Il porto di Messina |
Il
centro storico di Messina sta per essere sfregiato dall’ennesimo
palazzaccio-casermone di cemento, metà parcheggio e metà residence, un numero
imprecisato di negozi commerciali e finanche un ristorante panoramico
all’ultimo piano. Avrà un’invidiabile vista sulla Stretto e la zona falcata e
sorgerà a due passi dalla stazione marittima, nell’area che ospita gli ex
Magazzini generali di proprietà del Comune. Un paio di giorni fa il vecchio
edifico di dodicimila metri cubi è stato dismesso e svenduto alla ditta “4V di
Vincenzo Vinciullo”, attiva nel
settore immobiliare, delle costruzioni e dei lavori forestali e ferroviari.
Il
piano di dismissione comunale è stato vincolato al cambio della sua
destinazione d’uso, da magazzini ad attività commerciali e/o direzionali e
residenziali. Così il fabbricato a due elevazioni fuori terra ed uno interrato
potrà essere demolito per fare spazio ad un palazzo di sette piani (più uno
seminterrato), sul quale la Commissione
edilizia, il 21 ottobre 2010, ha
già espresso parere favorevole di conformità allo strumento urbanistico. Il 3
novembre 2010 il progetto è stato approvato in via amministrativa dalla Giunta
municipale, con delibera n. 1039, rendendo appetibile ed imperdibile l’affaire
per i privati.
Eppure
al pubblico incanto si è presentata solo la ditta di Vincenzo Vinciullo che ha
acquisito l’immobile con un’offerta di pagamento vantaggiosissima per saldare i 4.890.000 di euro richiesti dal Comune. Alla fine, verrà
versato in contanti appena il 10% della base d’asta (489.000 euro), mentre il 29,73% dell’importo
sarà coperto con la permuta di alcuni appartamenti di proprietà della 4V.
L’immobiliare si avvarrà di una modifica del regolamento delle alienazioni
approvata dal consiglio comunale lo scorso mese di febbraio, che consente ai
privati di acquisire i beni presentando offerte miste, in parte con denaro e il
resto con immobili in permuta.
Per
il responsabile del Servizio dismissioni del
Comune di Messina, l’ingegnere Armando Mellini, quella degli ex Magazzini
generali è un’operazione che “è anche di valorizzazione urbanistica” e la cui valutazione “è confortata dal
mercato”. Di diverso parere alcuni operatori immobiliari che rammentano come
solo tre anni fa il vecchio edificio fu inserito nel piano di dismissione
comunale ad un valore di 5,3 milioni di euro. Il ricercatore in Economia
aziendale dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, Carlo Vermiglio, ha
rilevato sul quotidiano Gazzetta
del Sud, le “contraddizioni” emerse con l’alienazione dei magazzini. “La
città ha definitivamente perso un bene del suo patrimonio immobiliare, per
quanto in disuso e non valorizzato, a fronte di una somma di denaro del tutto
irrisoria che verrà destinata, per espressa previsione del bando al
ripianamento di debiti fuori bilancio. Una prassi inaccettabile sul piano
finanziario e censurabile in chiave strategica”.
Per
il segretario provinciale della Cgil, Lillo Oceano, appare “singolare” che alla
gara si sia presentata una sola azienda “nonostante le modalità decise dal
Comune consentissero di partecipare con un impegno finanziario modesto, poco
più del valore di un appartamento di medie dimensioni”. Oceano ha pure espresso
perplessità per la “bassa percentuale di permuta rapportata al particolare
pregio dell’area, in pieno centro, sulla cortina del Porto”. “Ancora una volta
– conclude il segretario Cgil – si aumenta a Messina il volume costruito per
finalità residenziali, assecondando un’idea di città la cui vocazione è quella
di costruire appartamenti uno sopra l’altro, a ridosso di aree, quelle portuali
e ferroviarie, dall’elevato potenziale produttivo”.
