Il partigiano Mauro Zito "Palermo" |
Quando è partito per la Guerra e come avviene l'ingresso nella Brigata
Pisacane?
Il brevetto di partigiano di Mauro Zito |
Sono partito per la guerra per raggiungere Torino. Dopo un mese sono stato
portato a Pinerolo nella scuola di applicazione di Cavalleria. Lì ho studiato
per pilota di autoblindi. Ho preso la patente. Sono stato a Pinerolo, a Cavour,
sempre in Piemonte. Con l'Armistizio ci fu lo sbandamento dell'esercito e così
siamo scappati. I piemontesi ci hanno accolto, ci hanno dato ospitalità, per
ricompensa abbiamo fatto dei lavori in cambio del rifugio. Per qualche giorno
andammo avanti così. Si era formata una squadra di Partigiani. Il comandante
era Barbato, Pompeo Colajanni. Barbato ci disse:“Ragazzi io vado in
montagna”. Era un siciliano come noi. Ci voleva bene a tutti. “Chi mi vuole
seguire mi segua, ma chi non vuole niente. Ma badate che la cosa la faremo
seria.” Eravamo un gruppo di cinque o sei soldati siciliani e ci tenevamo in
contatto tra di noi per le campagne piemontesi. Apprendemmo che i tedeschi
stavano avanzando erano quasi arrivati in Piemonte. Noi avevamo paura di finire
prigionieri e deportati in Germania. Così abbiamo mandato uno dei nostri amici
a parlare con lui, per arruolarci nella Brigata . Lui ci disse di si. Lui era
nella zona di Montoso. Lo raggiungemmo e nella stessa notte ci portò in
montagna. Giunti lì trovammo tre partigiani, uno dei quali era l'onorevole
socialista Pietro Nenni. Appena fummo in casa mettemmo la pentola per la pasta.
Nenni non aveva la cavetta e perciò non aveva dove mettere la
pasta. Io gli offrii la mia, dicendo che avrei mangiato nel coperchio. Ma lui
mi disse: “No! Tu mangia nella cavetta, a me basta il coperchio”. E
mangiò la pasta nel coperchio della mia cavetta. Siamo stati così tre giorni
insieme a Barbato e a Pietro Nenni. L'indomani non avevamo ancora nulla da
mangiare. Avevamo un cavallo. Nenni disse a Barbato:“Uccidiamo il cavallo e
lo mangiamo”. Così per la prima volta mangiai la carne di cavallo. Pietro
Nenni andò via e Barbato rimase con noi. Quello che pensavo io ed anche i miei
compagni era che la guerra stesse per finire. Pensavamo che presto con l'arrivo
degli Americani tutti saremmo tornati a casa. Invece non fu così perchè la
Resistenza durò abbastanza., come sapete. Noi non volevamo combattere, ma fare
solo piccole azioni di sabotaggio per i tedeschi e i fascisti italiani.
Mussolini formò la Repubblica fascista, la Repubblica di Salò. Noi partigiani
cercavamo di procurare dei guasti a loro. Per esempio rompevamo le linee
telefoniche, qualche ponte. Noi eravamo organizzati e addestrati. Loro non erano
abituati alla lotta partigiana e così li fregavamo. Per esempio arrivavano coi
loro camion cantando, scendevano dal camion e noi aspettavamo che arrivassero
vicino a noi. Noi avevamo le mitraglie di 20 mm e altre mitraglie. Appena erano
vicini noi li attaccavamo e giustamente succedeva un macello. Così i fascisti
presto capirono che prima di avvicinarsi dovevano prendere degli ostaggi. Così
quando arrivavano in un paese vicino, prendevano i civili e se li mettevano
davanti per farsi scudo. Allora noi non potevamo più sparare perchè se no
avremmo ucciso gli ostaggi. Così preferivamo tagliare la corda e andare in
montagna. Per venti mesi durò la lotta partigiana. La cosa divenne sempre più
sentita. Si arruolavano sempre più partigiani. Poi sono intervenuti gli
americani che ci mandarono viveri, cibo, soldi, armi e munizioni e una
mitraglietta che col caricatore sparava trenta colpi. E intanto la lotta
continuava.
Durante questi venti mesi, a un certo punto i nostri comandanti decisero di
dare il colpo decisivo. Così cominciammo a nasconderci sulle montagne del
Piemonte. Noi avevamo deciso o morte o sorte. La mia era la 105^ Brigata
d'assalto Carlo Pisacane. La lotta definitiva portò i tedeschi a fuggire e a
ritirarsi. Purtroppo i nostri morti furono tanti. Il mio gruppo era fatto di 25
partigiani. Liberammo Pinerolo. Di venticinque ne morirono otto. Il comandante
ci comunicò che da Torino chiedevano rinforzi. Allora lui ci chiese chi voleva
andare. Io fui il primo a dire si. C'era un camioncino. Salimmo su e partimmo
in quindici. Arrivammo all'incrocio della Via Stupinigi e lì c'era la colonna
dei tedeschi che si ritirava. Ci fermammo chiedendoci cosa fare. C'era un
piccolo spazio fra noi e i tedeschi allora dissimo all'autista di accelerare e
passare. Siamo arrivati a Torino. Con armi e bandiere in mano. A Torino presimo
d'assalto le caserme coi tedeschi.
