Giovanni Falcone |
All'interno della mostra sarà proiettato anche un filmato con immagini di repertorio realizzato della Tgr Rai Sicilia. "Ringrazio molto l'agenzia Ansa per avere allestito questa mostra - ha detto il presidente della Fondazione Sicilia, Giovanni Puglisi - spero che tutti i giorni e non solo il 23 maggio, anche grazie all'esposizione, si possa celebrare il ricordo di Falcone e Borsellino. Questo ricordo, grazie alle fotografie, molte inedite, è la cosa più bella del restauro e della riapertura di Palazzo Branciforte". La cerimonia di inaugurazione è fissata il 23 maggio alle 17. L'esposizione resterà aperta fino a settembre.
FALCONE: L'EMOZIONE DI NAPOLITANO DAVANTI
A QUELLE FOTO
Davanti alle immagini che raccontano, in
una mostra dell'ANSA, le storie e le tappe delle vite parallele di due
magistrati, unite da un filo comune che li ha accompagnati dalla nascita fino
alla loro morte, Giorgio Napolitano non ha trattenuto la sua emozione. Il capo
dello Stato e' rimasto colpito soprattutto dal volto di Paolo Borsellino ai
funerali di Giovanni Falcone. Davanti a quell'immagine di un uomo stravolto, il
presidente si e' soffermato piu' a lungo. Ma ogni foto dell'esposizione ha
evocato un suo ricordo personale. La mostra ANSA, inaugurata da Napolitano, e'
allestita in un'ala di palazzo Branciforte, nelle sale lignee dell'ex Monte di
pieta' di Santa Rosalia appena restaurate dall'architetto Gae Aulenti, e
propone l'itinerario umano e professionale dei due magistrati. Le loro storie
sono scandite dagli scatti del servizio fotografico dell'ANSA, ma anche dalle
immagini ripescate dagli album di famiglia che riprendono momenti privati: i
giochi dell'infanzia, il giorno della laurea, la vacanza al mare, gli incontri
tra colleghi diventati anche amici. E poi i giorni del ''corvo'', le delusioni
e le ostilita' nel palazzo dei veleni, il fallito attentato dell'Addaura, le
bombe a Capaci e in via D'Amelio. E infine l'orgogliosa risposta di Palermo con
i lenzuoli alle finestre e le catene umane con le scritte dalle quali prende
spunto anche il sottotitolo alla mostra: ''Non li avete uccisi: le loro idee
camminano sulle nostre gambe''. Le tappe di due storie incrociate sin
dall'infanzia (Falcone e Borsellino erano nati nello stesso quartiere del
centro storico, la Magione) sono raccontate non solo con le immagini ma anche
con i testi giornalistici e le parole degli stessi magistrati diventati simboli
della lotta alla mafia. Ne scaturisce un racconto suggestivo sul filo della
memoria e di un impegno tenace e coraggioso che ha fatto diventare Falcone e
Borsellino due eroi civili. Al termine del percorso della mostra, che sara'
ospitata a palazzo Branciforte fino a settembre, Napolitano ha rivissuto i
momenti cruciali di quelle vite intrecciate anche attraverso le immagini di un
filmato Tgr-Rai, che chiudono il percorso espositivo. ''E' un'iniziativa
importante che serve a non dimenticare. Mi auguro che questa mostra sia portata
nelle scuole'', ha detto il Capo dello Stato al direttore dell'ANSA, Luigi
Contu, che lo ha accompagnato lungo il percorso espositivo. Apprezzamento per
l'iniziativa e' stato espresso anche dal premier Mario Monti, al quale il
direttore dell'ANSA ha consegnato un catalogo della mostra nel corso di un
incontro avvenuto nell'aula bunker dell'Ucciardone, a conclusione della
manifestazione della mattina alla presenza degli studenti. L'esposizione e'
stata realizzata con il sostegno di Regione Sicilia e Assemblea regionale
siciliana, delle Fondazioni Giovanni e Francesca Falcone e Progetto legalita'
in memoria di Paolo Borsellino e di tutte le vittime della mafia, della
Fondazione Sicilia, di Unioncamere Sicilia, del Consorzio sviluppo e legalita',
di Unicredit, di Confindustria Palermo e dell'Universita' degli studi di
Palermo. (ANSA).
FALCONE: NAPOLITANO INAUGURA MOSTRA
FOTOGRAFICA DELL'ANSA
Il presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano ha inaugurato nel pomeriggio a Palermo, nello storico Palazzo
Branciforte sede della Fondazione Sicilia, la mostra fotografica dell'ANSA su
''Falcone e Borsellino vent'anni dopo. Non li avete uccisi le loro idee
cammineranno sulle nostre gambe''. Il capo dello Stato, accompagnato dalla
moglie Clio, ha visitato le sale lignee un tempo utilizzate per il Monte dei
pegni, dove e' stata allestita la mostra che, oltre alle immagini dell'archivio
fotografico dell'agenzia, raccoglie anche immagini private messe a disposizione
dalle famiglie dei due magistrati e un video realizzato dalla Tgr Sicilia della
Rai . Accompagnato dal direttore dell'ANSA Luigi Contu, il presidente ha
mostrato grande interesse soprattutto per le foto dell'infanzia di Falcone e
Borsellino, nati alla Kalsa, un quartiere popolare di Palermo, e per le
immagini dei due attentati di Capaci e via D'Amelio. ''E' un'iniziativa
importante quella dell'ANSA - ha detto il capo dello Stato - che serve a non
dimenticare. Mi auguro che questa mostra sia portata nelle scuole''.
