare poi ripetuto, nel 1469,
nell’analoga opera che lo stesso scultore realizzerà per la chiesa di San
Pietro della stessa terra, su incarico del presbitero Pino de Catalano (De
Marco 2003).
Relativamente all’altare
della Madonna del Rosario un documento notarile del 1522, riportato da
Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo, riferisce dell’intervento del pittore
Pietro Ruzzolone per l’arricchimento dell’altare della Vergine. Dell’artista
palermitano, attivo tra la seconda metà del XV e la prima metà del XVI
secolo, paragonato nel 1630 da Francesco
Barone e Manfredi a Raffaello, si ricordano tra l’altro la croce dipinta della
Maggior Chiesa di Termini Imerese studiata da Maria Concetta Di Natale, che ne
ricostruisce in più occasioni la brillante attività. Il Ruzzolone a Corleone,
su incarico di Andrea Giaconia, procuratore degli eredi di Vincenzo Gotto,
doveva realizzare tra l’altro una tela dello Spasimo e due immagini di San
Sebastiano e San Giovanni Battista per la cappella nobiliare dei citati eredi.
Un’altra pittura a fresco dell’artista per l’altare dell’illustre famiglia
doveva invece raffigurare la
Madonna.
Il pittore continuerà
ancora a lavorare a Corleone nel 1523, anno in cui sarà incaricato da Giovanni
De Pittacolis di dipingere un quadro per la cappella del nobile nella chiesa di
San Giovanni Battista (Marchese 2003).
Le coincidenze fra la
dettagliata committenza dell’affresco citato e l’iconografia che presenta la
tela della Madonna del Rosario, ancora custodita nella maggiore chiesa
cittadina, riferita dalla De Castro ad ignoto autore del 1595, fanno ipotizzare
agli autori, che si riservano comunque di fare ulteriori approfondimenti in
merito, una variazione dell’accordo stipulato e non una ripresa
dell’iconografia esistente.
Nella cappella dei
Giaconia era collocato il fonte battesimale in marmo ancora esistente, che
commissionò don Andrea nel 1537, come riporta l’iscrizione, ritenuto opera di
Antonello Gagini. Nel 1512 lo scultore realizzava pure un’acquasantiera
marmorea per la Chiesa
Madre con una storietta, dubitativamente identificata dal Di
Marzo con la formella raffigurante il Battesimo di Cristo, tuttora nella
chiesa. L’artista, autore della pregevole Madonna
con Bambino della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis,
già nel monastero della Maddalena, pare dovesse realizzare nella Chiesa Madre
di Corleone un retablo marmoreo, purtroppo mai eseguito per l’eccessivo costo.
Lo studio del
testamento di Giovanni Sarzana del 14 agosto XII Ind. 1448, rintracciato da
Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo, dà notizia della volontà del testatore
di costruire una grande cappella gentilizia nella Chiesa Madre (da identificare
con la Cappella
della Pietà), poi distrutta nella prima metà del XVII secolo per la costruzione
della nuova sacrestia, ed ancora del suo decoro dovendo essere arricchita dalla
raffigurazione dell’Ascensione della Vergine e della Natività di Gesù. Un altro
manoscritto di casa Sarzana esaminato dagli autori riporta la commissione delle
suddette tele, da parte del cugino Filippo, al pittore Tommaso de Vigilia,
mettendo in risalto l’alta opinione che la comunità corleonese aveva del grande
artista del Quattrocento, più volte documentato negli anni successivi a
lavorare per la città di Corleone. Nel 1489, ad esempio, secondo quanto riporta
un documento pubblicato dal Marchese, è incaricato dal secreto della città,
Giacomo Milazzo, per dipingere due quadri raffiguranti San Francesco d’Assisi e
sant’Antonino.
La famiglia Sarzana
dopo il passaggio della cappella della Pietà ai Marraccio fonda quella
dell’Ascensione, dal titolo del dipinto del De Vigilia, già nell’altra
collocazione, trasferito nella nuova, ma di cui si perdono purtroppo le tracce.
Tutte le sacre visite della fine del Cinquecento, sottolineano gli autori,
citano a suo ornamento la tela della Madonna delle Grazie con Sant’Agnese e
Santa Caterina.
Il nome dello
stuccatore messinese Francesco Puzzo si lega alla decorazione plastica
dell’antica cappella del fonte battesimale dedicata a San Martino, raffigurato
sopra l’arco. L’artista sarà un probabile antenato degli stuccatori attivi nei
primi decenni del Settecento, Giovanni e Pietro Puzzo, operanti nell’entroterra
siciliano. Il primo era impegnato nella decorazione plastica della cappella del
SS. Sacramento dell’Ospedale dei Bianchi di Corleone, mentre il secondo,
oriundo da Partanna, ma abitante a Chiusa Sclafani, eseguiva gli stucchi della
cappella del Crocifisso e quelli del presbiterio della chiesa di Maria SS. del
Balzo a Bisacquino ed era ancora attivo a Salaparuta e a Bivona.