Di quell'epoca avevo la camicia rossa che purtroppo non ho più. Era di un
rosso vivacissimo.Dopo che siamo arrivati a Torino, a Pinerolo c'erano altri
tredici compagni che chiamammo a Torino in aiuto. Anche loro su un camioncino
al fatidico incrocio di Corso Stupinigi, hanno tentato di passare la colonna
tedesca ancora lì, ma li hanno attaccati e massacrati tutti e tredici. Hanno
fatto una cosa da vigliacchi perchè oltre ad ucciderli li hanno, sfigurati. Io
ricordo ancora quella sera quando andammo a prendere i cadaveri erano
irriconoscibili. Liberammo così Torino e così noi partigiani fummo costretti a
tenere l'ordine pubblico perchè non c'era nessuno che facesse mantenere
l'ordine. Noi avevamo liberato al città e dovevamo anche far tenere l'ordine
pubblico. Rimasi un mese lì. Io volevo arruolarmi nella polizia ferroviaria.
Avrebbero dato un posto statale a tutti i partigiani. Sono stato un mese a fare
il servizio di ordine pubblico, nella polizia ferroviaria. Ci hanno detto:
ragazzi potete restare, ma chi vuole tornare a casa può andare”. Io avevo
lasciato mia moglie in Sicilia. Mi ero sposato quaranta giorni prima di partire
per la guerra. Le avevo mandato un messaggio con la Croce Rossa Italiana. Un
messaggio di due parole: “Sono vivo” Non potevo scrivere di più. Se i tedeschi
vedevano qualche parola in più non recapitavano il messaggio. Lei mi disse poi
che lo ricevette. Insomma io rinunciai al posto in polizia. Mi dicevano che se
volevo rimanere lì non dovevo tornare a casa. Non sarei certo tornato presto a
casa. Prendemmo la decisione comune coi compagni siciliani di tornare a casa.
Mi racconta l'arrivo a casa, da sua moglie?
Mia moglie pensava che fossi morto, perchè i reduci erano ritornati tutti e
io non arrivavo, lei si chiedeva se fossi morto e lo temeva. Prima di tornare a
casa ci diedero dei vestiti nuovi. Era maggio. Arrivai in treno alla stazione
di San Mauro e presi la corriera per arrivare in paese. Appena arrivai in
paese, ero carico di valigie, perchè mi avevano dato tanta biancheria, vestiti.
Avevo valigia, zaino e zainetto. Mi aiutarono e lì c'era un mio vicino di casa
che mi vide e mi riconobbe. Corse verso casa a chiamare mia moglie e mia sorella,
per annunciare il mio arrivo(la voce è rotta dall'emozione n.d.r.). Da quel
giorno rimasi a San Mauro. Mi misi a lavorare lì per tre anni e poi emigrai a
Cefalù. Lì ho messo su un allevamento di polli. L'ho fatto per tanti anni. Poi
è diventato complicato con le nuove leggi e abbandonai questo lavoro e ho fatto
l'operaio forestale, nella squadra antincendio del Comune di Cefalù, fino alla
pensione. Ho comprato un pezzo di terra e mi dedicavo ai frutti della terra..
Ma lo Stato italiano non ha dato privilegi a voi partigiani?
Come partigiani ci toccava il posto statale. Potevo rimanere nella polizia
ferroviaria. Come militare ci dava mille lire al giorno. Io rinunciai al posto,
scegliendo l'amore. Pensavo a mia moglie che avevo lasciato dopo 40 giorni di
matrimonio per partire per la guerra. Ho avuto tre figli. Due vivono a Cefalù
ed una vive proprio in Piemonte(la terra che il partigiano Palermo ha
contribuito a liberare n.d.r.).
Ricorda gli altri partigiani siciliani?
Ricordo un certo Sebastiano Bucchieri. Noi ci eravamo promessi di rivederci
tutti quanti insieme(l'emozione è forte n.d.r.), ma non è successo purtroppo.
Ricordo un compagno di Caccamo, lo feci cercare anche da mio figlio, anni fa,
ma nessuna notizia. Voglio dirvi che sono contento di avere partecipato alla
vita Partigiana perchè ci credevo a quello che facevo contro i tedeschi e
contro la dittatura di Mussolini, io ero per la democrazia e non per la
dittatura.
Mirella Mascellino
Giuseppe Spallino
per MadonieLive.com - domenica 3 luglio 2011
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