di Antonio Mazzeo
Un
grande cimitero-pattumiera di tutte le navi da guerra che saranno dismesse dalle
marine dei paesi membri della NATO. Prodotti chimici e idrocarburi, agenti
inquinanti e cancerogeni, rifiuti tossici e speciali. Da stoccare, maneggiare,
trattare e “bonificare” a due passi dal centro urbano. A Messina, nel cuore
dello Stretto, lo storico Arsenale militare è destinato a divenire il Centro di eccellenza per la
“demilitarizzazione e lo smaltimento” delle unità navali dell’Alleanza Atlantica
fino a duemila tonnellate (il cosiddetto “naviglio sottile”).
Lo hanno deciso a
Roma i manager dell’Agenzia Industrie e Difesa, l’ente di diritto pubblico
istituito nel 1999 per “razionalizzare” le strutture industriali del Ministero
della Difesa in vista della loro privatizzazione.
Partner
del progetto sarà la NATO Maintenance and
Supply Agency (NAMSA), l’agenzia logistica dell’Alleanza con sede a Capellen
(Lussemburgo) che assiste i paesi membri negli acquisti comuni e nella
manutenzione dei sistemi d’arma, dal primo luglio di quest’anno sotto il
controllo della neo costituita NATO
Support Agency (NSPA).
Secondo quanto rivelato dalla Gazzetta
del Sud, entro
la fine dell’estate una commissione NAMSA giungerà a Messina per verificare la
tipologia degli impianti dell’Arsenale e autorizzare l’arrivo delle prime navi
da rottamare. Per rendere pienamente operativo il nuovo Centro d’eccellenza sarà però necessario
realizzare gli “impianti per garantire la sicurezza ambientale” e le “aree per
l’accumulo di materiali da smaltire” per un importo di circa 25-30 milioni di
euro, con fondi militari e sotto l’egida dell’Agenzia Industria e Difesa.
La
trasformazione dell’infrastruttura peloritana in un centro d’élite NATO è stata
confermata dall’ex ammiraglio Gian
Francesco Cremonini, da una decina d’anni alla guida dell’Arsenale. “Lo start up del progetto è stato avviato
una decina di giorni fa”, ha dichiarato. “Si tratta di una grandissima
occasione per la città. Su Messina viene indirizzato un interesse internazionale
e di questo non potrà non trarne un grande vantaggio anche in termini
occupazionali. Una scommessa voluta dal direttore generale dell’AID, l’on. Marco
Airaghi, che crede moltissimo nella nostra struttura e che rientra in un
progetto più ampio che riguarda tutti gli otto ex stabilimenti militari,
dismessi come tali e riconvertiti in enti privatistici…”. Commendatore
dell’Ordine Militense dei Cavalieri di Malta
e parlamentare Pdl dal 2001 al 2008, Airaghi
è uno degli uomini più potenti del sistema nazional-militare. Oltre a dirigere
l’Agenzia Industrie e Difesa, il politico lombardo è infatti presidente della
Consulta Nazionale per l’Aerospazio e vicepresidente dell’Agenzia Spaziale
Italiana (ASI).
“Per
il primo anno arriveranno a Messina navi già bonificate, non avendo a
disposizione da subito tutti gli impianti necessari, ma entro la prossima estate
il progetto potrà essere a regime”, ha spiegato Cremonini. “Di fatto, nella
nostra struttura verranno inviate, da tutti gli Stati che fanno parte della
NATO, quelle unità navali che vanno distrutte o di cui alcuni strumenti andranno
riconvertiti ad uso civile”.
Successivamente, l’Arsenale
di Messina - assieme agli stabilimenti di Torre Annunziata e Capua - potrebbe
occuparsi della “demilitarizzazione” dei carri armati alleati, del “recupero”
dei motori e della loro “conversione in sistemi eolici”. L’aspirazione a fare
dei mezzi militari un’occasione di ecobusiness è stata confermata durante
un recente incontro tra l’ex ammiraglio e i rappresentanti sindacali di base
dell’Arsenale. “Secondo l’accordo fra l’AID e la NAMSA, le navi militari
dell’Alleanza dovrebbero essere smontate nel bacino di Messina per utilizzarne i
pezzi di ricambio nell’industria energetica, forse nel fotovoltaico”, ha
dichiarato a Nettuno Press la
segretaria provinciale della Fp Cgil, Clara Crocè. “Abbiamo chiesto però un
incontro a Cremonini per avere notizie dirette sul progetto perché ci sono
diversi punti da chiarire compreso il fatto che Messina, secondo le notizie
approssimative che abbiamo, non si limiterebbe ad acquisire la commessa ma
diventerebbe appoggio logistico per la NATO”.
Dal
punto di vista occupazionale, il progetto è comunque visto con favore dal
sindacato. In città è già scoppiata la guerra dei numeri: la riconversione a
megacimitero delle navi militari dell’Alleanza comporterebbe tra i 200 e i 220
posti di lavoro. Ma nessuna illusione: non ci saranno nuove assunzioni anche
perché all’Arsenale è in atto, da tempo, una drastica riduzione del personale
impiegato. “Quella del progetto è una notizia positiva”, commenta la Crocè.
