sabato, novembre 24, 2012

Ecclesia Sancti Martini. Storia e arte della Chiesa Madre di Corleone

Un momento della presentazione del libro nella Chiesa Madre
Relazione della prof.ssa ROSALIA FRANCESCA MARGIOTTA, Docente a contratto dell'Università degli Studi di Palermo svolta il 17 novembre durante la presentazione del libro di Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo
Sin dalle primissime pagine il volume di Francesco Marsalisi e di Calogero Ridulfo, pone la chiesa di San Martino come spazio aperto all’attività e all’incontro di tanti artisti siciliani e non. I documenti reperiti sul cantiere della chiesa nel XV secolo, periodo dell’ampliamento di cui parla Costantino Bruno, oltre a dare notizia dei mastri marammieri ci informano già su tante altre figure di artisti che a vario titolo concorrono all’abbellimento dell’“Ecclesia Sancti Martini”.


Si ricorda, ad esempio, lo stazzunaru Nardinus Stanchella o lo scalpellino, impegnato nell’esecuzione del lavoro d’intaglio della porta d’ingresso, Manfridus De Messana, finora non conosciuto, probabile congiunto di uno dei pittori messinesi con tale cognome, Agostino o Francesco, quest’ultimo, individuato da Geneviève Bresc Bautier e attivo a Palermo nel 1411, o uno dei componenti dell’omonima famiglia citata in vari documenti relativi alla maramma della Cattedrale di Palermo.

Nonostante le attività di rimaneggiamento procedessero “con un ritmo commisurato alla lentezza del recupero delle risorse”, la chiesa veniva dotata di pregevoli opere, tra cui si ricorda la cassettina reliquiaria in argento e argento dorato e smalti, di argentiere senese o siciliano del 1401, commissionata da Johannes de Camerana, citata da Salvatore Mangano, per la prima volta scientificamente studiata da Giovanni Travagliato.
Purtroppo sono perduti i diversi ornamenti e le suppellettili che il presbitero Vincenzo Puraria lascia nel testamento del 1449, rintracciato dagli autori, all’altare di San Paolino della Maggiore Chiesa.
Tale arricchimento artistico culminerà nelle importanti committenze dall’ultimo scorcio del Quattrocento in avanti ad importanti maestri ad ornamento dei nuovi altari: Guglielmo da Pesaro, Tommaso de Vigilia, Antonello Gagini, Pietro Ruzzolone, Vincenzo degli Azani, più conosciuto come Vincenzo da Pavia, o meglio la sua cerchia pittorica, di cui si sono tanto occupati Gioacchino Di Marzo, Stefano Bottari, Maria Grazia Paolini, Maria Concetta Di Natale, Vincenzo Abbate, Teresa Pugliatti, Antonino Giuseppe Marchese e Giovanni Mendola. Tra i tanti artisti coinvolti si citano ancora Girolamo Paladino, Cristoforo Guastapani e i corleonesi Nicola Milazzo, Giacomo, Giovanni e Michele Scaturro.
Agli inizi del XVI secolo la chiesa veniva dotata di altre interessanti suppellettili in argento eseguite da abili argentieri siciliani, come la navetta portaincenso e il turibolo architettonico, che ripropone un’architettura tardo gotica di impronta spagnola, raro esemplare siciliano di così tarda datazione poiché estremamente deteriorabile per il continuo surriscaldamento cui è sottoposto.
Le visite pastorali relative alla Chiesa Madre, stilate sin dal 1574, meticolosamente analizzate dagli autori, sono un’importante fonte di notizie, permettono di conoscere, ad esempio, l’ubicazione o la successione cronologica delle tante cappelle della chiesa, quasi tutte fondate da facoltose famiglie, ma anche il loro corredo artistico, accresciuto o migliorato dagli ordini impartiti dagli arcivescovi pro-tempore.
Già nel 1596 Ludovico II Torres, ordinava di far dipingere la cornice della “tavola della Gloria” della grande cona collocata nella tribuna, raffigurante nella parte centrale la Vergine delle Grazie con San Pietro, San Paolo, San Martino e Sant’Antonino.