Il lungo cantiere della Chiesa Madre di
Corleone vede impegnati nel 1608 due intagliatori della città di Palermo,
Antonino Perricone, appartenente certamente alla famiglia di intagliatori e
scalpellini palermitani dei secoli XVII e XVIII, e Ascanio Cappadoro, pure del
capoluogo siciliano, per l’esecuzione di tre “portas lapideas” della chiesa.
Altro artista attivo
nella Chiesa di San Martino è Girolamo Paladino, pittore originario di Sutera,
sulla cui attività si è soffermato per primo Giovanni Mendola (2001), che
eseguiva nel 1593-1594 I Quattro Santi
coronati per l’altare dell’omonima cappella concessa ai muri fabbri,
committenti dell’opera. L’ecclesia
corleonese custodisce altre due tele dell’artista: La sacra Famiglia con i Santi Elisabetta, Zaccaria e Giovannino del
primo decennio del XVII secolo, proveniente dalla chiesa della Madonna delle
Grazie, e il San Domenico di Soriano,
datato 1623.
Lo spazio sacro venne
dotato di stucchi nel 1619, ad opera del magister Nicolò Bosco o Lo Bosco (Marchese
2003), che già nel 1617 si era obbligato con il procuratore del monastero del
SS. Salvatore per “stucchiari la chiesa” e nel 1640 sarà ancora attivo a
Corleone per eseguire simili lavori nella chiesa del Carmine.
Non sempre
rintracciabili sono purtroppo i numerosi arredi citati nei tanti inventari,
testamenti e donazioni reperiti dagli autori.
Nel 1512 Cristoforo
Guastapani, che assunse la cittadinanza corleonese e vi lavorò a lungo, veniva
ingaggiato per dipingere il “cielo” della cappella di San Vincenzo della Chiesa
Madre che gli autori identificano con quella successivamente detta dello
Spasimo, il cui altare maggiore sarà arricchito da una tela raffigurante
proprio lo Spasimo, commissionata a Mariano Paganelli, pittore palermitano
abitante a Corleone, nel 1575, che doveva essere “simili alla figura seu quatro
de lo Spasimo existente in lo devoto Monasterio di li frati di Santa Maria di
Monte Oliveto” di Palermo (De Marco 2003), oggi custodito al Museo del Prado di
Madrid.
Nel 1647 un altro
artista, il plastificatore Giovanni Travaglia, zio materno di Giacomo
Serpotta, operava nella Maggior Chiesa dell’animosa civitas. Ad essere arricchita da
stucchi era tutta la navata, inclusi gli archi e le colonne da ornare con
puttini, angeli e “mascaruni”.
Oltre un secolo dopo fu
avviata la grande ricostruzione settecentesca della Chiesa Madre, che distrusse
tali opere e già nel 1782 un altro artista, mastro Luca Colaianni, documentato
da un atto di obbligazione rinvenuto da Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo,
si obbligava, assieme al murifabbro Antonino Canzoneri, ad intonacare con
stucco il Cappellone, la Cupola e il Te.
Lo stuccatore
corleonese operava attivamente nell’entroterra palermitano e già nel 1773 aveva
eseguito con Gabriele Messina e Giuseppe Ragusa gli stucchi della chiesa di San
Francesco di Assisi a Bisacquino (Margiotta 2002) e nel 1797 eseguirà con
Francesco Manera di Chiusa l’ornamentazione plastica della chiesa del Carmine
di Giuliana, oggi Santuario di Maria SS. Dell’Udienza (Marchese 2002)
Dal 31 agosto 1782
indorerà gli stucchi della Chiesa Madre di Corleone don Bernardo Cammarata,
finora non documentato.
Nello stesso giorno il
pittore Carmelo Salpietra, nativo di Corleone, ma abitante a Palermo, allievo
di Vito D’Anna, assieme ai Manno, a Giuseppe Testa, a Tommaso Pollace, veniva
incaricato di raffigurare i quattro evangelisti nelle vele del Te (De Marco
2003).
Negli anni successivi
si alternano diversi indoratori. Gli autori rintracciano, tra le tante carte
consultate presso l’Archivio Storico della Chiesa Madre di San Martino, alcune
quietanze di pagamento ad Antonino Pellegrino (31 agosto 1783), noto per avere
eseguito nel 1776 dorature dentro il palazzo Santa Croce-Sant’Elia di Palermo,
della cui attività si ricordano i lavori al Real Albergo dei Poveri del
capoluogo siciliano (1779), la decorazione della Basilica di Sant’Anna a Santa Flavia,
le pitture in oro dell’altare maggiore ligneo della chiesa di S. Antonio abate
di Palermo (1789), ove, come ricorda Angela Mazzè (1979), realizzava pure
candelieri e pitture a finto avorio.
