L’isola-trampolino per proiettare le forze aeree, navali e terrestri nazionali e quelle di Stati Uniti e Nato negli scacchieri di guerra in Medio oriente, Africa ed est Europa. Soffocata da una miriade d’infrastrutture, aeroporti e porti militari, poligoni, sistemi satellitari e di trasmissione degli ordini d’attacco. I maggiori corridoi marittimi solcati da unità navali e sottomarini a propulsione e capacità nucleare. Una selva di antenne radar per fare la guerra ai migranti. E per chi è scampato ai naufragi mediterranei, la detenzione nei cie-cara-lager disseminati ormai ovunque. La Sicilia è sempre più armata, militarizzata, nuclearizzata.
Aggressiva, bellicista e a sovranità dimezzata. Territorio di frontiera e di conquista, laboratorio di spregiudicate alleanze politiche e strategiche. A partire del patto diabolico sottoscritto alla vigilia dello sbarco alleato del ’43 dalle organizzazioni criminali-mafiose e dalle forze armate a stelle e strisce. Poi, nel dopoguerra, la controffensiva reazionaria contro i movimenti politici, sociali e sindacali della sinistra, la strage di Portella delle ginestre, le bombe contro le sezioni del Pci e le Camere del lavoro, gli omicidi selettivi di sindacalisti. Il piombo mafioso e le coperture dei servizi e degli apparati repressivi dello Stato, la supervisione, le armi e i soldi di Washington, la protezione delle centrali spionistiche e dei corpi diplomatico-militari Nato infiltratisi nel tessuto siciliano. Un duplice scambio di favori e complicità: prebende, affari di droga e armi, gli appalti alla borghesia mafiosa locale; piena libertà di azione, occupazione e intervento intra ed extra-regionale alle forze armate statunitensi dislocate nelle sempre più numerose basi isolane.
Il processo di riarmo e militarizzazione della Sicilia si è sviluppato progressivamente a partire dalla Guerra fredda, all’insegna dello scontro Est-Ovest. Poi, dopo la crisi energetica di metà anni settanta e il trasferimento del baricentro conflittuale verso il Sud del mondo, il ruolo strategico dell’isola è esploso dirompente. L’installazione dei missili nucleari a Comiso, le forze di rapido intervento Usa inviate dalla base di Sigonella nel Golfo Persico, in Libano e in Corno d’Africa, la prima guerra del Golfo, le tragedie balcaniche e i bombardamenti in Serbia e in Kosovo, l’11 settembre e le sanguinose campagne in Afghanistan, Iraq e Pakistan, l’uragano di bombe, missili e droni contro la Libia nel 2011, hanno irrimediabilmente trasformato il volto della regione. Con drammatiche ripercussioni socio-economiche, paesaggistiche ed ambientali. Le classi politiche dominanti, tuttavia, in perfetta continuità con il passato anche quando a parole la continuità veniva dichiarata “interrotta” (vedi la squallida esperienza del governo regionale di centro-sinistra a fine anni ’90 che ha spianato la strada al modello cuffaristico-lombardiano), hanno sostenuto i piani e le strategie di morte dei partner d’oltreoceano. Anche quando calpestavano selvaggiamente diritti e interessi dei cittadini. E non poteva essere altrimenti: il potenziamento infrastrutturale Usa e Nato ha rafforzato le cosche e il dominio mafioso sul territorio. Gli appalti in mano ai cavalieri del lavoro di Catania (Costanzo, Graci, Rendo e Finocchiaro) per l’ampliamento della rete aeroportuale civil-militare dell’isola a metà anni settanta, l’infiltrazione criminale nella realizzazione della base nucleare di Comiso nei primi anni ottanta, le inchieste della procura di Catania che hanno accertato lo strapotere della “famiglia” di Benedetto Santapaola nella gestione di servizi e forniture nella stazione aeronavale di Sigonella, gli intrecci e le contiguità con la mafia nissena di certe imprese chiamate alla costruzione del grande centro di telecomunicazione Us Navy di Niscemi, segnano le tappe-chiave più recenti del binomio mafia-militarizzazione.
Le leadership dei partiti al governo hanno apertamente alimentato questo processo dirottando ingenti risorse finanziarie pubbliche a favore delle nuove infrastrutture belliche. Contemporaneamente gli amministratori degli enti locali hanno autorizzato dissennate varianti ai PRG per insediare megacomplessi abitativi per i militari e i familiari Usa. Le speculazioni immobiliari sono state linfa vitale per i clan mafiosi consentendo di rinnovare i legami tra politica, mafia e imprenditoria. “Per quanto riguarda l’acquisto della tenuta di Sigonella devo precisare che ero stato stimolato, dopo un primo acquisto in quella zona, ad estendere la proprietà da Stefano Bontate, questi infatti attraverso Pippo Calò e personaggi di Roma a me sconosciuti aveva la possibilità di avere contatti con gli americani”, ha raccontato il collaboratore di giustizia Angelo Siino, noto alle cronache come il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra ed (ex) importante anello di congiunzione tra mafia, massoneria, partiti politici e costruttori. Un affare, quello della più grande stazione aeronavale Usa nel Mediterraneo che vedeva operare congiuntamente vecchia e nuova mafia siciliana. “Il Bontate mi mostrò una planimetria di ampliamento dell’aeroporto militare che doveva includere la mia proprietà che iscriveva l’intera base di Sigonella. Allorché fu presa la decisione di portare avanti l’affare e avere una maggiore presenza nel territorio di Catania prendevo contatti con Nitto Santapaola e con esponenti mafiosi catanesi”.