FALCONE: PRESENTATA A MONTI MOSTRA
FOTOGRAFICA ANSA
E' stata presentata stamane al premier
Mario Monti la mostra fotografica, curata dall'ANSA, sul percorso professionale
e alcuni aspetti della vita privata di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il
Catalogo della mostra, che sarà inaugurata questo pomeriggio dal Capo dello
Stato Giorgio Napolitano a palazzo Branciforte, è stato consegnato al
Professore dal direttore Luigi Contu e dal vicedirettore generale dell'Agenzia
Andrea Fossati, a margine della cerimonia di commemorazione dei due magistrati
presso l'Aula Bunker. Il presidente del Consiglio ha apprezzato l'iniziativa
sottolineando il ruolo dell'ANSA nel panorama dell'informazione in Italia.
(ANSA).
FALCONE: 20 MILA RAGAZZI A PALERMO PER I
20 ANNI
Nel 1992 non erano neppure nati, eppure in
ventimila sarannooggi a Palermo per partecipare alle manifestazioni previste
per il ventennale della strage di Capaci. Sono gli studenti che da Nord a Sud
Italia ricorderanno, assieme al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
e al premier Mario Monti, i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e gli
agenti delle scorte uccisi da Cosa nostra. L'anniversario sarà celebrato anche
con una mostra fotografica realizzata dall'agenzia ANSA a Palazzo Branciforte, che
riapre i battenti dopo i restauri curati da Gae Aulenti. La mostra, intitolata
"Falcone e Borsellino vent'anni dopo. Non li avete uccisi, le loro idee
cammineranno con le nostre gambe", sarà inaugurata dal capo dello Stato. A
Palermo, assieme alle istituzioni, arriveranno anche tremila ragazzi a bordo
delle due navi della legalità della fondazione Falcone che salperanno da
Civitavecchia e da Napoli. Sulla prima ci saranno anche il procuratore
nazionale antimafia Piero Grasso e il ministro dell'Istruzione Francesco
Profumo; sulla seconda i sottosegretari all'Istruzione Marco Rossi Doria ed
Elena Ugolini e il presidente di Libera don Luigi Ciotti. All'arrivo al porto
di Palermo ci sarà anche un'imbarcazione dedicata a Francesca Morvillo, moglie
di Giovanni Falcone, che farà da apripista alle due navi della legalità. La
barca in legno è stata interamente realizzata da una quarantina di studenti
della sezione costruttori dell'istituto nautico Gioeni Trabia di Palermo. Dopo
la cerimonia di benvenuto al porto, mille ragazzi andranno verso l'aula bunker
del carcere Ucciardone, dove alle 10 inizierà il dibattito con gli interventi
del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio. La diretta
dall'Ucciardone sarà trasmessa su Rai Scuola assieme a un estratto del film di
Pasquale Scimeca "Convitto Falcone-La mia partita". Tutti gli altri
studenti andranno verso alcune piazze della città dove saranno esposti i lavori
portati a termine durante l'anno scolastico grazie a un concorso nazionale del
Miur e della fondazione Falcone intitolato "Capaci venti anni dopo. Etica,
ruolo e valore della memoria". Forte la carica simbolica dei luoghi
interessati: dal cortile antistante l'aula bunker dove si celebrò il
maxiprocesso, a piazza Magione, dove i magistrati Falcone e Borsellino
giocavano insieme da piccoli, fino al parco intitolato a Ninni Cassarà, il
poliziotto del pool antimafia ucciso nel 1985, per terminare con il giardino
della memoria di Ciaculli, dedicato a tutte le vittime di mafia. Migliaia di
ragazzi e cittadini si uniranno nel pomeriggio al tradizionale corteo per le
vie della città. Due le partenze previste: una dall'aula Bunker e l'altra da
via D'Amelio, unite ai piedi dell'albero Falcone in via Notarbartolo. Qui, alle
17.58, ora della strage, si celebrerà il momento solenne del silenzio. In quel
momento anche le città di Pescara, Roma e Torino si uniranno per ribadire in un
fronte comune il proprio no alla mafia e simbolicamente il 23 sera il Colosseo
verrà spento. A illuminarlo solo la scritta "L'Italia vince la
mafia". La celebrazione dell'anniversario si chiuderà allo stadio Renzo
Barbera, dove alle 20.30 magistrati e cantanti si sfideranno per la
"Partita del cuore", manifestazione di beneficenza i cui proventi
permetteranno di costruire un'aula didattica multimediale per i piccoli
pazienti dell'ospedale Cervello.(ANSA).
