L'agguato al procuratore Scaglione |
Il 5 maggio del 1971, a Palermo, fu ucciso il procuratore capo della
Repubblica Pietro Scaglione, definito – anche in sede giurisdizionale penale – “un magistrato integerrimo, dotato di
eccezionali capacità professionali e di assoluta onestà morale, persecutore
spietato della mafia”.
Il
Procuratore Scaglione, che ha segnato l’inizio del martirologio nella magistratura italiana, fu ucciso - con il fedele agente
Antonio Lorusso - alle ore 10.55 del 5 maggio del 1971 in via Cipressi a
Palermo, nel corso di un agguato mafioso, dopo la consueta visita nel cimitero
dei Cappuccini, dove era sepolta la moglie.
Nella sua lunga carriera di giudice e,
soprattutto, di pubblico ministero, iniziata nel 1928, Pietro Scaglione si occupò dei principali
misteri siciliani: dal banditismo del dopoguerra agli assassini dei sindacalisti
Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, dalla strage di Portella della Ginestra
alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro.
Per quanto riguarda gli “Atti relativi ai mandanti della strage di
Portella della Ginestra”, nelle Conclusioni del PM Pietro Scaglione (datate
31 agosto 1953), i moventi principali accreditati furono i seguenti: la lotta “ad
oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei
banditi di accreditarsi come “i
debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti
allo Stato”; la “difesa del latifondo
e dei latifondisti”.
In relazione agli assassini dei numerosi sindacalisti
siciliani negli anni Quaranta e Cinquanta, l’allora sostituto procuratore
generale Pietro Scaglione chiese il rinvio a giudizio per i mafiosi imputati
nel processo Rizzotto e per i campieri accusati dell’omicidio Carnevale. Nelle
sue dure requisitorie, il pm Scaglione parlò di “febbre della terra” e ricondusse il movente alle coraggiose lotte sindacali di Carnevale e
Rizzotto. Al riguardo, il Generale Dalla Chiesa testimoniò davanti all’autorità
giudiziaria, dichiarando che il magistrato Scaglione “quando esercitava le funzioni di pubblico ministero all’udienza aggrediva
la mafia”.
Dopo la strage di Ciaculli del 1963,
grazie soprattutto alle inchieste condotte dall’Ufficio Istruzione del
Tribunale di Palermo (guidato da Cesare Terranova) e dalla Procura della
Repubblica (diretta da Pietro Scaglione) “le
organizzazioni mafiose furono scardinate e disperse”, come si legge nella Relazione
conclusiva della Commissione parlamentare antimafia del 1976.
Secondo quanto scrisse il giornalista Mario
Francese (ucciso nel 1979), il procuratore Pietro Scaglione “fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i
mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli
nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di
ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la “linea” Scaglione
portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti
di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”; il
riacutizzarsi del fenomeno mafioso, nel biennio 1969-1970, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la
sua opera di bonifica sociale”, infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori …….
hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della
Repubblica” (M. FRANCESE, Il giudice
degli anni più caldi, in il Giornale
di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).
In questo contesto - come affermò Paolo
Borsellino (in La
Sicilia , 2 febbraio 1987, p.10) – “la mafia condusse una campagna di eliminazione sistematica degli
investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati, che
dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le
scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino calunniati. Accadde così per Scaglione [….]”.
L’uccisione del procuratore Scaglione -
come scrisse, a sua volta, Giovanni Falcone (in La Posta in gioco, edizioni Bur, 2011, p. 320) -
ebbe sicuramente “lo scopo di dimostrare
a tutti che Cosa nostra non soltanto non era stata intimidita dalla repressione
giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo
cammino”.
Il Procuratore Scaglione svolse, con
impegno e dedizione, anche la funzione di Presidente del Consiglio di Patronato
per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal
carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste
attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della giustizia il Diploma di primo grado al merito della
redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro.
Infine, con Decreto dello stesso Ministero della Giustizia del 1991, previo
parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione
fu riconosciuto “magistrato caduto
vittima del dovere e della mafia”.
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