Mauro De Mauro |
"La causa scatenante della decisione di procedere
senza indugio al sequestro e all'uccisione di Mauro De Mauro fu costituita dal
pericolo incombente che egli stesse per divulgare quanto aveva scoperto sulla
natura dolosa delle cause dell'incidente aereo di Bascapè, violando un segreto
fino ad allora rimasto impenetrabile e così mettendo a repentaglio l'impunità
degli influenti personaggi che avevano ordito il complotto ai danni di Enrico
Mattei, oltre a innescare una serie di effetti a catena di devastante impatto
sugli equilibri politici e sull'immagine stessa delle istituzioni".
In 2.199 pagine, depositate questo pomeriggio, i giudici della prima sezione della Corte d'assise di Palermo ricostruiscono così l'omicidio del giornalista Mauro De Mauro, sequestrato da Cosa nostra il 16 settembre 1970 e mai più tornato a casa.
In 2.199 pagine, depositate questo pomeriggio, i giudici della prima sezione della Corte d'assise di Palermo ricostruiscono così l'omicidio del giornalista Mauro De Mauro, sequestrato da Cosa nostra il 16 settembre 1970 e mai più tornato a casa.
Pur assolvendo l'unico imputato, Totò Riina, il
collegio presieduto da Giancarlo Trizzino, a latere Angelo Pellino (estensore
della motivazione) ricostruisce il torbido contesto in cui il cronista del
quotidiano "L'Ora" pagò il suo scoop sulla morte del presidente
dell'Eni, Mattei, simulata da incidente aereo nei pressi di Pavia il 27 ottobre
1962.
"La natura e il livello degli interessi in gioco -scrive il giudice Pellino- rilancia l'ipotesi che gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristico-mafiosi su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro (fratello del giornalista, ndr) nel 1970. E fa presumere che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale. Non per questo deve escludersi qualsiasi responsabilità di elementi appartenenti a Cosa Nostra, stante il livello di compenetrazione all'epoca esistente e i rapporti di mutuo scambio di favori e protezione tra l'organizzazione mafiosa e uomini delle istituzioni ai più disparati livelli".
"La natura e il livello degli interessi in gioco -scrive il giudice Pellino- rilancia l'ipotesi che gli occulti mandanti del delitto debbano ricercarsi in quegli ambienti politico-affaristico-mafiosi su cui già puntava il dito il professor Tullio De Mauro (fratello del giornalista, ndr) nel 1970. E fa presumere che di mandanti si tratti e non di una sola mente criminale. Non per questo deve escludersi qualsiasi responsabilità di elementi appartenenti a Cosa Nostra, stante il livello di compenetrazione all'epoca esistente e i rapporti di mutuo scambio di favori e protezione tra l'organizzazione mafiosa e uomini delle istituzioni ai più disparati livelli".
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