FALCONE: QUEL SABATO 'MALEDETTO' CHE
CAMBIO' LA STORIA
(di Francesco Nuccio) Ventitre' maggio
1992: un sabato afoso, preannuncio d'estate. Giornata tranquilla, poche e di
routine le notizie dell'ANSA da Palermo: il 45/esimo anniversario della prima
seduta dell'Assemblea Regionale Siciliana; l'assalto di una banda di rapinatori
all'abitazione di una coppia di coniugi. Sulle reti dell'Agenzia scorrono
invece da Roma le notizie politiche sulle trattative tra i partiti per
l'elezione del Capo dello Stato. Il pomeriggio di quel sabato ''maledetto'' ero
in redazione, a Palermo. La notizia che avrebbe cambiato di colpo non solo la
giornata ma anche la storia d'Italia si materializza alle 17.58, con un boato
terrificante sull'autostrada che collega la citta' con l'aeroporto di Punta
Raisi. Dalle prime frammentarie notizie delle forze dell'ordine ci rendiamo
subito conto che e' successo qualcosa di grave: ''C'e' stata un'esplosione nei
pressi dello svincolo di Capaci. Ci sono morti e feriti, e' un inferno...''. La
centrale operativa della Questura fa riferimento a una ''nota personalita'''
coinvolta nell'attentato. Il nome di Giovanni Falcone non viene pronunciato, ma
non ci vuole molto per capire che la ''nota personalita''' e' proprio lui.
Bisogna raggiungere subito Capaci, ma l'ingresso dell' autostrada e' chiuso al
traffico per consentire alle ambulanze di prestare i soccorsi. Insieme al
fotografo Franco Lannino percorriamo in moto la statale che ha un andamento
quasi parallelo. Si sono gia' formate lunghissime code, si procede a rilento,
ma viaggiando in moto le superiamo. Allo svincolo di Isola delle Femmine
imbocchiamo una strada che costeggia l'A29, ci indirizzano gli elicotteri che
volteggiano sopra di noi ed i lampeggianti delle auto delle forze dell'ordine
che sfrecciano sull'autostrada. Ci fermiamo a pochi metri dal luogo dell'
agguato, saliamo a piedi su un terrapieno e raggiungiamo il ciglio
dell'autostrada. Quello che si presenta all'improvviso e' uno scenario
apocalittico che per qualche secondo ci lascia senza fiato. Un tratto di
autostrada non c'e' piu', ''cancellato'' da 500 chili di tritolo piazzati in un
cunicolo che hanno sventrato l'asfalto aprendo una voragine di alcune decine di
metri. Ai bordi di questo ''cratere'' si muovono attoniti e sgomenti gli
investigatori. Non ci sono ancora troupe televisive ne' altri giornalisti,
rimasti bloccati nel traffico. Il fotografo comincia a scattare immagini di
questo paesaggio di morte e distruzione. L'automobile che apriva il corteo
blindato, una Fiat Croma marrone con tre agenti di scorta, investita in pieno
dall'onda d'urto, e' stata catapultata a un centinaio di metri di distanza
dall'autostrada. I vigili del fuoco sono al lavoro con cesoie e fiamma
ossidrica per estrarre dai ritorti rottami dall'auto i corpi dei tre uomini di
scorta, ancora imprigionati tra le lamiere. La vettura su cui viaggiava
Falcone, una Fiat Croma di colore bianco, appare invece come sospesa sull'orlo
della voragine. Il magistrato e la moglie, Francesca Morvillo, feriti a morte,
sono gia' stati caricati in ambulanza. Spireranno poco dopo in ospedale. Il
primo a soccorrerli e' stato un contadino che stava dissodando un terreno ai
margini dell'autostrada. Sul lunare teatro dell'attentato, intanto, cominciano
a muoversi i responsabili degli uffici investigativi e giudiziari, molti dei
quali avvertiti mentre presenziavano alla cerimonia d' inaugurazione della
Fiera del Mediterraneo. Il procuratore di Palermo Pietro Giammanco, con alcuni
sostituti, il procuratore generale Bruno Siclari sono i primi ad affacciarsi
sul proscenio della tragedia. Nessuno di loro ha la forza o la voglia di
parlare. Parlano invece i colleghi degli agenti dilaniati dall' esplosione.