“Eravamo ad un passo dall’intavolare le
trattative per il taglio di un minimo di 72 unità lavorative ad un massimo di
80. In questo modo il personale in esubero potrebbe trovare ricollocazione”.
A
commentare positivamente il piano NATO anche il sindaco di Messina Giuseppe
Buzzanca (Pdl), Confindustria e il segretario provinciale della Cisl, Tonino
Genovese. Contro, ad oggi, solo i rappresentanti della Campagna per la smilitarizzazione di
Sigonella e della Rete No Ponte.
“Il centro logistico NATO a Messina si aggiunge alla stazione satellitare MUOS
della Marina USA di Niscemi e allo schieramento dei droni a Sigonella”, commenta
per i No war, Alfonso Di Stefano.
“Così la Sicilia rafforza la sua immagine di isola piattaforma di guerra e
pericolosa discarica dei sistemi di morte obsoleti”.
“Sulla
pelle dei cittadini, esattamente come accaduto con il Ponte sullo Stretto, viene
imposto ancora una volta un programma dall’insostenibile impatto ambientale,
sociale ed economico e dall’assai dubbia rilevanza occupazionale”, dichiara Gino
Sturniolo dei No Ponte. “Per questo
ci mobiliteremo contro la rimilitarizzazione della zona falcata di Messina,
un’area d’importanza storico-urbanistica e di rilevante bellezza paesaggistica
che deve essere invece tutelata e bonificata e divenire bene comune della
città”.
Imprenditori,
costruttori e speculatori puntano da tempo ad accaparrarsi le aree della
centralissima zona falcata occupate dal Comando militare di Marisicilia (oggi
trasferito ad Augusta) o da alcuni cantieri navali in via di dismissione. Nelle
mire, ovviamente, anche il complesso dell’Arsenale che si estende su una
superficie di circa 55.000 mq di cui quasi la metà coperta da officine,
magazzini e uffici. Alle dipendenze dell’Agenzia Industrie e Difesa dal 2001,
l’Arsenale opera attualmente nel settore della cantieristica navale, fornendo i
servizi di carenaggio alle unità civili e militari e la riparazione di scafi,
motori, macchinari ausiliari, impianti elettrici, armamenti nautici. Con circa
300 metri di banchine di ormeggio, un bacino in muratura e uno galleggiante,
l’Arsenale annovera tra i principali clienti la Marina militare, la Guardia
costiera e la Guardia di finanza, R.F.I. Spa e alcune società industriali e di
navigazione (Fincantieri, Rodriquez Cantieri Navali, Gruppo Tirrenia
Navigazione, Caronte & Tourist Lines, ecc.).
Negli
impianti dell’Arsenale i lavoratori sono stati lungamente in contatto con
materiali altamente pericolosi, inquinanti e nocivi per la salute. A partire dal
famigerato amianto, la cui inalazione durante gli interventi alle unità navali
avrebbe causato l’insorgenza del cancro tra alcuni dipendenti. Nell’aprile 2011
il Tribunale di Messina è stato chiamato a giudicare otto alti ufficiali della
Marina militare accusati di responsabilità nella morte per carcinoma polmonare
di un elettricista civile, Ignazio Siracusa, impiegato presso il Gruppo per natanti locali e scomparso
nel 2005 dopo lunga agonia. A seguito della presentazione di due consulenze
redatte per conto della difesa da esperti della “Cattolica” di Roma e del
Politecnico di Torino che affermavano “l’impossibilità” di stabilire una stretta
correlazione tra la forma tumorale riscontrata al Siracusa e l’assorbimento di
fibre di amianto, il gup Daria Orlando ha però pronunciato la sentenza di non
luogo a procedere contro gli imputati, “perché il fatto non sussiste”.
Dell’Arsenale
di Messina si è tornati a parlare sulle prime pagine nazionali nel maggio di
quest’anno. A conclusione di un anno di lavori di “revisione e rimodulazione”,
quattro motovedette Classe 200/S della Guardia costiera italiana sono state
consegnate al Governo di Panama in base agli accordi di cooperazione militare
sottoscritti nel 2010 dal premier Silvio Berlusconi e dal presidente della
repubblica centroamericana Martinelli. Le unità, utilizzate nella caccia ai
migranti nel canale di Sicilia, erano state cedute a titolo gratuito alle
autorità panamensi in cambio dell’acquisto di sistemi elettronici Selex ed
elicotteri da guerra Agusta per il valore complessivo di 160 milioni di euro.
Mediatore dell’affaire l’ex direttore dell’Avanti, Valter Lavitola, ricompensato da
Finmeccanica con una più che sospetta “provvigione” che sfiorerebbe i sei-sette
milioni di euro. Prima di lasciare i cantieri dell’Arsenale peloritano, le
quattro motovedette sono state meta di una visita ufficiale dell’ambasciatore
della Repubblica di Panama in Italia, Guido Martinelli Endara, già direttore del
Banco Panamà e nipote dell’omonimo presidente centroamericano.
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