La copertina del libro |
di Domenico GambinoUn romanzo storico che racconta le vicende di un personaggio minore del Risorgimento siciliano, esalta il contributo all'unità d'Italia di alcuni paesi dell'entroterra palermitano
È stato da poco esposto nelle
librerie l’ultimo libro di Giuseppe Oddo
dal titolo “Memoriale di un vecchio
portabandiera” distribuito da
Prospettiva editrice di Civitavecchia. Un romanzo storico ambientato nella
Sicilia rurale dove i sentimenti risorgimentali si diffondevano nel popolo
oppresso dal dispotismo borbonico. Al centro della narrazione è la storia di un
personaggio minore del Risorgimento siciliano, mastro Ciccio il sellaio, che da
giovane si converte all’idea repubblicana di Mazzini e partecipa alle
principali cospirazioni antiborboniche della Sicilia occidentale. Il nocciolo
della narrazione è costituito dal tentativo insurrezionale del 1856 preparato
dal prode Francesco Bentivegna che affida la bandiera tricolore della
rivoluzione proprio a mastro Ciccio.
La rivolta fu soffocata con durezza e finì
nei peggiori dei modi, ma quel tentativo insurrezionale in realtà alimentò
quell’aspirazione di libertà nell’unità nazionale, precorrendo la rivoluzione
del 1860 con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi. Il romanzo, quindi, proseguendo
con le vicende personali di mastro Ciccio, racconta quei convulsi giorni della
presa di Palermo da parte dei garibaldini. Potrebbe essere questa la sofferta
ma felice conclusione della lotta di un popolo per la libertà, ma all’epilogo
del romanzo non mancano le sorprese che Giuseppe Oddo riserva ai suoi lettori
da attento osservatore della realtà della società italiana post-unitaria.
Oltre all’ampia ricostruzione
dell’epoca nei suoi vari aspetti politici, sociali e culturali, ad arricchire
la narrazione è la particolare attenzione che l’autore dedica alla descrizione
del territorio siciliano che, sul filo del racconto, fa da scenario per far
rivivere la quotidianità della vita negli usi, nei costumi e anche nelle tradizioni
del tempo. Per tutti i personaggi che si affacciano nell’intreccio del
racconto, molti dei quali realmente esistiti, l’autore non manca mai di
descriverne la personalità e il posto occupato nella comunità, aggiungendo
sempre nuovi dettagli per meglio descrivere la società di allora, in
particolare quella di Menfrici, il paese d’origine di mastro Ciccio e di
Bellafrati, il paese dove il nostro sellaio trova rifugio.
Il romanzo inizia con un prologo
che, come chiarisce lo stesso autore, può fungere da epilogo. È assai
scorrevole nella lettura ed è strutturato in capitoli che con titoli distinti
seguono gli eventi. Una soluzione che aiuta il lettore a fissare nella memoria
la narrazione. Si può affermare, pertanto, che si tratta di un libro
accattivante che invoglia alla lettura e spinge a divorare le pagine tutte di
un fiato ma, contemporaneamente, è un romanzo che va letto con molta attenzione
per meglio assaporare la descrizione dei luoghi, le notizie storiche e gli
altri particolari che denotano una profonda conoscenza del territorio e degli
aspetti antropologici della società siciliana di quel tempo. E non poteva
essere diversamente perché Giuseppe Oddo, originario di Villafrati in provincia
di Palermo (la Bellafrati del romanzo), esperto di cultura del territorio, è
autore di numerosi testi scientifici che ricostruiscono e analizzano gli
avvenimenti storici e la società dei tempi passati con particolare attenzione
alle lotte dei poveri contadini per la terra e i loro sogni per la libertà.
Dalla lettura delle precedenti pubblicazioni, si capisce che con questo romanzo
Oddo completa in modo singolare e assai efficace, un mosaico che documenta
l’apporto massiccio alla causa risorgimentale di un gruppo di paesi
dell’entroterra palermitano: da Mezzojuso, centro operativo della rivolta e
luogo dove fu fucilato il prode corleonese, barone Francesco Bentivegna, a
Villafrati, a Ciminna, a Campofelice di Fitalia.
Un romanzo, dunque, destinato a
lasciare un segno perché solleverà un interessante dibattito sul sostegno di
quelle popolazioni alla causa dell’unità d’Italia e sul sacrificio di quegli
uomini che subirono dure condanne per il tentativo insurrezionale antiborbonico
guidato da Francesco Bentivegna che pagò con la vita quel sogno di libertà. La
rivolta del 1856, osserva Oddo, fu un avvenimento unico nella storia d’Italia:
mai si era verificato che una rivolta esplodesse in
un’area rurale con l’obiettivo di coinvolgere la città, cardine del potere
costituito.
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