Placido Rizzotto Jr |
Gentile direttore, mi chiamo Placido Rizzotto ho 59 anni e sono il nipote del sindacalista ucciso nel 1948. Ho molto apprezzato la campagna che il suo giornale sta portando avanti per dare funerali di Stato a mio zio e la ringrazio per questo. Placido Rizzotto non l’ho mai conosciuto. Sono nato tre anni dopo la sua morte. Ma di mio zio, oltre al nome, mi porto dietro i ricordi e i racconti della mia famiglia. Me lo hanno sempre descritto come una persona buona, che si è sempre battuta per altri prima ancora che per se stesso. Un uomo che ha sfidato i mafiosi locali, i gabellotti, per difendere i contadini, i bisognosi, gli ultimi.
Ed è stato proprio il suo impegno a condannarlo a morte. In tutti questi anni passati a cercare una verità, che dalle aule di tribunale non è mai arrivata, per noi è stato sempre chiaro qual era il movente: mio zio è stato colpito perché stava cercando di strappare i contadini alla loro condizione di servitù. Il processo in tre gradi e l’assoluzione per insufficienza di prove non hanno spostato una virgola a quanto già sapevamo. Quando abbiamo letto dei funerali di Stato sono stato colto di sorpresa. Il mio impegno e quello della mia famiglia, fino ad ora, era indirizzato a dare una degna sepoltura al corpo di mio zio e ad accertare la verità.
Questa iniziativa ci lusinga ed è un riconoscimento che va anche a quella parte di Corleone che si oppone alla mafia. Placido è morto per il suo impegno civile. Un impegno che rende la sua figura ancora attuale. Mio zio, in un certo senso, vive ancora. Vive, ad esempio, in tutte quelle realtà di giovani che operano nei campi confiscati alla mafia, in quelle cooperative che portano legalità e lavoro, ma vive anche al fianco di quei lavoratori che oggi vedono i loro diritti sotto attacco. Anche per questo credo che sia opportuno i funerali di stato per mio zio. Per non dimenticare.
L’Unità, 13.03.2012
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