sabato, marzo 03, 2012

Sgarbi replica a Ingroia: «Ecco perché mi sono dimesso...»

Vittorio Sgarbi
«Anche nelle istituzioni possono esservi bugiardi e traditori… Lei e i suoi colleghi agite in nome di un mandato taumaturgico che viola i principi della democrazia… Lei merita una sola risposta, quella che le mie dimissioni indicano: nessuna persona che creda ai valori della cultura e non a quelli della repressione e del totalitarismo giudiziario, si candidi in Sicilia (che lei si ostina a chiamare, manicheisticamente, «terra di mafia»; ed è oggi purtroppo quasi soltanto terra di «professionisti dell’antimafia»)
ROMA – Il Pm Antonio Ingroia non resiste alla tentazione di farsi controparte politica. E così, a pochi giorni dal “richiamo” del Csm che ha bollato come «inopportuna» la sua presenza al congresso del Pdci, entra ancora nel dibattuto politico per polemizzare, stavolta, con Vittorio Sgarbi, ed in particolare in riferimento alle motivazioni con le quali l’ex sindaco di Salemi ha accompagnato le dimissioni dalla carica.
Ingroia lo ha fatto con un articolo pubblicato sul portale di informazione www.livesicilia.it (http://www.livesicilia.it/2012/02/27/la-contraddizione-tra-democrazia-e-legalita/), al quale adesso il critico d’arte replica così:

«Mi ascolti bene, caro dottor Ingroia, io vorrei che lei non avesse mai scritto la sua nota ingiustamente diffamatoria sulla città di Salemi. Io mi vergogno del pensiero che lei esprime contro la Sicilia e contro l’Italia, e mi vergogno che uomini delle istituzioni continuino a diffondere menzogne con l’atteggiamento di chi parla di verità dimostrate semplicemente basandosi su luoghi comuni, su pettegolezzi e su inchieste contraddittorie e menzognere.
Lei si muove sul terreno scivoloso della «apparente contraddizione tra integrale applicazione della cultura delle regole e principio di democrazia». E dunque, allora, la esorto a non umiliare la parola «cultura» con il grammaticale collegamento a regole arbitrariamente stabilite in duri e difficili tempi di emergenza.  La coscienza dei cittadini e la libertà del pensiero, non «la cultura delle regole», hanno cambiato le realtà amministrative siciliane negli ultimi vent’anni. E, ancor più, il pentitismo, non quello truccato e postumo al quale lei indulge nella grottesca esaltazione del figlio di Ciancimino, la cui psicologia di mitomane, anche pericoloso, ha ben individuato, in contrasto con lei, il procuratore Lari.
 In questo senso il tanto che la mia amministrazione ha fatto a Salemi, e che è documentato, ha rappresentato un superamento della falsificazione della lotta tra mafia-antimafia, tra guardie e ladri, che consente a persone come lei di continuare a mortificare la Sicilia.
Io sono venuto e ho trasformato la cultura di Salemi, come sa tutto il mondo e come mi ha riconosciuto il ministro degli Interni Cancellieri.
Non accetterò che Salemi debba essere precipitata in un passato morto e sepolto anche grazie ai suoi teoremi. I mafiosi ci sono, certamente, ma la mafia organizzata, a Salemi soprattutto, non c’è più; così come ci sono sicuramente i nazisti, ma non c’è più il nazismo, e perseguirli quando non sono al potere è cosa diversa che abbattere il nazismo.
Io parlo a ragion veduta da vittima non della mafia ma di magistrati come lei che osarono incriminarmi in Calabria, con ridicole menzogne, per essere poi smentiti dal procuratore Vigna che archiviò quella inchiesta. Ma i suoi colleghi calabresi, come lei, obbedivano alla teoria immobilistica (solo a parole smentita) che chiunque si candidi in Calabria deve fare i conti con la mafia.  Non fu così allora, e non è stato così a Salemi. E non perché il Giammarinaro da lei mitizzato come mafioso, senza incredibilmente essere indagato per tale (osserverà anche lei la contraddizione in rispetto dei diritti di un cittadino e della verità), ha presentato regolari liste legittimate dalla prefettura ottenendo l’elezione di dodici consiglieri nessuno dei quali può, in alcun modo e neanche lontanamente, essere avvicinato alla mafia, se non per consentire ragionamenti come i suoi che, per rendere credibili i suoi ragionamenti, parla di «accertata infiltrazione mafiosa».
Ma accertata dove, come, da chi? Si vergogni, Ingroia !
E rifletta, anche alla luce dei processi contro esponenti delle Forze dell’Ordine, al fatto che anche nelle istituzioni possono esservi bugiardi e traditori che mistificano la realtà e inventano reati e criminali che non ci sono.
Tutti i miei assessori, e il vicesindaco in particolare, sono al di sopra di ogni sospetto e non hanno subito nessuna pressione né sofferto alcuna infiltrazione mafiosa. Né si può immaginare che la capacità di influenza politica esercitata, a destra e a sinistra, in una società possa essere scambiata, se non in mala fede, per l’espressione di «varie articolazioni di Cosa Nostra, che dimostrano un’efficiente capacità di controllare intere comunità, drogandone dunque il consenso che, sotto tale profilo, è libero solo in apparenza».
È inaudito che lei si possa permettere affermazioni così autoritarie e antidemocratiche stabilendo chi ha titolo e chi non lo ha a prendere voti puliti. Concludendo, senza dubitare della fedeltà e serietà delle Forze dell’Ordine (quelle stesse che hanno convissuto con quelli che lei ritiene esponenti della mafia e che non mi hanno mai messo in guardia sulla loro pericolosità) «che la contraddizione fra democrazia e legalità è solo apparente».
Lei capirà bene che l’unico risultato di queste false inchieste e di queste arbitrarie deduzioni è che io me ne sia andato per non sottostare alla violenza di un’azione antimafia prepotente e criminale.
Peso bene le parole, so quello che dico e difendo una comunità di cittadini innocenti e umiliati.
Non mi attribuisca, a me che conosco e uso la dialettica meglio di lei, di indulgere «nella semplificazione del ragionamento politico» secondo il quale «si è spesso e volentieri sostenuto che il consenso dei cittadini sana ogni eventuale strappo della legalità formale».
Nessuno strappo. Le richieste, tutte respinte di Giammarinaro, non sono diverse da quelle delle componenti politiche che fanno capo a Raffaele Lombardo e a Saverio Romano, indagati per mafia.
Quello che è avvenuto a Salemi non può in alcun modo essere definito «fallimento della politica», ma fallimento dell’azione giudiziaria che mistifica la verità vaneggiando di «codici etici».  Ma quali codici etici ? Sarà etica la vostra ?
Torni a leggere Benedetto Croce, che forse non ha mai letto, il quale nel volume «Etica e politica» scrive con grande chiarezza: «Il vero politico onesto è il politico capace».
 Si può dire lo stesso del magistrato. Ma ammesso che voi, lei e i suoi colleghi teorici, siate capaci, è assolutamente evidente che agite in nome di un mandato taumaturgico che viola i principi della democrazia, e, d’altra parte, lei, a un parlamentare che ha conosciuto il 41 bis, e che lo ha fortemente voluto negli anni dell’emergenza (mi riferisco a Calogero Mannino), rimprovera di avere tentato di attenuarlo. E cosa vuol dire ? Che un parlamentare non può chiedere che venga cambiata una legge ? Non è suo diritto ?
In cinquantadue parlamentari, nel 1993, con Pannella, Taradash, Biondi, Maiolo e altri di cui mi onoro di aver condiviso le idee, proponemmo una legge per cancellare il 41 bis, in nome di diritti umani che sono gli stessi evocati per Guantanamo.  I nostri nomi furono messi all’indice in prima pagina della «Repubblica».
 Ma quella era una polemica giornalistica. Ciò che lei ha fatto nei confronti di Mannino è una violenza contro la democrazia,ancora una volta in nome di teoremi contro la persona e contro la Sicilia.
Lei merita una sola risposta, quella che le mie dimissioni indicano: che nessuna persona che creda ai valori della cultura e non a quelli della repressione e del totalitarismo giudiziario, si candidi in Sicilia (che lei si ostina a chiamare, manicheisticamente, «terra di mafia»; ed è oggi purtroppo quasi soltanto terra di «professionisti dell’antimafia»).
Terra perduta non più per colpa della mafia ma per la vostra responsabilità morale, contro la verità e contro l’uomo».

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