Sono un fiume in piena. Non riescono a trattenere la rabbia: ''Bastardi
macellai'', urla uno di loro. Un altro agente piange come un bambino davanti
all'auto dove sono imprigionati i corpi dei suoi colleghi. Tutto intorno e' un
panorama lugubre di devastazione: frammenti di asfalto e pezzi di lamiera delle
automobili sono sparsi nel raggio di 500 metri. I vetri delle ville circostanti
sono in frantumi. Il boato e' stato udito a chilometri di distanza. Se il colpo
d' occhio immediato spiega cosa e' successo, occorrera' invece tempo per
rendersi conto che dopo Capaci nulla sara' piu' come prima. Per cogliere il
significato della sfida del terrorismo mafioso al Paese. Provo a dettare le
prime notizie dal luogo dell'attentato ma e' impossibile. I cellulari sono
muti, cosi' come il telefono fisso di un vicino mangimificio: l'esplosione ha
tranciato le linee elettriche e telefoniche della zona. Torno a Palermo in
redazione e comincio scrivere il pezzo che non avrei mai voluto scrivere.
(ANSA).
FALCONE: GLI OBIETTIVI 'POLITICI'
DELL'ATTENTATO
(di Franco Nicastro) - Rispondeva a una
finalità "politica" la strategia che scatenò l'attacco di Cosa nostra
culminata con le stragi del 1992. Il senso di quel piano di morte è dato dalle
parole che Totò Riina avrebbe usato nel vertice della cupola in cui furono
decisi delitti e attentati: "Bisogna fare prima la guerra per fare poi la
pace". La testimonianza di Giovanni Brusca viene accolta dalla Cassazione
che, dopo sette processi, ha confermato le condanne dei vertici di Cosa nostra
per la strage di Capaci. Ma in quelle pagine non si trova tutta la verità.
Restano nell'ombra una parte delle responsabilità operative, che il pentito
Gaspare Spatuzza sta facendo emergere, e soprattutto il ruolo di apparati
investigativi e pezzi dello Stato che avrebbero tenuto aperto un canale di
"dialogo" con i boss offrendo una copertura in vista di una tregua.
Questo è il campo inesplorato nel quale si stanno inoltrando le nuove indagini
sulla morte di Giovanni Falcone che incrociano quelle sulla "trattativa".
La Procura di Caltanissetta ha riaperto l'inchiesta sulla strage per
ricostruirne sia il contesto sia i legami con la catena di attentati cominciata
con le bombe dell'Addaura del 20 giugno 1989 e proseguita con l' uccisione
dell'on. Salvo Lima, Capaci, via D'Amelio, l'uccisione di Ignazio Salvo (15
settembre 1992), l'attentato a Maurizio Costanzo, le bombe di Firenze e di
Milano. Ma c'erano, scrivono i giudici della Cassazione, "analoghi
progetti riguardanti vari uomini politici e magistrati". Il livello
operativo della strage di Capaci è stato sufficientemente chiarito sin dal
primo processo concluso il 26 settembre 1997 con 24 ergastoli e pene inferiori
per i collaboratori Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Gioacchino La
Barbera, Calogero Ganci e Mario Santo Di Matteo. In appello si aggiunsero altre
cinque ergastoli ma dopo due annullamenti seguiti da altri due giudizi di
appello la Cassazione chiuse i filoni processuali per la strage di Capaci il 16
settembre 2008. Resta accertata la responsabilità di Totò Riina, Bernardo
Provenzano, Francesco e Giuseppe Madonia, Pippo Calò, Pietro Aglieri e degli
altri componenti della "cupola". Da un anno Gaspare Spatuzza sta
offrendo ulteriori elementi sulla preparazione e sull'organizzazione dell'
attentato. Ma soprattutto sull'esplosivo che, su incarico di Alfonso
"Fifetto" Cannella, avrebbe recuperato a Porticello, vicino a
Palermo, da fusti legati alle paratie di un peschereccio. L'utilizzo
dell'esplosivo venne deciso come variante spettacolare di un piano che
all'inizio prevedeva l' uccisione di Falcone a Roma. Ne ha parlato l'ultimo
pentito Fabio Tranchina che sa molte cose anche sull'attentato di via D'Amelio.
Il "gruppo di fuoco" che doveva eliminare Falcone era partito dalla
Sicilia su un corteo di auto guidato dal boss Matteo Messina Denaro, non ancora
latitante. "Ma all'improvviso - ha raccontato Tranchina - giunse l'ordine
di tornare indietro. Bisognava uccidere Falcone a Palermo in modo
eclatante". In quel momento agli strateghi di Cosa nostra l'inferno sull'
autostrada appariva come il passaggio cruciale del grande ricatto allo Stato.
Serviva ad alzare il prezzo della "trattativa" che, secondo quanto
ipotizzano i magistrati di Palermo e di Caltanissetta, era già stata avviata.
Ma chi teneva i fili di quel "dialogo" non aveva fatto i conti con
Paolo Borsellino: aveva avuto una precisa percezione di quanto si stava
tramando e per questo appariva turbato con i colleghi ma anche con la moglie.
Era ormai diventato un ostacolo scomodo e pericoloso per tutti. Per questo la
sua eliminazione, che pure rientrava nella strategia "bellica" più
generale, venne accelerata. (ANSA).