L’opera, come suggeriscono gli autori, dovrebbe corrispondere a quella descritta in un rogito del 16 maggio 1488 rintracciato dalla Bresc Bautier tra le carte del notaio Giuliano Fuxillaro, oggi all’Archivio di Stato di Palermo. Avvalora ulteriormente tale ipotesi la lettura attenta del manoscritto del Bruno che ancora nel 1787 non solo poteva ammirarla, ma ne leggeva pure l’iscrizione che riportava oltre alla data (1491) anche il nome dell’autore.
Per la cona, precedentemente iniziata da Guglielmo da Pesaro, incompiuta per la sopravvenuta morte di quest’ultimo, cui concordemente oggi si attribuisce il polittico dell’“Incoronazione della Vergine” di Palazzo Abatellis, già nel monastero del SS. Salvatore, l’Universitas di Corleone doveva versare al De Vigilia ben 190 onze. Quest’ultimo era, infatti, il pittore più richiesto dalla committenza della Sicilia occidentale della seconda metà del XV secolo e numerose sono le opere a lui riferite dalle fonti, purtroppo perdute. Come osserva Maria Concetta Di Natale, che al De Vigilia ha dedicato pure una monografia, «Egli riesce a rielaborare con gusto personale forme diverse, senza risultare eclettico, creando un’arte tipologicamente affine a quella di Angiolillo Arcuccio, attivo a Napoli e legato” ad esempi valenzani, “che però Tommaso unisce agli influssi catalani … Sono presenti inoltre nel pittore caratteri tipicamente italiani, da quelli “marchigiani” a quelli  “liguri-piemontesi”» (Di Natale, in Sarullo 1993).
Un altro artista che pare operasse in Chiesa Madre è il citato Giovanni Scaturro, capostipite della famiglia di scultori lignei attivi tra il XV e il XVI secolo, arricchendo la zona presbiterale con un Crocifisso ligneo, esemplare poi ripetuto, nel 1469, nell’analoga opera che lo stesso scultore realizzerà per la chiesa di San Pietro della stessa terra, su incarico del presbitero Pino de Catalano (De Marco 2003).
Relativamente all’altare della Madonna del Rosario un documento notarile del 1522, riportato da Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo, riferisce dell’intervento del pittore Pietro Ruzzolone per l’arricchimento dell’altare della Vergine. Dell’artista palermitano, attivo tra la seconda metà del XV e la prima metà del XVI secolo,  paragonato nel 1630 da Francesco Barone e Manfredi a Raffaello, si ricordano tra l’altro la croce dipinta della Maggior Chiesa di Termini Imerese studiata da Maria Concetta Di Natale, che ne ricostruisce in più occasioni la brillante attività. Il Ruzzolone a Corleone, su incarico di Andrea Giaconia, procuratore degli eredi di Vincenzo Gotto, doveva realizzare tra l’altro una tela dello Spasimo e due immagini di San Sebastiano e San Giovanni Battista per la cappella nobiliare dei citati eredi. Un’altra pittura a fresco dell’artista per l’altare dell’illustre famiglia doveva invece raffigurare la Madonna.
Il pittore continuerà ancora a lavorare a Corleone nel 1523, anno in cui sarà incaricato da Giovanni De Pittacolis di dipingere un quadro per la cappella del nobile nella chiesa di San Giovanni Battista (Marchese 2003).
Le coincidenze fra la dettagliata committenza dell’affresco citato e l’iconografia che presenta la tela della Madonna del Rosario, ancora custodita nella maggiore chiesa cittadina, riferita dalla De Castro ad ignoto autore del 1595, fanno ipotizzare agli autori, che si riservano comunque di fare ulteriori approfondimenti in merito, una variazione dell’accordo stipulato e non una ripresa dell’iconografia esistente.