Altri indoratori attivi
nella Chiesa Madre di Corleone sono Gaetano Mannina (31 agosto 1784), e Pietro
Orlando. La documentazione reperita dagli autori riporta pure il nome di Pietro
Marsala per lavori di stucco e indoratura.
Il cantiere
settecentesco va ancora avanti nel 1784 con la realizzazione della pavimentazione
in marmo del Coro e del Te affidata ai marmorari Matteo Tabbita e Giuseppe
Gerardi.
Felice da Sambuca, il
famoso frate-pittore che visse e operò nel XVIII secolo, nel 1787 dipinse tre
tele per la nuova chiesa raffigurando San Martino, purtroppo distrutta
dall’incendio che interesserà la tribuna nel 1949, San Leoluca e il Beato
Bernardo. Tra le numerose tele del sambucese, custodite in Chiesa Madre si
ricordano quelle provenienti dal convento locale dei Padri Cappuccini,
trasferite in seguito alla legge di soppressione degli enti ecclesiastici, molte
delle quali già segnalate da Maria Accascina in un suo articolo dal titolo Itinerari provinciali – A Corleone senza
“Mastro Simuni”, pubblicato il 3 dicembre 1938 sul “Giornale di Sicilia”.
Tornando ai documenti
rintracciati da Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo emerge un altro nome di
artigiano-artista: mastro Ciro Messineo, che rimodella l’antico coro eseguito
negli anni 1584-1588 da Giuseppe Li Volsi senior e Giuseppe Li Volsi junior per
adeguarlo al nuovo presbiterio.
Dopo i lavori di
consolidamento statico della chiesa, conclusi intorno al 1840, è documentato
Teodoro Guarneri, per l’esecuzione degli stucchi delle tre navate e delle
cappelle, ma i lavori non proseguirono per molto tempo e pare interessarono
solo la navata centrale.
Solo nel 1904 la chiesa
viene ultimata con stucchi e pitture. Ad eseguire la decorazione ornamentale
ancora mancante della navata centrale, da quanto attesta la dettagliata
documentazione rintracciata dagli autori, sarà Francesco Livigni. I lavori,
conclusi nel 1911, includevano l’arricchimento plastico delle lesene, delle
finestre, degli stipiti, degli archi e dei pilastoni. “Di stucco – scrivono gli
autori – dovevano realizzarsi i cherubini, le conchiglie, le cartelle, pendenti
di fiori, pendenti di frutta, capitelli ionici, la cornice della navata
maggiore per l’affresco di San Martino, cornici per le figure degli apostoli ed
ancora gli archi delle lunette”.
Nel 1913 una generosa
donazione permise di incaricare il pittore Filippo Fazzoni per dipingere la
volta della navata centrale con scene della vita di San Martino, che possiamo
ancora ammirare.
Gli autori non mancano
di ricordare tra gli artisti attivi nella Chiesa Madre, a conclusione di questo
excursus, Biagio Governale, autore
del portone bronzeo con episodi della Bibbia eseguito nel 1988 sotto l’attenta
reggenza del decano don Vincenzo Pizzitola.
Ora concludo,
congratulandomi con Francesco Marsalisi e Carmelo Ridulfo per l’interessante
volume, e sperando che a questo possa seguire la catalogazione, già avviata, di
tutte le opere d’arte, e in particolar modo delle meno studiate suppellettili
liturgiche e dei parati sacri della chiesa di San Martino, facendola confluire
in un’altra pubblicazione a testimonianza del grande impegno di illuminati
committenti. Tale progetto potrebbe bene inserirsi nel programma di convenzione
tra la diocesi di Monreale e i Comuni che ne fanno parte e l’ateneo
palermitano, all’interno del quale opera l’Osservatorio per le Arti decorative
in Italia “M. Accascina”, diretto da Maria Concetta Di Natale, e a cui pure io
collaboro, che annovera tra i suoi fini istituzionali la conoscenza, la
divulgazione e la valorizzazione delle opere d’arte decorativa in Italia,
partendo dalla Sicilia, territorio in cui esse hanno avuto uno sviluppo
particolare e maggiormente variegato rispetto a tutte le regioni peninsulari.
Il protocollo d’intesa,
già siglato dall’arcivescovo di Monreale Salvatore Di Cristina, e avallato dal
consiglio municipale di Corleone deliberando positivamente in merito, sarà
firmato pubblicamente da tutti i sindaci dei Comuni della diocesi entro breve
tempo allo Steri, alla presenza del Magnifico Rettore.
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