FALCONE: PM GOZZO, CAPACI SCELTA
TERRORISTICA
(di Lara Sirignano) - ''Da Capaci in
poi, Cosa Nostra decide di adottare modalita' stragiste di tipo terroristico,
come aveva gia' fatto con Dalla Chiesa negli anni '80. E come avvenne anche nel
fallito attentato all'Addaura nel 1989. Riina inizialmente voleva solo
eliminare la piu' grossa spina nel fianco di Cosa Nostra, Giovanni Falcone, e
voleva farlo a Roma, con un classico commando a piedi e con armi
'convenzionali'. Poi arriva un input diverso. La strage si deve fare, ma
facendo saltare in aria un pezzo di autostrada. E le altre sei stragi che
seguiranno in circa un anno sventreranno citta', uccideranno venti persone. Una
strategia di vera e propria guerra. Ma, come diceva Riina, si fa la guerra per
poi fare la pace''. Capaci come l'inizio della stagione terroristica della
mafia: a 20 anni dall'assassinio di Giovanni Falcone, parla all'ANSA il
procuratore aggiunto di Caltanissetta Domenico Gozzo, il magistrato che
coordina le nuove inchieste sulle stragi mafiose del 1992. ''Capaci e' il punto
di svolta fondamentale nella strategia stragista di Cosa Nostra nel 1992-94.
Dunque, capire cosa c'e' dietro porta a capire l'intera strategia di Riina''.
''Golpe strisciante, tentativo di destabilizzare la democrazia'', per Gozzo le
stragi del 1992 furono questo. ''Continuo a pensare che fu un golpe
strisciante, - dice - una ben architettata strategia di destabilizzazione della
democrazia. Come disse, del resto, nel suo famoso discorso del 'non ci sto',
l'allora Presidente della Repubblica Scalfaro''. ''Quanto alla tesi della
'destabilizzazione conservativa' - aggiunge - da alcune fonti qualificate, come
il pentito Salvatore Cancemi (componente della Cupola mafiosa) ci deriva che la
strategia era di 'far cadere di sella' chi aveva guidato il Paese sino ad
allora. Piu' in generale, io ritengo che tutte le strategie della tensione
fossero dirette prima ad indirizzare la Democrazia Cristiana, perno della Prima
repubblica, a destra, e poi nel farla, appunto, 'cadere di sella'''. Sulla
cosiddetta ''convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri soggetti'', il
pm, pero', e' cauto: ''quanto alle finalita' politiche di altri soggetti, -
dice - queste, allo stato, riguardano il 1993, di cui si occupano altre
Procure''. ''C'e' un unico filo rosso sangue - spiega, pero', - che si dipana
in maniera costante dal marzo 1992 sino al 1994. Questo lo dice Spatuzza, ma
risulta da molte altre prove. Un capo di questo filo era tenuto in mano dai
Graviano, che sono sempre presenti in tutte le stragi, da Capaci in poi. E
questo fatto fu a lungo negato dopo il 1992. Si sosteneva che le due stragi del
1992 avevano strategie diverse, una, Capaci, riferibile a Riina, e l'altra, via
d'Amelio, a una risposta di Provenzano. Tutto questo era falso. Tutto questo
dipendeva dalla falsa pista che portava la famiglia di Santa Maria di Gesu',
quella di Aglieri, al centro della seconda strage. E sino a poco tempo fa non
si sapeva dell'intervento del mandamento di Brancaccio dei Graviano nella fase
esecutiva di Capaci. La verita' e' stata lenta ad affermarsi''. Proprio alla
Procura di Caltanissetta e' toccato riscrivere questa verita', una verita'
invocata due anni fa dal Presidente Napolitano che espresse sostegno ai pm che
avevano riaperto le inchieste.''Non potremo mai ringraziare abbastanza il
Presidente per quel monito - dice Gozzo -. In un periodo in cui esponenti del
governo dicevano che si sprecavano i soldi dei cittadini mettendo in
discussione le vecchie indagini su via d'Amelio, non era certo un appoggio
scontato. Ho apprezzato il senso dello Stato che c'era in queste parole, la
consapevolezza che se non si fa luce su questo periodo oscuro l'Italia fa
fatica ad andare avanti. Perche' gli anni 1992-94, non solo cronologicamente,
precedono la nascita della seconda Repubblica. E potrebbero spiegarci qualcosa
anche della Terza che sta nascendo''. Un appoggio non isolato quello del Capo dello
Stato. ''Per fortuna, - dice - abbiamo sentito forte anche il sostegno di
persone come il presidente della commissione Antimafia Pisanu, ma anche dello
stesso Walter Veltroni o dell'onorevole Granata, che ne fanno parte e del
vicepresidente del Csm Vietti. Il vento della verita' oggi e' piu' forte di
ieri''. Come nel 1992, il Paese si trova, ora, in un momento di transizione
politica. ''Forse - conclude Gozzo - il famoso spread che tanti effetti
negativi ha avuto, ci ha risparmiato una nuova stagione stragista delle mafie
italiane. Il passaggio di Repubblica, questa volta, potrebbe avvenire in
maniera meno traumatica. Sempre che non rinascano le trame eversive
parabigratiste. In ogni caso, comunque, i momenti di passaggio sono sempre
pericolosi. E le mafie hanno ancora gli arsenali pieni di armi. Bisogna tenere
alta la guardia, come sempre''. (ANSA).