Nella cappella dei Giaconia era collocato il fonte battesimale in marmo ancora esistente, che commissionò don Andrea nel 1537, come riporta l’iscrizione, ritenuto opera di Antonello Gagini. Nel 1512 lo scultore realizzava pure un’acquasantiera marmorea per la Chiesa Madre con una storietta, dubitativamente identificata dal Di Marzo con la formella raffigurante il Battesimo di Cristo, tuttora nella chiesa. L’artista, autore della pregevole Madonna con Bambino della Galleria Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis, già nel monastero della Maddalena, pare dovesse realizzare nella Chiesa Madre di Corleone un retablo marmoreo, purtroppo mai eseguito per l’eccessivo costo.
Lo studio del testamento di Giovanni Sarzana del 14 agosto XII Ind. 1448, rintracciato da Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo, dà notizia della volontà del testatore di costruire una grande cappella gentilizia nella Chiesa Madre (da identificare con la Cappella della Pietà), poi distrutta nella prima metà del XVII secolo per la costruzione della nuova sacrestia, ed ancora del suo decoro dovendo essere arricchita dalla raffigurazione dell’Ascensione della Vergine e della Natività di Gesù. Un altro manoscritto di casa Sarzana esaminato dagli autori riporta la commissione delle suddette tele, da parte del cugino Filippo, al pittore Tommaso de Vigilia, mettendo in risalto l’alta opinione che la comunità corleonese aveva del grande artista del Quattrocento, più volte documentato negli anni successivi a lavorare per la città di Corleone. Nel 1489, ad esempio, secondo quanto riporta un documento pubblicato dal Marchese, è incaricato dal secreto della città, Giacomo Milazzo, per dipingere due quadri raffiguranti San Francesco d’Assisi e sant’Antonino.  
La famiglia Sarzana dopo il passaggio della cappella della Pietà ai Marraccio fonda quella dell’Ascensione, dal titolo del dipinto del De Vigilia, già nell’altra collocazione, trasferito nella nuova, ma di cui si perdono purtroppo le tracce. Tutte le sacre visite della fine del Cinquecento, sottolineano gli autori, citano a suo ornamento la tela della Madonna delle Grazie con Sant’Agnese e Santa Caterina.
Il nome dello stuccatore messinese Francesco Puzzo si lega alla decorazione plastica dell’antica cappella del fonte battesimale dedicata a San Martino, raffigurato sopra l’arco. L’artista sarà un probabile antenato degli stuccatori attivi nei primi decenni del Settecento, Giovanni e Pietro Puzzo, operanti nell’entroterra siciliano. Il primo era impegnato nella decorazione plastica della cappella del SS. Sacramento dell’Ospedale dei Bianchi di Corleone, mentre il secondo, oriundo da Partanna, ma abitante a Chiusa Sclafani, eseguiva gli stucchi della cappella del Crocifisso e quelli del presbiterio della chiesa di Maria SS. del Balzo a Bisacquino ed era ancora attivo a Salaparuta e a Bivona.
 Il lungo cantiere della Chiesa Madre di Corleone vede impegnati nel 1608 due intagliatori della città di Palermo, Antonino Perricone, appartenente certamente alla famiglia di intagliatori e scalpellini palermitani dei secoli XVII e XVIII, e Ascanio Cappadoro, pure del capoluogo siciliano, per l’esecuzione di tre “portas lapideas” della chiesa.
Altro artista attivo nella Chiesa di San Martino è Girolamo Paladino, pittore originario di Sutera, sulla cui attività si è soffermato per primo Giovanni Mendola (2001), che eseguiva nel 1593-1594 I Quattro Santi coronati per l’altare dell’omonima cappella concessa ai muri fabbri, committenti dell’opera. L’ecclesia corleonese custodisce altre due tele dell’artista: La sacra Famiglia con i Santi Elisabetta, Zaccaria e Giovannino del primo decennio del XVII secolo, proveniente dalla chiesa della Madonna delle Grazie, e il San Domenico di Soriano, datato 1623.
