Frank Zappa |
C’è
qualcosa che mi lega alla cultura e alla formazione di Frank Zappa. Forse
l’amore che suo padre aveva per la storia, forse il suo non accontentarsi del
suo ambiente, forse una certa sua più o meno diretta capacità di rompere gli
schemi, di trasgredire. Cresciuto in un clima aperto e ricco di stimoli che
presto farà del figlio di un immigrato, uno dei massimi
rappresentanti della musica del Novecento, ancora tutta da studiare,
Zappa è certamente un grande. Il suo genere è stato definito, infatti, in
vario modo: rock progressivo, demenziale, sperimentale, proto-punk, art-rock,
hard rock e via di seguito. Apprezzato da un vasto pubblico in tutto il mondo,
credo non ci sia oggi città che non abbia dedicato, una strada, una piazza, un
monumento a questo mito della musica rock.
Nemico
acerrimo dell’uso di droghe d’ogni tipo e delle condizioni standard delle sue
chitarre elettriche, che faceva modificare maniacalmente, tiranno despota
all’interno delle sue band, ma persona gentilissima e generosa nella vita
reale. Un musicista che ha saputo distillare con singolare intelligenza e
inconfondibile personalità un sincretismo musicale ineguagliato e forse
ineguagliabile. Come diceva Carmelo Bene, musica de-genere, ossia non etichettabile, incapsulata in un
genere. Rock’n’roll, blues, musica classica contemporanea, jazz, doo-woop, vaudeville, musique concrête,
Zappa-alchimista distilla in bizzarri alambicchi tutto quanto lo ha preceduto e
quanto gli sta intorno a formare, appunto, quello stile inconfondibile,
zappiano.”
Ma c’è dell’altro, perché Zappa fu
assunto anche a simbolo di una irrefrenabile voglia di libertà, quando questa
parola era ai limiti della trasgressione. A Budapest, nella piazza intitolata
allo scrittore ungherese Mikszáth Kálmán, c’è un bar, dove Frank si fermò una
volta. Oggi porta il suo nome, ma al tempo del cambio del regime in Ungheria,
era un locale underground. Si intitolava “Tilos az Á…”, un pub dove si
faceva musica, si tenevano concerti, e passava buona parte della contestazione
giovanile. Perché, si sa, la musica è contestataria per sua vocazione. Il vecchio
titolo del pub sta a significare “Vietato A…”. Un’espressione che trae spunto
da un famoso racconto inglese, “Winnie the Pooh”, l’orsacchiotto che ha per
amico il maialino Pimpi che abita in una casa con accanto un cartello rotto
dove però si può ancora leggere “Trespassers W…”. Una scritta che
originariamente poteva leggersi come “Trespassers Will be prosecuted” (“I
trasgressori saranno perseguiti”).
Nel 1991 Budapest volle festeggiare
l’abbandono dell’Ungheria da parte dell’Urss e il sindaco della città tenne
un party in questo locale invitando anche Frank Zappa. Ma le contestazioni
continuarono finchè il locale nel 1995 fu chiuso. Riaprì solo nel 2000, quando
cambiò nome in quello di “Zappa café” .
A maggior ragione degli ungheresi,
dunque, per i partinicesi, gli abitanti di quella comunità nella quale anch’io
sono nato, questo genio del rock dovrebbe essere un maestro, una voce e
una musica da cui apprendere il passato e saper guardare al futuro. L’idea
dello sviluppo coniugata con la memoria. Perché il padre di Frank, Francesco
Zappa, alias Francis, trovò proprio a Partinico i suoi natali, come del resto
le generazioni degli antenati che lo avevano preceduto, sempre alle prese con
malaria e peronospera.
Poi, spinto dal bisogno o dalla
costrizione, ad un certo punto, lasciò il paese in cui era nato, per recarsi in
America a cercare un mondo nuovo. Fece carriera. Laureato (pare in storia) e
perito tecnico, riuscì a trovare un buon impiego presso la base
dell’Aeronautica militare statunitense ‘Edwards’, nei pressi di Los Angeles.
Lavorò dunque per il governo americano e per questo motivo la sua famiglia
dovette spostarsi da una città all’altra. A Baltimora, nel Maryland, dove Frank
nacque il 21 dicembre 1940, primogenito di quattro figli. Così la via
dell’emigrazione fu dolorosa, per questo partinicese, come per quasi tutti gli
altri emigrati, ma ricca di prospettive, produttiva di futuro.
La stessa cosa non può dirsi per chi fa
il percorso inverso. Cioè torna indietro, va a riscoprire le sue
radici, come in un viaggio a ritroso, un ritorno al ventre materno. Perciò mi
hanno fatto una grande tenerezza i figli di Frank, quando nel 2011 hanno voluto
ripercorrere il viaggio che aveva fatto il loro padre, nel 1982, nei giorni
della festa di Santa Rosalia. Giusto in quei giorni aveva deciso di tenere un
concerto a Palermo allo stadio della Favorita.
Ne era stato ispiratore Massimo Bassoli
che per l’occasione gli aveva suggerito di fare un salto a Partinico e rivedere
i luoghi dove aveva vissuto il padre, prima di decidere di emigrare. L’arrivo
di Zappa nel paese di suo padre fu come una discesa agli Inferi, o un
viaggio in un immaginario Far West. In Sicilia erano in pieno svolgimento
le guerre di mafia. Pio La Torre era stato ucciso da poco, i giornali
pubblicavano in prima pagina, al posto dei titoli, il numero dei morti
ammazzati durante le sparatorie contro i ‘picciotti’ che sgarravano o i boss
che rifiutavano i nuovi patti. Erano bollettini di guerra. Il 3 settembre veniva
poi ucciso Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Neanche Partinico viveva sonni
tranquilli e la gente se ne stava rintanata in casa. A una certa ora c’era il
coprifuoco.
Nel 1982 nessuno conosce Frank Zappa nel
paese di Frank Coppola e Nenè Geraci. L’incontro di Zappa con la città di suo
padre è perciò l’accostamento di un artista con una memoria perduta, con un
deserto, con una città-fantasma, un luogo di violenza e
d’angoscia. Un’occasione mancata che lascia, come sempre succede, l’amaro
in bocca. Bassoli che lo accompagna si sente come un alieno, venuto da un altro
pianeta.
Ma Diva e Dweezil Zappa, i figli di
Frank ritornati a Partinico nel 2011, ci dànno una speranza, quando
incontrano il sindaco. La massima autorità cittadina promette: a Frank Zappa
sarà dedicata la via dove viveva la famiglia Zappa: la via Zammata. I due
giovani sono felici. Piangono. Vogliono vedere la casa del loro nonno. E’
chiusa, diroccata. Non si vede nulla tranne un vecchio portone con la serratura
forzata. Ma Diva vuole vedere. Qualcuno la solleva fino alle barre di ferro che
sovrastano l’enorme porta. Sbircia dentro. Vede l’abbandono, la polvere, il
tempo che ha seppellito tutto. Il punto da cui era partito il padre di suo
padre. A distanza di un anno non c’è traccia di via, lapide, piazza, angolo,
che ci ricordi il grande e mitico Zappa. E come poteva mantenere la promessa un
sindaco che è l’equivalente di una giunta pari allo zero, nella terra di
nessuno? Meglio l’America.
Giuseppe Casarrubea
Il video “L’estate di Frank Zappa”
è realizzato da Salvo Cuccia per Rai 3 Storia:
Nessun commento:
Posta un commento