FALCONE: PALERMO DALLE STRAGI ALLA
RIBELLIONE CIVILE
(di Antonella Lombardi) (ANSA) -
L'istantanea della citta' ferita e' un cratere profondo 3 metri e largo 13,
lungo l'autostrada che dall'aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo,
all'altezza dello svincolo per Capaci. E' il 23 maggio del 1992, ed e' in
questo paesaggio trasfigurato, tra lamiere contorte e uliveti, a pochi passi
dal mare, che vengono uccisi Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo
insieme agli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Di Cillo. Due
giorni dopo, alle esequie di Stato, nel piazzale antistante la chiesa di San
Domenico, ormai stracolma, la folla ascolta la durissima omelia del cardinale
Pappalardo che invita la cittadinanza a una ''salutare reazione liberatrice da
ogni potere criminale o mafioso''. ''Non potevamo restare a guardare. Non era
piu' un dolore privato, ma un lutto cittadino, da mostrare e mettere al balcone'',
racconta Marta Cimino, anima del comitato dei lenzuoli, un movimento nato
spontaneamente subito dopo i funerali. ''Era il 26 maggio e all'inizio eravamo
in 14. Come mezzo avevamo solo il passaparola''. Le prime riunioni si fanno in
via Maqueda, nella sua abitazione. E' qui che nasce l'idea di utilizzare un
simbolo antico, privato, come quando per il Corpus domini le famiglie espongono
le proprie coperte candide e ricamate per salutare la processione. ''Questa
volta era un semplice lenzuolo bianco, con scritte contro la mafia - aggiunge
Cimino - e in breve l'idea contagio' tutti. Fu una rivoluzione per Palermo,
perche' finalmente si chiedeva verita' e giustizia a partire dalle proprie
abitazioni, senza nascondere la testa sotto la sabbia''. I primi cento metri di
tessuto sono offerti dalla famiglia di Libero Grassi, l'imprenditore ucciso nel
1991 per non essersi piegato al racket. Appena un mese dopo la strage di Capaci
una lunga catena umana fatta da migliaia di persone si stringe intorno al
palazzo di giustizia per arrivare fino all'albero Falcone, la magnolia ai piedi
dell'abitazione del giudice diventata simbolo della riscossa antimafia. ''Non
riuscivamo a partire - ricorda la Cimino - perche' la gente continuava ad
aggiungersi e a prenderci per mano, e noi che temevamo di essere in pochi!''.
Quando pero' il 19 luglio viene ucciso con un'autobomba in via D'Amelio il
giudice Paolo Borsellino con gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi,
Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina ''siamo impietriti dal
dolore''. L'indignazione dei cittadini onesti diventa ribellione. ''Non li
avete uccisi, le loro idee cammineranno sulle nostre gambe'', recita uno dei
lenzuoli appesi davanti alla Cattedrale di Palermo. Ma la protesta contagia
altre citta', si moltiplicano i telegrammi e le sottoscrizioni, fioccano le
adesioni da Roma, Bologna e Milano ''e la rabbia diventa proposta nel settembre
1992 - dice Marta Cimino - con Palermo anno 1, coordinamento di decine di
associazioni''. Fino a quel momento le attivita' dei movimenti antimafia erano
state piuttosto frammentate. Punto di riferimento anche fisico, in citta, era
stata la rivista 'Segno' con i sacerdoti Nino Fasullo e Cosimo Scordato. O
l'esperienza un po' carbonara del giornale 'Grande Vu' di Letizia Battaglia,
stampato in mille copie. Ma e' sull'onda emotiva che il fronte antimafia prova
a compattarsi, quasi a voler smentire l'assunto di una 'Sicilia irredimibile'
profetizzato da Sciascia. ''Fino al 1993 fuori dalla Sicilia non c'era la
percezione che la mafia fosse un'emergenza sociale'', ricorda Marcello Cozzi,
memoria storica del movimento Libera fondato da don Luigi Ciotti. ''Ricordo la
stanzetta messa a disposizione dalle Acli per le prime riunioni, gli incontri
con Giancarlo Caselli. Poi i banchetti nel marzo del 1995 per raccogliere le
firme in favore della confisca dei beni ai mafiosi. Mai avremmo pensato di
arrivare a un milione di sottoscrizioni e una legge gia' nel marzo del 1996''.
