Il boss mafioso Antonino Troia |
L'essere stato un capomafia di rilievo non basta per
restare al carcere duro. Neppure se nel proprio "curriculum"
criminale compare una condanna all'ergastolo per la strage in cui venne ucciso
Giovanni Falcone e quattro "fine pena mai" per omicidi vari. La
proroga del '41 bis va ben motivata. Insomma lo stampone" e gli assunti
scontati non sono sufficienti, anche per un boss come Antonino Troia, accusato
di avere preso parte alla deliberazione e alla realizzazione dell'eccidio di
Capaci.
Il boss faceva parte della Cupola quando
l'attentato fu deciso, nascose il tritolo usato per l'esplosione ed
"ospitò" nel suo territorio il commando. Non è la prima volta che il tribunale di
sorveglianza di Roma "bacchetta" e annulla le proroghe dei 41 bis.
Stavolta, sotto la lente di ingrandimento del collegio della Capitale,
competente su tutte le impugnazioni dei decreti ministeriali che impongono il
regime carcerario duro, è finita la decisione di confermare il provvedimento
disposto ben 19 anni fa a carico, appunto di Antonino Troia. In sei pagine i giudici, che revocano la misura,
definiscono "non adeguatamente motivato, il decreto con il quale il
ministro della Giustizia, lo scorso novembre, aveva rinnovato le restrizioni
carcerarie disposte a carico del capomafia.
In sostanza il ragionamento del tribunale è
questo: che Troia sia stato, fino al 1992, un boss di spicco è assodato.
Lo prova la condanna all'ergastolo inflittagli per la strage di Capaci. Ma nel
decreto non risulta dimostrato nè che la 'famiglià di Capaci sia ancora
operativa, nè che "l'organizzazione mafiosa abbia ancora interesse a
intessere indebiti collegamenti con Troia"."Nel corso degli ultimi 19 anni - scrive il collegio - non è mai emerso alcun elemento, giudiziario e non, che possa dirsi sintomatico di perdurante esercizio o riconoscimento del ruolo di vertice di Troia". Per il tribunale, insomma, l'unico elemento di valutazione utile del provvedimento, quello relativo al ruolo in Cosa nostra, si ferma al '92. Se è vero - concludono - che il decorso del tempo non può da solo costituire elemento decisivo di valutazione, è altrettanto illegittimo fondare il giudizio richiesto dall'art. 41 bis esclusivamente sul ruolo esercitato 20 anni fa da persona che oggi, settantenne e malata, e sottoposta da 19 anni a rigorosissimo ed afflittivo regime penitenziario non ha più avuto relazione diretta o indiretta con un'organizzazione che, pur nell'ambito di Cosa nostra, non è noto sei sia localmente attiva e, soprattutto, in qualsiasi modo ancora legata a interessi legati a Troia".
La vicenda, comunque, è tutt'altro che chiusa: Troia, a quanto si apprende, non tornerà subito al regime carcerario ordinario, ma passerà prima attraverso un periodo di "alta sicurezza". Nel frattempo la Procura nazionale Antimafia e la Procura generale presso la Corte d'Appello, potranno presentare eventuale ricorso.
La Repubblica, 18.6.2012
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