L’anomalia
più grave è rappresentata però dalla figura dell’acquirente dei vecchi
magazzini, l’imprenditore Vincenzo Vinciullo. Si
tratta di uno dei più facoltosi operatori peloritani, titolare oltre che
dell’Immobiliare 4V, della “Vinciullo Corporate”, attiva nel
settore siderurgico e dell’edilizia privata e residenziale. Da una vecchia informativa dell’Arma
dei Carabinieri, il Vinciullo risulterebbe interessato
pure ad altre società, come la
CO.GE.IM. Srl (acquisto e vendita di immobili), la Residence Villa Dante Srl
(costruzioni e lavori edili in genere), la Dr. Enzo Vinciullo & C. sas (rappresentanza prodotti
siderurgici).
“L’imprenditore
è stato protagonista di un’operazione di compravendita di terreni destinati ad
essere espropriati in vista della realizzazione del Ponte sullo Stretto ed è
stato citato dalla Commissione antimafia perché legato in qualche modo a
importanti esponenti criminali della provincia”, denunciano gli attivisti della Rete No Ponte che hanno dato vita a un presidio
spontaneo dell’immobile dismesso. In effetti il nome di Vinciullo compare in due relazioni della
Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata
mafiosa della XIV legislatura, risalenti entrambe al gennaio 2006.
Soffermandosi
sulla “silente” e “scientifica” colonizzazione del territorio messinese da
parte di Cosa Nostra, il relatore di maggioranza, senatore Ronerto Centaro, rilevava l’entità delle attività di
reinvestimento di capitali di provenienza illecita nel tessuto economico della
città capoluogo. “Questo obiettivo appare programmato da tutti questi nuovi soggetti ai quali si fa riferimento,
individuati in Michelangelo Alfano, Santo Sfameni, Salvatore Siracusano e
Vincenzo Vinciullo”, specificava il parlamentare. “Sfameni è altresì risultato
in collegamento attivo, direttamente e per tramite del figlio Antonino, con
l’imprenditore Vincenzo Vinciullo, soggetto rientrante in quel novero di
affaristi (come i già ricordati Siracusano, Pagano e Giostra) risultati a
disposizione – personalmente e con le loro strutture aziendali e societarie –
degli interessi di gruppi mafiosi, permettendo il comodo reinvestimento in
attività imprenditoriali apparentemente lecite di capitali di provenienza
illecita”.
“Il
Vinciullo risulta godere a Messina fama di solidissimo imprenditore ed appare
in grado di gestire, mediante i suoi saldi legami con la famiglia Sfameni e con
Michelangelo Alfano, affari di rilevante portata nei quali l’autorità
giudiziaria messinese sospetta l’inserimento di pesanti interessi di tipo
mafioso”, prosegue la relazione. “In particolare, dalle informazioni fornite
dalla D.D.A. di Messina risulta che Vinciullo sia stato indicato
nominativamente addirittura da Bernardo Provenzano in persona a Luigi Ilardo,
cugino del boss Piddu Madonia, nella corrispondenza fra i due che costituisce oggetto
dell’informativa ROS/DIA denominata Grande
Oriente del 30 luglio 1996
(come è noto, Ilardo fu ucciso poco prima di formalizzare la sua collaborazione
con la Giustizia ma dopo aver reso importanti dichiarazioni confidenziali ad un
ufficiale dei Carabinieri, anche in relazione ai pizzini inviati da Provenzano e con i quali il
boss impartiva disposizioni), come il soggetto di riferimento per la
composizione delle controversie insorte fra le famiglie palermitane e catanesi
di Cosa Nostra sulla destinazione dei proventi dell’estorsione posta in essere
in danno delle acciaierie Megara di Catania”.
Sull’imprenditore
peloritano si è soffermato l’estensore della relazione di minoranza della
stessa Commissione d’inchiesta, l’on. Giuseppe Lumia. “Sui legami fra Michelangelo
Alfano e una congerie di imprenditori che sarebbero stati creati o, comunque,
coltivati, da Cosa Nostra, durante le audizioni effettuate a Messina, è emerso
anche il nome di tale Vincenzo Vinciullo, il quale rivestirebbe un ruolo di
sicuro rilievo nelle sponde imprenditoriali di Cosa Nostra”, scriveva Lumia.