Da tutta Italia centinaia di ragazzi arrivano per lavorare sui terreni
confiscati ai boss; nonostante intimidazioni e difficolta' nasce il consorzio
'Libera Terra', che coordina le attivita' delle coop di Libera. Ma gia' dodici
anni dopo le stragi la rabbia sembra sbollire, fino a quando, la mattina del 29
giugno 2004, le strade del centro di Palermo sono tappezzate da adesivi listati
a lutto con una frase lapidaria: ''Un intero popolo che paga il pizzo e' un
popolo senza dignita'''. Nessuna rivendicazione, fino a quando diversi giorni
dopo, un gruppo di ''uomini e donne abbastanza normali, cioe' ribelli,
differenti, scomodi, sognatori'' rompe l'anonimato. Sono gli 'attacchini' del
comitato Addiopizzo, 'i nipoti di Libero', li battezza Pina Maisano Grassi,
arrivano qualche anno dopo il primo comitato antiracket fondato da Tano Grasso,
nel Messinese, a Capo D'Orlando. Una denuncia che rompe il muro di omerta'
piombato nuovamente sulle spalle dei commercianti e si trasforma in proposta.
Nella citta' dove 8 esercenti su 10 pagano il pizzo raccolgono, un anno dopo, un
elenco di 100 commercianti disposti a dichiarare, con nome e cognome, la
propria avversita' al pizzo. Oggi gli imprenditori che hanno aderito alla
campagna sono 711.(ANSA).
FALCONE: L'EX CAPOSCORTA, QUEI GIORNI CON
LUI
(di Alfredo Pecoraro e Chiara Giarrusso)
Sono trascorsi vent'anni, ma quell'odore di sigaro lo sente ancora. Giovanni
Falcone lo fumava in auto, mentre i suoi ''angeli custodi'' cercavano di
scrutare ogni cosa per proteggerlo. Era la loro missione, la loro vita.
Ricordi, paure, tensioni: Gaetano Maranzano ha tutto fisso in mente. Quel
maledetto 23 maggio del 1992 se lo porta dentro, e' la sua croce. Maranzano
s'e' occupato della sicurezza di Falcone per tre anni. Era la fase in cui
nell'aula bunker dell'Ucciardone a Palermo si celebrava il maxiprocesso.
''Quando entrai a far parte del servizio scorta - racconta l'agente, che e'
anche segretario provinciale del Sap - avevo 28 anni, fino a quel momento avevo
lavorato nel reparto antiterrorismo a Milano''. A Palermo si sparava, quasi
ogni giorno c'era un morto ammazzato in centro e in periferia. La guerra di
mafia scatenata dai corleonesi lasciava scie di sangue ovunque. Gli ''angeli
custodi'' si muovevano con l'adrenalina in corpo. E chi proteggeva Falcone
sapeva di rischiare, ''ma il coraggio, la certezza di stare dalla parte giusta
e' piu' forte della paura'', dice Maranzano che dal 1986 al 1989 e' stato il
responsabile del servizio scorta del magistrato, ruolo svolto poi dal collega
Antonio Montinaro, ucciso nella strage di Capaci assieme agli agenti Vito
Schifani e Rocco Dicillo. ''Falcone si fidava di noi, a volte era un po'
scontroso, non voleva che viaggiassimo a sirene spiegate - dice -. Cercava di
sdrammatizzare, ma era consapevole del pericolo e non usciva mai da casa senza
la nostra presenza''. Poi ripesca nella sua memoria: ''Una notte di ritorno da
Trapani, eravamo diretti verso casa del procuratore Alfredo Morvillo, fratello
della moglie di Falcone. Dovevano trascorrere la notte li', il giudice e la
signora avevano le chiavi della villa. Si trovava in una strada senza uscita.
Appena arrivammo le luci si spensero per un black-out: furono momenti di
panico. Scendemmo dalle auto per controllare e in lontananza vedemmo delle
persone che scappavano: erano vicini di casa impauriti''. Dopo la strage di
Capaci, il clima all'ufficio scorte era tesissimo. ''C'era molta confusione -
racconta - i livelli di sicurezza aumentarono''. Da allora a oggi pero' i
problemi non sono cambiati. Anzi: ''Abbiamo auto vecchie, alcune con 300 mila
Km, compriamo l'olio di tasca nostra - denuncia Carmelo Fiumefreddo, agente di
scorta di 57 anni e segretario del Coisp di Palermo -. I ponti radio sono
ancora in analogico, in alcune zone della citta' non hanno copertura e dunque
siamo isolati. Servirebbero appena 70 mila euro per aggiornare il sistema, ma
lo Stato invece taglia sempre di piu'''. Vent'anni fa gli agenti nell'ufficio
scorte erano 600, oggi sono 250. ''Chi accetta di diventare un agente di scorta
lo fa perche' crede e condivide valori di giustizia - afferma Fiumefreddo -.
