di SALVO PALAZZOLO
Ecco, dunque, un primo importante passo avanti per fare luce sui misteri che vent'anni dopo ancora si addensano attorno a via d'Amelio. La nuova inchiesta porta la firma del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, degli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, dei sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani. Con i magistrati lavora ormai da anni una squadra della Dia di Caltanissetta, coordinata dal vice questore aggiunto Ferdinando Buceti.
L'ultimo atto d'accusa della Procura nissena si compone di 1670 pagine, riportate e analizzate nel provvedimento del gip: i magistrati ricostruiscono non solo la fase esecutiva della strage, ma affrontano anche i delicati capitoli del movente e dell'eventuale coinvolgimento di uomini delle istituzioni. Ecco alcuni passaggi cruciali del documento, con le ricostruzioni e le testimonianze che finiscono per chiamare in causa pezzi dello Stato.
Chi azionò il telecomando
I pm escludono che i mafiosi fossero appostati al Castello Utveggio di Montepellegrino, che sovrasta via d'Amelio. Secondo il racconto del pentito Fabio Tranchina, "è quasi certamente Giuseppe Graviano che azionò il telecomando", scrivono i magistrati. "Era dietro il muro che delimitava la fine della via D'Amelio ed un retrostante giardino". Graviano è stato già condannato per la strage del 19 luglio.
L'uomo del mistero
Il pentito spiega di aver portato l'auto in un garage di via Villasevaglios, per essere caricata di esplosivo. Era il giorno prima della strage. Assieme ad altri mafiosi c'era un uomo che Spatuzza non aveva mai visto. Scrivono i pm: "Non è allo stato possibile affermare che l'uomo notato da Spatuzza fosse un uomo appartenente ai servizi di sicurezza per il solo fatto che il collaboratore non ebbe a riconoscerlo come appartenente a Cosa nostra". I magistrati aggiungono però: "Non si può escludere allo stato l'ipotesi di un coinvolgimento nella fase preparatoria della strage di personaggi "riservati", ignoti a Spatuzza". Ecco il primo dei misteri ancora da risolvere, per cui le indagini proseguono.
La trattativa e il "traditore"
Il secondo mistero riguarda l'agenda rossa di Borsellino, scomparsa sul luogo della strage. In quelle pagine, probabilmente, il giudice aveva annotato la sua ultima scoperta dopo la morte dell'amico Giovanni Falcone. Non sappiamo con precisione cosa, però adesso le indagini di Caltanissetta dicono che Borsellino sapeva dei primi contatti intrapresi da alcuni carabinieri del Ros con l'ex sindaco Vito Ciancimino (contatti che poi si sarebbero trasformati in una trattativa Stato-mafia ancora oggi dai contorni poco chiari). Lo riferisce ai pm il magistrato Liliana Ferraro, che qualche tempo prima era stata avvicinata proprio da un ufficiale del Ros: "Vidi Borsellino il 28 giugno e affrontai l'argomento", precisa la Ferraro.
Il giorno dopo, Borsellino incontrò altri due colleghi magistrati, Alessandra Camassa e Massimo Russo. "Si distese sul divanetto del suo ufficio - ha messo a verbale la Camassa - e mentre gli sgorgavano le lacrime dagli occhi, disse: "Non posso pensare che un amico mi abbia tradito". Massimo Russo ha aggiunto: "Qualche giorno prima era stato a Roma e aveva avuto un pranzo, forse una cena, con alti ufficiali dei carabinieri. Fu lo stesso Borsellino a parlarcene a un certo punto". Sia la Camassa che Russo pensarono che il traditore fosse a quella cena. E adesso lo pensano anche i magistrati di Caltanissetta: "E' probabile - scrivono - che il traditore fosse tra le persone incontrate".
Così, dopo i verbali di Camassa e Russo, i pm inseriscono nella loro ricostruzione le dichiarazioni della moglie di Borsellino, Agnese. "Il 15 luglio, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto, mi disse testualmente: "Ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era "punciutu". Tre giorni dopo, durante una passeggiata sul lungomare di Carini, mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere".