“Vinciullo, agente di commercio di prodotti siderurgici in relazione con la
Megara, avrebbe svolto il ruolo dell’amico buono per conto di Cosa Nostra. È significativo che la vicenda
dell’estorsione alle acciaierie, oggetto dell’interlocuzione Ilardo-Provenzano,
abbia coinvolto le famiglia di Cosa Nostra di Bagheria, di Caltanissetta e di
Catania, tutte sotto l’egida di Provenzano (…)
Si vede in trasparenza, cioè, il profilo di un assetto interno a Cosa Nostra
che potremmo definire come mafia
del ferro e che, non a caso,
interloquisce felicemente, oltre che con lo stesso Michelangelo Alfano, con
uomini, come Vincenzo Vinciullo, strettamente legati a Michelangelo Alfano”.
La
lettura dei pizzini ha consentito agli inquirenti di
accertare come la quota parte
dell’estorsione alla Megara venne trattenuta per intero dagli uomini del clan
nisseno dei Madonia. Ciò spinse i mafiosi catanesi a lamentarsi con Bernardo
Provenzano. “Mi dicono che il Vinciullo ci dici, che i Catanesi, avevano presi
alcuni impegni poi, non mantenuti”, scriveva il boss latitante. “Cioè i
Sindacati per non fare sciopero, ecc. e non è stato mantenuto, è stato
molestato, con telefonate, persone che, non si comportano bene, sciacalli, ecc.
e ha questo punto il Vinciullo dice, che le cose ci sono andate mali”. Il
Vinciullo, cioè, si era lamentato che i catanesi non avevano mantenuto
l’impegno di controllare i sindacati della Megara, per cui vi erano stati
scioperi, minacce e tentativi di estorsioni da parte di altre persone.
L’imprenditore si era però dichiarato disponibile a dare il denaro richiesto,
ma necessitava di un contatto stabile per ogni eventualità. Per sanare i contrasti, Provenzano
delegò i fratelli Leonardo e Nicolò Greco (uomini d’onore di Bagheria) per i
contatti con il Vinciullo, mentre Francesco Tusa, genero del Greco e nipote di
Giuseppe “Piddu” Madonia, fu invitato a “seguire” i catanesi.
Il capo dei capi ordinò a Ilardo di chiedere alla “famiglia” etnea di
fissare una somma di denaro per saldare il debito del passato e un’altra somma
come anticipo per il futuro. Sempre secondo Provenzano, la risposta dei
catanesi doveva essere riportata all’imprenditore messinese mediante l’intermediazione di Nicolò Greco, “persona che era già in
contatto con il Vinciullo e che aveva già raccolto le sue
lamentele e riportato la sua disponibilità al pagamento”, come scrivono i ROS
dei Carabinieri. Infine, Provenzanocomunicò al suo
interlocutore i nominativi di due persone suggerite dai clan etnei allo scopo di mettersi in contatto con
il Vinciullo, tali Motta e Di
Stefano. “Il compito dell’Ilardo fu quello
di verificare se le persone proposte erano
idonee allo scopo e gradite
alVinciullo”, concludono gli inquirenti. La
vicenda estorsiva ai danni delle acciaierie (l’importo richiesto fu di 500
milioni di vecchie lire), ebbe un tragico epilogo: il 31 ottobre 1990, vennero
assassinati a Catania Alessandro Rovetta, amministratore delegato della Megara,
e Francesco Vecchio, direttore del personale dell’azienda. Un duplice omicidio
su cui non si è fatta ancora luce.
“La
vicenda dell’alienazione degli ex magazzini generali ci appare di estrema
gravità e per questo abbiamo chiesto un incontro con il nuovo commissario del
Comune, il dottore Luigi Croce, già a capo della Procura di Messina dal 1992 al
2002 e che conosce il tessuto economico-criminale della città”, annunciano
Renato Accorinti e Luigi Sturniolo, storici attivisti del movimento No Ponte. “Nei prossimi giorni
organizzeremo un incontro pubblico con ricercatori, architetti, urbanisti,
economisti e le associazioni ambientaliste e antimafie per costituire un ampio
fronte di opposizione alla dismissione degli immobili comunali. Essi sono un
bene comune e per questo vanno messi a servizio dei bisogni della collettività
e difesi da ogni tentativo di speculazione privata”. Saro Visicaro del comitato La nostra città ha invece annunciato la presentazione
di un esposto al Prefetto e al Procuratore della repubblica di Messina.
Nessun commento:
Posta un commento