L'Ilva di Taranto |
"Un disastro
ambientale dannoso e pericoloso per la pubblica incolumità, determinato nel
corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività
inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta
della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida
dell'Ilva, i quali hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza
delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte, nello
specifico dai provvedimenti autorizzativi". Con questa frase
sostenuta in un documento di 123 pagine, il Collegio del riesame del Tribunale
di Taranto ha, non solo confermato la sentenza del giudice Patrizia Todisco, ma
è andato ancora avanti passando da un'ipotesi di reato per disastro ambientale
di natura colposa a una dichiarazione di dolosità da parte degli
imputati suffragata da un'ampia esegesi di fonti giurisdizionali e tecniche.
A
sostegno di questo giudizio è intervenuta, infatti, anche l'ulteriore azione
investigativa giudiziaria che ha portato alla denuncia sulla base di
intercettazioni ed altri riscontri obiettivi a carico dei tre maggiori imputati
e di altri per reati di corruzione e concussione. Da ciò la conferma con nuove
motivazioni dei provvedimenti di arresto cautelare a carico dei due Riva, padre
e figlio, e del loro principale collaboratore Capogrosso.
È tale la forza
probatoria dell'indagine condotta dalla magistratura tarantina che "il
Sole 24 Ore" ha avanzato l'ipotesi che si possa arrivare, superando fasi
intemedie, direttamente al dibattito conclusivo. Questo documento, a mio
avviso, ha il merito di affrontare aspetti decisivi per quanto riguarda la
difesa dell'ambiente, lo sviluppo
industriale e la stessa questione meridionale (in nessuno degli altri
siti industriali gestiti dai Riva in Italia settentrionale ed in Europa sarebbe
stato possibile mantenere talmente a lungo, e persino incrementare, un tipo di
lavorazione così inquinante). La differenza, ancora una volta, di tipo
neocoloniale tra "nordici e sudici".
Occorrerebbe
stampare, con opportune illustrazioni e notazioni, il testo integrale della
sentenza in un volumetto da distribuire all'inizio dell'anno scolastico alle
scuole superiori della Repubblica per far prendere consapevolezza alle nuove
generazioni non solo dei problemi affrontati nella sentenza ma anche del ruolo
dell'autonomia della Magistratura rispetto agli altri poteri, legislativo ed esecutivo,
che sta alla base dalla nostra Costituzione.
Dopo questa conferma
il Ministero dell'Ambiente ed il governo hanno rinunciato al ricorso alla Corte
Costituzionale che incautamente, seguendo le orme di Napolitano, avevano
annunciato. Il Ferrante, a sua volta, ha rinunciato ai ricorsi giudiziari ed ha
confermato la sua disponibilità nei confronti dei sequestratari nominati dal
tribunale. Molti operai, infatti, avevano denunciato che, subito dopo la prima
sentenza, l'Ilva aveva accelerato il funzionamento degli impianti e quindi la
quantità di inquinanti immessi nell'atmosfera; continuare su questa pratica
avrebbe portato all'incriminazione di Ferrante assieme ai suoi
"mandanti". Ma cosa ancora più importante, la duplice sentenza ha
stimolato maggiori mobilitazioni positive. In primo luogo a Taranto con la
crescita del movimento dei "cittadini liberi e pensanti", su scala
nazionale e a Taranto la rottura dell'unità sindacale a difesa degli interessi
dell'Ilva operata dalla Fiom, contro CISL e UIL, con una presa di posizione a
favore della magistratura e a sostegno delle forze ambientaliste. Ma il caso
Ilva ha avuto effetto ancora più importante a livello nazionale incitando la
mobilitazine di forze ambientaliste di sindacati e di amministrazioni comunali delle
altre aree meridionali inquinate quali Priolo, Gela, Brindisi, ecc.
Il sequestro così è
entrato in funzione ed in questo momento è annunciata una riduzione delle
emissioni al 70% nei reparti sequestrati sulla base delle istruzioni dei
magistrati e dei sequestratari. Vorrei fare due osservazioni in vista di una
modifica nel sistema Ilva.
Come avviare il
processo di messa in regola dell'impianto senza arrivare alla sua totale
chiusura? Nel giornale "la Sicilia" di Catania del 28 luglio scorso
sono stati intervistati Donato Firrao, docente di metallurgia del Politecnico
di Torino, secondo cui era sufficiente fermare un solo reparto (la cokeria) e
continuare la produzione, e Michele Giuliani, Politecnico di Milano, secondo il
quale: "il settore pù inquinante dell'impianto è la cokeria quello cioè
dove si trasforma il carbone mentre l'altoforno di Taranto è appena stato
rimesso a nuovo? Si poteva tranquillamente chiudere solo la cokeria e comprare il suo prodotto, il coke, sul
mercato, continuando così la produzione. In questo modo si diminuirebbero le
emissioni". La cokeria infatti era stata chiusa per diversi mesi per
iniziativa dello stesso Riva, dopo una delle sue numerose condanne penali, fino
a quando l'allora Presidente della Regione Fitto non intervenne con un
provvedimento che permise la ripresa dell'attività. Questa sospensione (e
chiusura definitiva) della cokeria diminuirebbe l'immissione di polveri e di
fumi che contengono, assieme ad altri inquinanti, il tremendo benzopirene che è
causa di gran parte delle malattie tra i bambini e le popolazioni delle zone
confinanti e tra gli stessi operai del complesso. Per il resto bisogna però
prevedere come realizzare effettivamente l'adozione B.A.T (best available
technology) che oggi è offerto ad es. su scala mondiale dalla Siemens tedesca,
adottata, in impianti analoghi a quelli a caldo di Taranto, in Cina che ha
enormi problemi di inquinamento che però vengono affrontati con forza nei vari
Piani Quinquennali. Si può cominciare subito ad introdurre questa tecnologia a
partire dagli altiforni che sono chiusi in modo da avviare un processo che in
pochi anni potrebbe rendere, forse, sopportabile l'esistenza di una parte della
lavorazione a caldo a Taranto.
