Il 3 settembre 1982 Cosa nostra uccide il generale Carlo Alberto
Dalla Chiesa, inviato dal governo a Palermo per combattere la mafia “con gli
stessi poteri del prefetto di Forlì”, come dirà con amarezza lo stesso generale
in un momento di sfogo durante la sua permanenza nel capoluogo siciliano. Con
lui perderanno la vita anche la moglie, Emanuela Setti Carraro, e l’autista e
agente di scorta, Domenico Russo. L’assassinio di Dalla Chiesa arriva quattro
mesi dopo l’uccisione di Pio La Torre, segretario regionale del Partito
comunista ed estensore, insieme a Virginio Rognoni, del disegno di legge che
introduce nel nostro ordinamento il reato di associazione mafiosa e la confisca
dei patrimoni ai boss. Una legge che verrà approvata dal Parlamento il 13
settembre del 1982, proprio sull’onda emotiva del delitto Dalla Chiesa. Ci sono
voluti due omicidi eccellenti perché il Parlamento approvasse una norma che
rappresenta la pietra miliare della moderna lotta alla mafia. Prima di allora
per lo Stato italiano far parte di Cosa nostra non era reato, mentre i boss e
il loro familiari potevano godere del patrimonio accumulato illecitamente senza
alcun timore. È l’antimafia del giorno dopo che ha sempre contraddistinto la
politica italiana nel contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
Un vizio duro a morire, che affonda le sue radici nel sistema di collusioni che
le mafie riescono ad instaurare con pezzi della politica e dell’amministrazione
pubblica. La legislazione antimafia italiana è, infatti, una legislazione
d’emergenza e che pertanto presenta buchi e limiti. Ancora oggi sono tanti i
provvedimenti e gli strumenti di lotta alla mafia che mancano all’appello e che
inspiegabilmente non vengono messi a disposizione della magistratura, delle
forze dell’ordine e più in generale del movimento antimafia organizzato. Mi riferisco:
all’obbligatorietà della denuncia da parte degli operatori che subiscono il
racket delle estorsioni, per liberare dal giogo mafioso energie e risorse
produttive; all’introduzione del reato di autoriciclaggio; all’estensione del
reato di voto di scambio (il 416 ter), finora punito soltanto nel caso della
compravendita in denaro, ad altre utilità; alla riapertura delle carceri di
massima sicurezza di Pianosa e l’Asinara, per una più severa applicazione del
regime di carcere duro (il 41 bis); all’aumento delle pene per tutti i reati di
stampo mafioso; all’adozione di una legge sulla corruzione; ad una più efficace
gestione dei beni confiscati che ne consenta il recupero e il riuso a fini
sociali e istituzionali; ad una migliore gestione dei collaboratori e dei
testimoni di giustizia. Provvedimenti di cui ho proposto l’approvazione più
volte in Aula e in Commissione antimafia, ma che sistematicamente o vengono
depotenziati o cadono nell’oblio delle varie legislature. Nel giorno in cui si
commemora l’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa la politica è
chiamata ad una presa di coscienza sulla necessità di combattere un fenomeno
che impedisce lo sviluppo del Paese, ad una riflessione profonda su come
combatterlo, ad una assunzione di responsabilità affinché finalmente il
contrasto alle mafie diventi una priorità vera. Bisogna dare corso
all'antimafia del giorno prima. La lotta
alla mafia non può essere demandata al coraggio e alle capacità di alcuni
servitori dello Stato, né tantomeno può avvalersi di una legislazione
estemporanea. Dal Parlamento al Governo, dalle Regioni agli Enti locali alla
società civile serve un impegno condiviso ed un lavoro costante per mettere
nelle condizioni il movimento antimafia di vincere la guerra. È questo il modo
migliore per ricordare un uomo che ha dato la vita per l’affermazione della
legalità e della giustizia.
Sen. Giuseppe Lumia
componente della commissione antimafia
componente della commissione antimafia
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