E’ come nel ’92? È peggio? Se la fanno in
tanti questa domanda, in specie in Sicilia, dove ci sono le elezioni regionali
e oltre che discettare e proporre analisi ci si scontra in modo furibondo per
accaparrarsi consensi. Ci fu nell’Isola, venti anni fa, una Tangentopoli “di ritorno”. Quella originale aveva eletto la sua capitale
a Milano, dove era la testa dell’acqua. Eppure il repulisti siciliano non fu certo di minore
intensità. La metà, e forse di più, dei deputati regionali finirono nelle
maglie della giustizia e si verificarono casi di straordinaria severità che
lasciarono senza fiato anche giustizialisti trinariciuti. Si ricordano ancora oggi le immagini Rai del vice presidente della
Regione con le manette e le catene portato a spasso su un treno da Roma a
Ragusa è rimasto nella storia dei blitz ai politici.
C’è chi conserva la
memoria di un blitz durante a Cagliari, nel corso di un summit, con le manette
al vice presidente dell’Assemblea regionale siciliana o delle dimissioni “coatte”
del presidente dell’Assemblea, della custodia cautelare dell’ex presidente
della Regione. Manette, carcere e processi. Un assessore regionale rimase in
galera due anni con la terribile accusa di essere il mandante del delitto di un
alto funzionario della regione (omettiamo i nomi per rispettare il diritto
all’oblio)
Ogni “rivoluzione” ha la sua
stagione giacobina. Ma resta una risposta al bisogno di rimettere in sesto le
cose. Che poi ci si riesca è un’altra cosa. Oggi,
infatti, ci si
interroga sul fallimento di Tangentopoli come strumento di moralizzazione della
politica.
Nel ’92
si rubava per il partito, oggi si ruba al partito, osserva
giustamente Ugo Magri su La Stampa. «Ma adesso è molto peggio», avverte Bruno
Tabacci, in una intervista a la Repubblica (nel ‘92 venne indagato e assolto).
“Sono delinquenti matricolati, non politici”, sostiene Tabacci. “Chiedergli se
temono la giustizia è come chiedere a Vallanzasca se, quando ammazzava, si
preoccupava che poi gli dessero la caccia”.
“Vogliamo paragonare Citaristi a
questi ladri?”, s’indigna Tabacci. “ Il tesoriere della Dc affrontò 60 processi
e quando la Democrazia cristiana sparì, cominciò a pagarsi gli avvocati di
tasca sua. Questi
rubano per la casa, la barca, le vacanze. È molto peggio di allora. Batman
Fiorito, prima di finire dentro, è stato una settimana in televisione a
prenderci per il culo. Sergio Moroni imbracciò un fucile e si sparò in faccia”.
Non è
servita a niente Tangentopoli?
Il “dopo” è una lezione di furbizia e malandrineria. C’è stato
l’edonismo reganiano alla Berlusconi, ed una sostanziale unanimità d’intenti
all’interno delle istituzioni sui soldi pubblici. Le tangenti sono state
sostituite dalle consulenze, e i finanziamenti ai partiti dai rimborsi elettorali
e dai contributi ai gruppi parlamentari e consiliari. Gettoni generosi,
indennità, benefit. Una montagna di soldi, che dal ’93 ad ogg, hanno
accresciuto a dismisura i costi della politica e trasferito il cordone della
borsa dai partiti agli uomini delle istituzioni.
Nessun controllo delle spese,
nessun rendiconto: i quattrini sono affluiti nei conti attraverso i rimborsi
(elettorali e non) forfettari e i contributi ai gruppi parlamentari. Così si è regalato ai nuovi “padroni”
della politica il potere di succedere a se stessi. Il Porcellum, l’attuale legge
elettorale, è
l’apoteosi di questa svolta: non solo i soldi, che assicurano
la rielezione, ma anche il potere di “nominare” senatori e deputati.
Ora la montagna “tracima”: dieci regioni subiscono inchieste
giudiziarie, dal Lazio di Batman, all’Emilia alla Sicilia, alla Lombardia, il
Molise.
Si corre ai ripari, nell’illusione
che basti cancellare prerogative e poteri per risanare l’ambiente,ma la
strada maestra è un’altra, la trasparenza. L’obbligo di far sapere tutto e
subito. E’ la
sola deterrenza efficace, perché suggerisce cautela e morigeratezza, svolge
opera di prevenzione, spaventa.
Nelle
assemblee legislative non c’è controllo né trasparenza. I
parlamentari decidono sui soldi pubblici senza doverne rendere conto ad alcuno
né fare sapere ad alcuno. La pubblica amministrazione italiana occupa il
25° posto sui 34 Paesi dell’Ocse nell’e-government, nonostante spenda cinque
miliardi l’anno per l’informatica.
C’è un modello collaudato da seguire, il Freedom of Information Act, adottato negli Stati Uniti.Qualunque
provvedimento, atto, decisione, documento – ufficiale o ufficioso, inerente a
qualsiasi amministrazione pubblica, dal comune al Parlamento – deve
essere accessibile a chiunque senza doverne fare una richiesta motivata. Basta
legare l’efficacia dell’atto alla sua disponibilità on line.
E’ un presidio di democrazia e partecipazione, oltre che strumento
efficace di moralizzazione della pubblica amministrazione, della politica e
delle istituzioni.
Perché
non se ne parla mai?
Recitiamo
il mea culpa tutti. Il fatto è che ci sentiamo appagati ogni
volta che viene pescato qualcuno con le mani nel sacco. Prevale lo
spirito di vendetta, per carità comprensibile, piuttosto che la cittadinanza,
il diritto-dovere di pretendere istituzioni trasparenti.
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