Ma la conferma, anzi
l'aggravamento dell' incriminazione dei Riva apre un'altra prospettiva di
mobilitazione degli interessi colpiti, a cominciare dal comune e dalla regione che potrebbero e
dovrebbero costituirsi come parte civile nel procedimento penale. Potrebbero
farlo anche i singoli cittadini e gli operai danneggiati, colpiti da malattie
legate all'inquinamento, i familiari delle vittime, i genitori dei bambini i
cui bronchi sono già oggi invasi da patologie analoghe a quelle dei fumatori e
direi tutti gli operai e i cittadini di Taranto sulla cui salute grava la
minaccia dell'inquinamento anche per i prossimi decenni della loro vita.
Queste legittime
richieste di risarcimento potrebbero superare il valore attuale degli impianti
dell'Ilva e quindi rappresentare lo stimolo a richiedere provvedimenti cautelari
in sede civile a carico di Riva in aggiunta a quelli già stabiliti dal decreto
di sequestro. Si apre perciò la possibilità di una larga mobilitazione che
sarebbe anche un'azione di sostegno alla meritoria attività della magistratura.
Il caso Riva infine
ha suscitato, rafforzato e reso più attuale un dibattito sugli obiettivi
immediati e sulle prospettive di lunga durata che possono porsi per il
movimento ambientalista e di sinistra, come gli articoli pubblicati dal
Manifesto, ed ora con ritardo gli altri giornali, stanno dimostrando. La
proposta recente di "Italia dei Valori" di affrontare con quattro
referendum del governo Monti l'attacco all'art. 18 ed altri problemi sociali e
di costume riprende l'esperienza positiva degli ultimi referendum sull'acqua
pubblica e contro il nucleare. I 27 milioni di cittadini che l'11 e il 12
giugno dello scorso anno hanno condannato la politiche di privatizzazione
dell'acqua e dei servizi sociali, e di reintroduzione dell'energia atomica in
Italia, volute da Berlusconi, al posto dello sviluppo delle energie
rinnovabili, contribuirono a farlo uscire di scena.
Una nuova stagione
referendaria che sottoponga al voto dei cittadini italiani le nefaste
iniziative legislative del governo Monti, anche in materia ambientale ed energetica,
possono aprire la strada ad una nuova stagione politica nel nostro paese. Lo
testimonia anche l'ultimo lunghissimo Consiglio dei Ministri del governo Monti.
Nelle settimane precedenti la stampa cosiddetta "indipendente" aveva
popolarizzato come uno degli elementi qualificanti del programma di crescita
l'adozione di un piano energetico nazionale basato sulla ricerca di idrocarburi
anche all'interno dei mari territoriali sull'incremento delle infrastrutture
metanifere e petrolifere in gran parte collocate all'estero, di gasdotti e
sulla realizzazione di rigassificatori in modo da valorizzare nell'arco dei
prossimi 20/30 anni ed ancora di più l'utilizzazione delle energie fossili. In
terzo luogo la adozione delle misure di blocco del solare fotovoltaico (e
dell'eolico) dopo che finalmente l'Italia che ha condizioni più favorevoli del
resto dell'Europa nel 2011 aveva raggiunto una potenzialità di impianti di
circa 6mila megawatt l'anno. Mantenere questo ritmo di installazione
significava da un lato raggiungere l'autonomia energetica in campo elettrico
entro 10/15 anni chiudendo tutti i mostri a carbone, ad olio combustibile e a
metano e dall'altro moltiplicare per 10 o 12 volte gli impianti tipo SMT di
Catania e relative occupazioni per potere garantire, con prodotti nazionali,
questa storica trasformazione energetica. Il programma di Clini e Passera
bloccava questo sviluppo. Nel Consiglio dei Ministri questo progetto non è
stato approvato e sarà sottoposto ad una consultazione di tutte le parti
interessate e successivamente, nel mese di dicembre, ad una nuova riunione del
Consiglio dei Ministri a solo due mesi di distanza dalla conclusione della
legislatura. Diventa perciò di grande rilievo sottoporre anche al popolo
italiano la questione energetica. I 27
milioni che hanno detto no alla privatizzazione dell'acqua ed all'energia
nucleare, costituiscono la vera piattaforma elettorale da cui partire per
realizzare un progetto politico di alternativa non solo al governo Berlusconi
ma anche a tutte le forze neoliberiste che hanno sostenute e sostengono il
governo Monti.
Nicola Cipolla
Presidente del Cepes - Palermo
ex senatore della Repubblica Italiana
Presidente del Cepes - Palermo
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