Turni di lavoro massacranti fino a 20 ore consecutive, carenza di organico e
problemi legati alla sicurezza''. La preparazione degli agenti dopo le stragi
invece e' migliorata. ''Facciamo corsi di formazione, sono state affinate nuove
tecniche'', rivela l'agente. Prima non c'era una vera e propria strategia,
mancava una programmazione. Oggi esiste un nucleo d'intelligence. La citta' e'
stata mappata. L'ufficio scorte conosce a menadito ogni angolo di Palermo, la
collocazione dei tombini, il numero dei cassonetti della spazzatura e la loro
posizione. ''Qualche anno fa facevo la scorta a un magistrato - racconta un
altro agente che per motivi di sicurezza deve rimanere anonimo - Ci muovevamo
in una zona del centro, il magistrato abitava li'. In una palazzina vicina
qualche tempo dopo fu arrestato un latitante. Per anni abbiamo accompagnato a
casa quel magistrato senza sapere che chi poteva ucciderlo era a pochi passi da
noi''. Adesso e' tempo di celebrazioni. ''Chi scrive che in questi casi spesso
si fanno passerelle non sbaglia - dice con un pizzico d'amarezza Fiumefreddo -.
Pero' in compenso c'e' chi ti trasmette forza. Basta guardare gli occhi del
nostro capo, Antonio Manganelli: luccicano quando ci parla, perche' e' uno di
noi. Ci parla col cuore, ci infonde coraggio. E noi andiamo avanti''. (ANSA).
FALCONE:LE 'VITE SPEZZATE' NEL RACCONTO
DEI FAMILIARI
E' il controcanto della storia d'Italia
dopo le stragi del 1992, minuziosamente tessuto ascoltando le voci dei
sopravvissuti e di chi a fatica, negli anni, ha dato forma a un dolore
straziante, sopportando con dignità il peso ingombrante di umiliazioni e
retorica, dimenticanze e violenze. E' il libro scritto dalla giornalista Laura
Anello, intitolato "L'altra storia. Nel racconto dei famigliari Falcone,
Borsellino e le vite spezzate a Capaci e in via D'Amelio" in uscita domani
(prefazione di don Luigi Ciotti, Sperling &Kupfer editori, 13,90 euro). Lo
scopo è dare una "nuova e più sincera vita ai nomi di Giovanni Falcone,
Francesca Morvillo, Paolo Borsellino e degli otto uomini e donne che morirono
con loro, eternati come statue di marmo nel pantheon degli eroi e altrettanto
frettolosamente dimenticati", scrive l'autrice. Fanno piazza pulita di
ogni retorica le parole di Manfredi Borsellino: "ho il dovere di ricordare
mio padre, ma anche di scomparire dietro a lui"; e che racconta di un
padre pronto a dissimulare in un gioco di ruolo la trasferta all'Asinara, come
il "Benigni de 'La vita e' bellà, capace di sdrammatizzare tutto".
C'é la ricostruzione amara, di Maria Falcone, del giorno del fallito attentato
all'Addaura al fratello "la prima telefonata di solidarietà gli arrivò da
Andreotti, allora con l'amico e collega Mario Almerighi commentò cosi: 'Ai
funerali il primo a mandare la corona e' sempre l'assassinò". La sorella
ricorda anche le incomprensioni con Leoluca Orlando e una stretta di mano tesa
da Falcone e non ricambiata dal sindaco che gli disse: "mi spiace, ormai
abbiamo preso strade diverse". "Mio fratello se ne rammaricò molto, e
questa cosa non la dimentico". C'é la ricostruzione del procuratore di
Termini Imerese, Alfredo Morvillo, cognato di Falcone, delle grandi intuizioni
del giudice, ma anche delle tensioni e dei giorni di isolamento: "Ricordo
le battute sulla sua grande intuizione di istituire una procura nazionale
antimafia e tante direzioni distrettuali. 'Dopo la nazionale, vorra' fare la
planetarià, dicevano". C'é poi il senso di colpa di chi si è salvato per
un imprevisto, come l'autista Giuseppe Costanza, che da 8 anni seguiva come
un'ombra Falcone ma che era seduto sul sedile posteriore. "Si scusa di
esser vivo - scrive Laura Anello - e ricorda gli attimi in cui anche lo Stato
lo aiutò a radicare questa convinzione, come quando aspettò a lungo di essere
ricevuto dal capo della polizia Vincenzo Parisi che chiamò a Roma tutti i
familiari delle vittime per poi sentirsi dire "E lei che vuole? Non le
basta essere vivo?". C'é l'infanzia interrotta di Gaetano, figlio di Tina
e Antonio Montinaro, che quando deve disegnare casa propria allo psicologo fa
una macchina sottosopra con tre corpi schiantati nel sangue e che quando passa
dalla stele di Capaci pensa solo a "tagliarne l'estremità, dove c'é
scritto Repubblica italiana". Ma ci sono anche le voci di tutti gli altri,
in memoria di Rocco Dicillo, Vito Schifani, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli,
Eddie Cosina, Agostino Catalano. E poi, come scrive Alfredo Morvillo, c'é il
"dovere di raccontare a chi non era ancora nato la storia della nostra
terra, sperando in fondo al cuore nella rivoluzione degli onesti. Una speranza
del cuore, più che della ragione''.
(Agenzia Ansa)
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