Vent’anni dopo sono cambiati i protagonisti ma le dinamiche e gli interessi filo-atlantici sono rimasti identici e penetranti. Per realizzare a Belpasso (Ct) un nuovo villaggio per i militari di Sigonella, un’azienda romana (la SAFAB) si è affidata a un faccendiere siciliano personalmente e politicamente amico dei fratelli Lombardo, il governatore Raffaele e il deputato Angelo. L’intera operazione, ovviamente, è stata seguita e benedetta dal reggente di Cosa Nostra a Catania, Vincenzo Aiello. Quella del villaggio Usa di Belpasso è una delle vicende più emblematiche documentate dall’operazione Iblis, l’inchiesta giudiziaria antimafia che ha tracciato il capolinea della parabola lombardiana ai vertici della Regione siciliana.
Raffaele Lombardo, più dei democristiani della prima repubblica e del predecessore Totò Cuffaro, ha incarnato il ruolo di fedele interprete degli interessi politici e strategici d’oltre-atlantico, nonostante quanto scritto contro di lui dai diplomatici Usa in Italia. Da presidente della provincia di Catania ha autorizzato e finanziato la bretella stradale riservata ai residenti del villaggio Usa di Mineo. Da governatore, dopo aver urlato nelle piazze il proprio No all’Eco MUOStro di Niscemi, ha inspiegabilmente mutato opinione autorizzando la realizzazione del terminale terrestre del nuovo sistema satellitare all’interno della riserva naturale “Sughereta”. Per la prima volta della storia d’Italia, un comando Usa aveva chiesto il pass ad un’istituzione locale. E invece di un atto d’orgoglio, in difesa del sacrosanto diritto di tutti alla pace, al lavoro e alla salute, il governatore “autonomista” ha consentito lo sventramento di un territorio protetto. Un’opera impattante, devastante, criminale e criminogena. Anche i lavori del MUOS, infatti, sono stati cosa loro. In violazione della legge La Torre approvata dopo il sacrificio dell’allora segretario regionale del Pci in lotta contro i missili e la criminalità organizzata, essi sono stati subappaltati ad un’impresa privata del certificato antimafia perché ritenuta contigua alla “famiglia” dominante a Niscemi. Ad affidare l’opera un consorzio guidato da un’impresa veneta che nel 2008 aveva finanziato con 15.000 euro la campagna elettorale dell’MPA, il movimento-partito di Lombardo.
Il mal governo e l’ipermilitarizzazione del territorio hanno goduto della pressoché impunità giudiziaria e della desistenza o piena accondiscendenza (secondo i casi) delle forze politiche della sinistra “moderata”. Contro le finalità di distruzione e morte delle basi di Augusta, Sigonella, Niscemi, Pantelleria, Lampedusa, Trapani-Birgi, Noto-Mezzogregorio, Pachino, Marsala, Messina, mai si è levata una voce del Pds, poi Ds oggi Pd e delle organizzazioni-associazioni d’area. I singoli iscritti e i circoli del partito-democratico che hanno sposato le ragioni dei No war sono stati derisi, isolati, delegittimati. Mai una denuncia sui conflitti d’interesse del padre-padrone della stampa e dell’informazione radiotelevisiva siciliana, Mario Ciancio Sanfilippo, direttore-editore de La Sicilia, imprenditore-costruttore di villaggi e residence Usa, azionista della società di gestione dello scalo di Catania-Fontanarossa, ostaggio degli spericolati decolli degli aerei senza pilota di Sigonella, e del non-aeroporto di Comiso, vittima eccellente dei bombardamenti elettromagnetici del MUOS di Niscemi. Ciancio Sanfilippo è il cultore del consumo di territorio e delle mega opere. E le basi militari Usa e Nato sono grandi infrastrutture create in regime di extraterritorialità, fuori dalle leggi del libero mercato. La “sinistra” governista lo sa bene. Per trasformare Sigonella in una delle principali stazioni Usa d’oltremare, il Pentagono ha speso negli ultimi 15 anni poco meno di un miliardo di dollari. Una cifra enorme, appannaggio in buona parte della società leader di Lega Coop, la CMC di Ravenna, quella del Dal Molin di Vicenza, dei tunnel della val di Susa e del Ponte sullo Stretto di Messina. I business di guerra hanno generato ecomostri cancellando l’identità e la soggettività di chi era nato per rimettere in discussione come, quando, perché e in favore di chi produrre. La Sicilia-portaerei è anche l’isola dei trasformismi e delle irreversibili mutazioni genetico-politiche.
Articolo pubblicato in Ombre Rosse, n. 10 dell’8 settembre 2012
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