Lo spazio sacro venne dotato di stucchi nel 1619, ad opera del magister Nicolò Bosco o Lo Bosco (Marchese 2003), che già nel 1617 si era obbligato con il procuratore del monastero del SS. Salvatore per “stucchiari la chiesa” e nel 1640 sarà ancora attivo a Corleone per eseguire simili lavori nella chiesa del Carmine.
Non sempre rintracciabili sono purtroppo i numerosi arredi citati nei tanti inventari, testamenti e donazioni reperiti dagli autori.
Nel 1512 Cristoforo Guastapani, che assunse la cittadinanza corleonese e vi lavorò a lungo, veniva ingaggiato per dipingere il “cielo” della cappella di San Vincenzo della Chiesa Madre che gli autori identificano con quella successivamente detta dello Spasimo, il cui altare maggiore sarà arricchito da una tela raffigurante proprio lo Spasimo, commissionata a Mariano Paganelli, pittore palermitano abitante a Corleone, nel 1575, che doveva essere “simili alla figura seu quatro de lo Spasimo existente in lo devoto Monasterio di li frati di Santa Maria di Monte Oliveto” di Palermo (De Marco 2003), oggi custodito al Museo del Prado di Madrid.
Nel 1647 un altro artista, il plastificatore Giovanni Travaglia, zio materno di Giacomo Serpotta,  operava nella Maggior Chiesa dell’animosa civitas. Ad essere arricchita da stucchi era tutta la navata, inclusi gli archi e le colonne da ornare con puttini, angeli e “mascaruni”.
Oltre un secolo dopo fu avviata la grande ricostruzione settecentesca della Chiesa Madre, che distrusse tali opere e già nel 1782 un altro artista, mastro Luca Colaianni, documentato da un atto di obbligazione rinvenuto da Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo, si obbligava, assieme al murifabbro Antonino Canzoneri, ad intonacare con stucco il Cappellone, la Cupola e il Te.
Lo stuccatore corleonese operava attivamente nell’entroterra palermitano e già nel 1773 aveva eseguito con Gabriele Messina e Giuseppe Ragusa gli stucchi della chiesa di San Francesco di Assisi a Bisacquino (Margiotta 2002) e nel 1797 eseguirà con Francesco Manera di Chiusa l’ornamentazione plastica della chiesa del Carmine di Giuliana, oggi Santuario di Maria SS. Dell’Udienza (Marchese  2002)
Dal 31 agosto 1782 indorerà gli stucchi della Chiesa Madre di Corleone don Bernardo Cammarata, finora non documentato.
Nello stesso giorno il pittore Carmelo Salpietra, nativo di Corleone, ma abitante a Palermo, allievo di Vito D’Anna, assieme ai Manno, a Giuseppe Testa, a Tommaso Pollace, veniva incaricato di raffigurare i quattro evangelisti nelle vele del Te (De Marco 2003).
Negli anni successivi si alternano diversi indoratori. Gli autori rintracciano, tra le tante carte consultate presso l’Archivio Storico della Chiesa Madre di San Martino, alcune quietanze di pagamento ad Antonino Pellegrino (31 agosto 1783), noto per avere eseguito nel 1776 dorature dentro il palazzo Santa Croce-Sant’Elia di Palermo, della cui attività si ricordano i lavori al Real Albergo dei Poveri del capoluogo siciliano (1779), la decorazione della Basilica di Sant’Anna a Santa Flavia, le pitture in oro dell’altare maggiore ligneo della chiesa di S. Antonio abate di Palermo (1789), ove, come ricorda Angela Mazzè (1979), realizzava pure candelieri e pitture a finto avorio.
Altri indoratori attivi nella Chiesa Madre di Corleone sono Gaetano Mannina (31 agosto 1784), e Pietro Orlando. La documentazione reperita dagli autori riporta pure il nome di Pietro Marsala per lavori di stucco e indoratura.
Il cantiere settecentesco va ancora avanti nel 1784 con la realizzazione della pavimentazione in marmo del Coro e del Te affidata ai marmorari Matteo Tabbita e Giuseppe Gerardi.