"Punciutu", vuole dire mafioso. I pm osservano: "Un'inquietante confidenza in relazione alla figura del generale Subranni, capo del Ros dei carabinieri, proprio la struttura che stava conducendo la cosiddetta trattativa". Per questa ragione, Subranni è indagato dalla Procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa.
Risentita nuovamente dai pm, la signora Borsellino ha aggiunto un ricordo: "Mio marito non mi parlò mai di trattativa, ma a metà giugno mi fece cenno a un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato".
Ancora "metà giugno", il periodo in cui Graviano avviò i preparativi per la strage, incaricando Spatuzza di rubare la 126. Ecco il dilemma che si pongono i magistrati: "La trattativa fu tra i motivi aggiuntivi che hanno spinto Cosa nostra ad effettuare proprio nel luglio 1992 la strage di via d'Amelio per mera leggerezza di chi a quella trattativa ha partecipato? Ovvero (purtroppo) qualche 'servitore dello stato infedele' si spinse sino al punto di additare volontariamente il dottor Borsellino come ostacolo al buon fine della trattativa?". Dopo aver riletto le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca i magistrati di Caltanissetta propendono per l'ipotesi più drammatica, "che qualcuno abbia riferito a Cosa Nostra che Borsellino era di ostacolo alla prosecuzione della trattativa". Così, il tentativo di bloccare le stragi si sarebbe trasformato nel più grande pasticcio (ovvero patto scellerato) della Repubblica. La conclusione dei pm è amara: "Alcuni significativi risultati Cosa nostra li ha ottenuti. Si è accertato che i provvedimenti di carcere duro, i cosiddetti 41 bis, sono scesi vertiginosamente, dai 1200 in vigore alla fine del 1992 ai circa 400 alla metà del 1994". Chi decise? I pm non credono alla versione dell'ex Guardasigilli Conso, che si è assunto la totale responsabilità di quella scelta. Così, ancora una volta, l'indagine torna nel cuore dello Stato.
Il "supertestimone" Ciancimino
Un contributo importante per risolvere i misteri di quei mesi i pm di Caltanissetta si aspettavano dal figlio dell'ex sindaco di Palermo. Ma Ciancimino junior ha deluso, e non poco. I pm sono disposti a concedergli solo un merito: "Ha contribuito a risvegliare la memoria di persone che, pur non direttamente chiamate in causa da lui, forse temevano che fosse a conoscenza di vicende inerenti la trattativa di cui essi erano stati testimoni privilegiati e che in precedenza non avevano mai rivelato ad alcuno". Per il resto, i pm nisseni parlano di "un giudizio finale sostanzialmente negativo sull'attendibilità intrinseca" di Massimo Ciancimino. In un altro passaggio, i magistrati parlano addirittura di "pseudo collaborazione di Ciancimino", che "sembra essere più favorevole agli interessi di Cosa nostra che a quelli dello Stato". Ma perché questo atteggiamento? I pm ipotizzano che Ciancimino voglia ancora "salvaguardare il proprio patrimonio", ma ipotizzano pure che dietro di lui "si nasconda una occulta cabina di regia".(La Repubblica, 08 marzo 2012)
La Dia ha notificato ordinanze in carcere al boss Salvino Madonia, che avrebbe partecipato alla riunione in cui si decise la morte del giudice, e ad altri due esecutori dell'eccidio avvenuto il 19 luglio 1992. Manette a Calogero Pulci, ritenuto un falso pentito. La Procura di Caltanissetta boccia anche Massimo Ciancimino ("Inattendile") e avanza un'ipotesi drammatica per il movente della strage: "Borsellino era di ostacolo per la trattativa Stato-mafia". Ecco l'atto d'accusa dei magistrati.
Dopo aver svelato il depistaggio del falso pentito Vincenzo Scarantino, la Procura di Caltanissetta prova a rimettere in ordine i tasselli della complicata indagine attorno alla morte del giudice Paolo Borsellino. Determinante si è rivelata la collaborazione del pentito Gaspare Spatuzza, l'ex killer di Brancaccio che rubò la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo: nei mesi scorsi, le sue dichiarazioni hanno portato alla scarcerazione di sei innocenti; adesso, fanno scattare quattro ordinanze di custodia cautelare, che sono state firmate dal gip Alessandra Giunta. Questa mattina, i provvedimenti sono stati notificati in carcere dalla Dia al capomafia pluriergastolano Salvino Madonia (è accusato di aver partecipato nel dicembre 1991 alla riunione della Cupola in cui si decise l'avvio della strategia stragista) e ai boss Vittorio Tutino e Salvatore Vitale (il primo rubò con Spatuzza la 126 per la strage; il secondo abitava nel palazzo della madre di Borsellino, in via d'Amelio, e avrebbe fatto da talpa agli stragisti). Un quarto provvedimento riguarda il pentito Calogero Pulci, era l'unico in libertà: è accusato di calunnia aggravata, perché con le sue dichiarazioni avrebbe finito per fare da riscontro al falso pentito Vincenzo Scarantino. La Procura aveva chiesto l'arresto di una quinta persona, il meccanico Maurizio Costa, a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni della Fiat 126, ma il gip ha rigettato la misura. Costa resta indagato a piede libero per favoreggiamento aggravato.
Ecco, dunque, un primo importante passo avanti per fare luce sui misteri che vent'anni dopo ancora si addensano attorno a via d'Amelio. La nuova inchiesta porta la firma del procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, degli aggiunti Domenico Gozzo e Amedeo Bertone, dei sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani. Con i magistrati lavora ormai da anni una squadra della Dia di Caltanissetta, coordinata dal vice questore aggiunto Ferdinando Buceti.
L'ultimo atto d'accusa della Procura nissena si compone di 1670 pagine, riportate e analizzate nel provvedimento del gip: i magistrati ricostruiscono non solo la fase esecutiva della strage, ma affrontano anche i delicati capitoli del movente e dell'eventuale coinvolgimento di uomini delle istituzioni. Ecco alcuni passaggi cruciali del documento, con le ricostruzioni e le testimonianze che finiscono per chiamare in causa pezzi dello Stato.
Chi azionò il telecomando
I pm escludono che i mafiosi fossero appostati al Castello Utveggio di Montepellegrino, che sovrasta via d'Amelio. Secondo il racconto del pentito Fabio Tranchina, "è quasi certamente Giuseppe Graviano che azionò il telecomando", scrivono i magistrati. "Era dietro il muro che delimitava la fine della via D'Amelio ed un retrostante giardino". Graviano è stato già condannato per la strage del 19 luglio.
L'uomo del mistero
Il pentito spiega di aver portato l'auto in un garage di via Villasevaglios, per essere caricata di esplosivo. Era il giorno prima della strage. Assieme ad altri mafiosi c'era un uomo che Spatuzza non aveva mai visto. Scrivono i pm: "Non è allo stato possibile affermare che l'uomo notato da Spatuzza fosse un uomo appartenente ai servizi di sicurezza per il solo fatto che il collaboratore non ebbe a riconoscerlo come appartenente a Cosa nostra". I magistrati aggiungono però: "Non si può escludere allo stato l'ipotesi di un coinvolgimento nella fase preparatoria della strage di personaggi "riservati", ignoti a Spatuzza". Ecco il primo dei misteri ancora da risolvere, per cui le indagini proseguono.
La trattativa e il "traditore"
Il secondo mistero riguarda l'agenda rossa di Borsellino, scomparsa sul luogo della strage. In quelle pagine, probabilmente, il giudice aveva annotato la sua ultima scoperta dopo la morte dell'amico Giovanni Falcone. Non sappiamo con precisione cosa, però adesso le indagini di Caltanissetta dicono che Borsellino sapeva dei primi contatti intrapresi da alcuni carabinieri del Ros con l'ex sindaco Vito Ciancimino (contatti che poi si sarebbero trasformati in una trattativa Stato-mafia ancora oggi dai contorni poco chiari). Lo riferisce ai pm il magistrato Liliana Ferraro, che qualche tempo prima era stata avvicinata proprio da un ufficiale del Ros: "Vidi Borsellino il 28 giugno e affrontai l'argomento", precisa la Ferraro.