Felice da Sambuca, il famoso frate-pittore che visse e operò nel XVIII secolo, nel 1787 dipinse tre tele per la nuova chiesa raffigurando San Martino, purtroppo distrutta dall’incendio che interesserà la tribuna nel 1949, San Leoluca e il Beato Bernardo. Tra le numerose tele del sambucese, custodite in Chiesa Madre si ricordano quelle provenienti dal convento locale dei Padri Cappuccini, trasferite in seguito alla legge di soppressione degli enti ecclesiastici, molte delle quali già segnalate da Maria Accascina in un suo articolo dal titolo Itinerari provinciali – A Corleone senza “Mastro Simuni”, pubblicato il 3 dicembre 1938 sul “Giornale di Sicilia”.
Tornando ai documenti rintracciati da Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo emerge un altro nome di artigiano-artista: mastro Ciro Messineo, che rimodella l’antico coro eseguito negli anni 1584-1588 da Giuseppe Li Volsi senior e Giuseppe Li Volsi junior per adeguarlo al nuovo presbiterio.
Dopo i lavori di consolidamento statico della chiesa, conclusi intorno al 1840, è documentato Teodoro Guarneri, per l’esecuzione degli stucchi delle tre navate e delle cappelle, ma i lavori non proseguirono per molto tempo e pare interessarono solo la navata centrale.
Solo nel 1904 la chiesa viene ultimata con stucchi e pitture. Ad eseguire la decorazione ornamentale ancora mancante della navata centrale, da quanto attesta la dettagliata documentazione rintracciata dagli autori, sarà Francesco Livigni. I lavori, conclusi nel 1911, includevano l’arricchimento plastico delle lesene, delle finestre, degli stipiti, degli archi e dei pilastoni. “Di stucco – scrivono gli autori – dovevano realizzarsi i cherubini, le conchiglie, le cartelle, pendenti di fiori, pendenti di frutta, capitelli ionici, la cornice della navata maggiore per l’affresco di San Martino, cornici per le figure degli apostoli ed ancora gli archi delle lunette”.
Nel 1913 una generosa donazione permise di incaricare il pittore Filippo Fazzoni per dipingere la volta della navata centrale con scene della vita di San Martino, che possiamo ancora ammirare.
Gli autori non mancano di ricordare tra gli artisti attivi nella Chiesa Madre, a conclusione di questo excursus, Biagio Governale, autore del portone bronzeo con episodi della Bibbia eseguito nel 1988 sotto l’attenta reggenza del decano don Vincenzo Pizzitola.
Ora concludo, congratulandomi con Francesco Marsalisi e Carmelo Ridulfo per l’interessante volume, e sperando che a questo possa seguire la catalogazione, già avviata, di tutte le opere d’arte, e in particolar modo delle meno studiate suppellettili liturgiche e dei parati sacri della chiesa di San Martino, facendola confluire in un’altra pubblicazione a testimonianza del grande impegno di illuminati committenti. Tale progetto potrebbe bene inserirsi nel programma di convenzione tra la diocesi di Monreale e i Comuni che ne fanno parte e l’ateneo palermitano, all’interno del quale opera l’Osservatorio per le Arti decorative in Italia “M. Accascina”, diretto da Maria Concetta Di Natale, e a cui pure io collaboro, che annovera tra i suoi fini istituzionali la conoscenza, la divulgazione e la valorizzazione delle opere d’arte decorativa in Italia, partendo dalla Sicilia, territorio in cui esse hanno avuto uno sviluppo particolare e maggiormente variegato rispetto a tutte le regioni peninsulari.
Il protocollo d’intesa, già siglato dall’arcivescovo di Monreale Salvatore Di Cristina, e avallato dal consiglio municipale di Corleone deliberando positivamente in merito, sarà firmato pubblicamente da tutti i sindaci dei Comuni della diocesi entro breve tempo allo Steri, alla presenza del Magnifico Rettore.
 

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