Il giorno dopo, Borsellino incontrò altri due colleghi magistrati, Alessandra Camassa e Massimo Russo. "Si distese sul divanetto del suo ufficio - ha messo a verbale la Camassa - e mentre gli sgorgavano le lacrime dagli occhi, disse: "Non posso pensare che un amico mi abbia tradito". Massimo Russo ha aggiunto: "Qualche giorno prima era stato a Roma e aveva avuto un pranzo, forse una cena, con alti ufficiali dei carabinieri. Fu lo stesso Borsellino a parlarcene a un certo punto". Sia la Camassa che Russo pensarono che il traditore fosse a quella cena. E adesso lo pensano anche i magistrati di Caltanissetta: "E' probabile - scrivono - che il traditore fosse tra le persone incontrate".
Così, dopo i verbali di Camassa e Russo, i pm inseriscono nella loro ricostruzione le dichiarazioni della moglie di Borsellino, Agnese. "Il 15 luglio, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto, mi disse testualmente: "Ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era "punciutu". Tre giorni dopo, durante una passeggiata sul lungomare di Carini, mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere".
"Punciutu", vuole dire mafioso. I pm osservano: "Un'inquietante confidenza in relazione alla figura del generale Subranni, capo del Ros dei carabinieri, proprio la struttura che stava conducendo la cosiddetta trattativa". Per questa ragione, Subranni è indagato dalla Procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa.
Risentita nuovamente dai pm, la signora Borsellino ha aggiunto un ricordo: "Mio marito non mi parlò mai di trattativa, ma a metà giugno mi fece cenno a un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato".
Ancora "metà giugno", il periodo in cui Graviano avviò i preparativi per la strage, incaricando Spatuzza di rubare la 126. Ecco il dilemma che si pongono i magistrati: "La trattativa fu tra i motivi aggiuntivi che hanno spinto Cosa nostra ad effettuare proprio nel luglio 1992 la strage di via d'Amelio per mera leggerezza di chi a quella trattativa ha partecipato? Ovvero (purtroppo) qualche 'servitore dello stato infedele' si spinse sino al punto di additare volontariamente il dottor Borsellino come ostacolo al buon fine della trattativa?". Dopo aver riletto le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca i magistrati di Caltanissetta propendono per l'ipotesi più drammatica, "che qualcuno abbia riferito a Cosa Nostra che Borsellino era di ostacolo alla prosecuzione della trattativa". Così, il tentativo di bloccare le stragi si sarebbe trasformato nel più grande pasticcio (ovvero patto scellerato) della Repubblica. La conclusione dei pm è amara: "Alcuni significativi risultati Cosa nostra li ha ottenuti. Si è accertato che i provvedimenti di carcere duro, i cosiddetti 41 bis, sono scesi vertiginosamente, dai 1200 in vigore alla fine del 1992 ai circa 400 alla metà del 1994". Chi decise? I pm non credono alla versione dell'ex Guardasigilli Conso, che si è assunto la totale responsabilità di quella scelta. Così, ancora una volta, l'indagine torna nel cuore dello Stato.
Il "supertestimone" Ciancimino
Un contributo importante per risolvere i misteri di quei mesi i pm di Caltanissetta si aspettavano dal figlio dell'ex sindaco di Palermo. Ma Ciancimino junior ha deluso, e non poco. I pm sono disposti a concedergli solo un merito: "Ha contribuito a risvegliare la memoria di persone che, pur non direttamente chiamate in causa da lui, forse temevano che fosse a conoscenza di vicende inerenti la trattativa di cui essi erano stati testimoni privilegiati e che in precedenza non avevano mai rivelato ad alcuno". Per il resto, i pm nisseni parlano di "un giudizio finale sostanzialmente negativo sull'attendibilità intrinseca" di Massimo Ciancimino. In un altro passaggio, i magistrati parlano addirittura di "pseudo collaborazione di Ciancimino", che "sembra essere più favorevole agli interessi di Cosa nostra che a quelli dello Stato". Ma perché questo atteggiamento? I pm ipotizzano che Ciancimino voglia ancora "salvaguardare il proprio patrimonio", ma ipotizzano pure che dietro di lui "si nasconda una occulta cabina di regia".(La Repubblica, 08 marzo 2012)
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