«Era un sogno coltivato per anni, ben vengano i funerali di Stato per Placido Rizzotto». Don Luigi Ciotti è in partenza per Genova dove da domani si svolgerà la “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie” organizzata da Libera. Dai suoi uffici torinesi, però, ci tiene a schierarsi con il fronte di coloro che, aderendo all'appello de l'Unità, chiedono i funerali di stato per il sindacalista ucciso dalla mafia il 10 marzo del 1948.
«Fin dalla sua fondazione Libera ha chiesto che si facesse di tutto per restituire alla famiglia il corpo di Placido Rizzotto, perché abbiamo sempre pensato fosse un problema di dignità e di democrazia - spiega Ciotti - Fu proprio Libera a portare nella giornata della Memoria un capo di Stato, Oscar Luigi Scalfaro, a Corleone insieme al nipote Placido Rizzotto. Era un sogno che abbiamo condiviso con la sua famiglia, e allora ben vengano i funerali di stato pensando a lui e ai tanti altri di cui oggi non sappiamo ancora nulla».
È un modo per riconsegnarlo anche alla memoria di un paese che si è dimenticato per troppo tempo di lui, delle sue lotte e del suo omicidio?
«Certamente. Del resto non è un caso se la prima cooperativa che stata aperta sui terreni confiscasti alla mafia è intitolata proprio Placido Rizzotto. Lui si era battuto perché la terra tornasse ai contadini, e l'hanno ucciso per questo. Per onorare anche le sue lotte nel 1996 abbiamo raccolto un milione di firme per la destinazione sociale dei beni confiscati, e siamo partiti proprio da Corleone. Lo abbiamo fatto pensando a lui e a chi l'ha sostituito in quelle battaglie, ossia a Pio La Torre. Quest'anno ricorrono i trent'anni del suo omicidio, lui che si era battuto per quella legge ma non riuscì a vederla, perché fu ucciso quattro mesi prima dell'approvazione della norma sul 416 bis che conteneva il primo accenno alla confisca: ai suoi funerali tutti avevano promesso che quella legge sarebbe stata approvata in fretta ma poi servì un'altra morte, quella del giudice Rocco Chinnici. E non dimentichiamo che, in mezzo ai tanti depistaggi, ad indagare sulla scomparsa di Placido Rizzotto fu Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tutta questa gente non c'è più, li hanno ammazzati perché si sono battuti per la democrazia, per la giustizia e la ricerca della verità».
Vittime di mafia che hanno un nome, morti come centinaia di altri di cui non c'è ricordo.
«Da tempo ci battiamo perché nella legislazione che attribuisce lo status di vittime delle mafie, del terrorismo e del dovere venga cancellata la data del 1961 da cui partono i diritti di riconoscimento e risarcimento. Quella data va fatta sparire perché ad esempio taglierebbe fuori proprio Placido Rizzotto e la sua famiglia. Non possiamo mantenere in vita quel meccanismo legislativo».
Veniamo a Genova. Un appuntamento che si ripete da 17 anni. È l'ostinazione della memoria?
«È una memoria che vuole farsi impegno, un momento di raccoglimento per ribadire la nostra vicinanza alle famiglie delle vittime e alla loro straordinaria forza morale. Migliaia di giovani da tutta Italia si danno appuntamento ogni anno, da diciassette anni, per abbracciarli, mantenere viva la memoria e dire che c'è una fetta di Paese che sta dalla loro parte. Andiamo a Genova per rinnovare un deciso no alle mafie, alle corruzioni morali, alle ingiustizie sociali e agli egoismi che le alimentano. Genova è stata definita porta d'Europa, una porta aperta all'incontro fra le genti. Facciamo in modo che sia anche una porta sbattuta in faccia alle mafie, all'illegalità e alla corruzione».
Cosa ne pensa del dibattito che si è acceso intorno al concorso esterno in associazione mafiosa dopo la decisione della Cassazione che ha annullato la condanna in appello per Marcello Dell'Utri?
«È gravissimo. Sono discorsi che ci fanno tornare indietro di decenni. La forza della mafia non sta dentro alla mafia, sta fuori. Sta in quelle connessioni, in quei rapporti, in quelle coperture dirette e indirette. Il concorso esterno è uno degli strumenti che ha permesso di individuare e attaccare quella zona grigia. Non si possono fare passi indietro. Si tratterebbe di un gravoso e pericoloso ripensamento».
Nel frattempo arrivano buoni segnali dal parlamento Europeo, dove è stata votata l'istituzione di una Commissione Antimafia, sul modello di quella italiana.
«Anche questa è una battaglia partita da lontano e iniziata proprio da Libera tanti anni fa. Penso ai grandi incontri che abbiamo organizzato portando a Bruxelles centinaia di giovani da tutta Europa e al lavoro di tanti deputati italiani che si sono battuti insieme a noi per l'ottenimento di questo risultato. Ancora una volta, questa vicenda dimostra che è un noi che vince: il ruolo della società civile e responsabile e quello della politica e di chi la rappresenta. Insieme si possono unire forze, energie e intelligenze per graffiare di più la realtà e far prendere coscienza sul fatto che il problema delle mafie è trasversale a tutti i paesi».
L'Unità Massimo Solani il 15 marzo 2012
«Fin dalla sua fondazione Libera ha chiesto che si facesse di tutto per restituire alla famiglia il corpo di Placido Rizzotto, perché abbiamo sempre pensato fosse un problema di dignità e di democrazia - spiega Ciotti - Fu proprio Libera a portare nella giornata della Memoria un capo di Stato, Oscar Luigi Scalfaro, a Corleone insieme al nipote Placido Rizzotto. Era un sogno che abbiamo condiviso con la sua famiglia, e allora ben vengano i funerali di stato pensando a lui e ai tanti altri di cui oggi non sappiamo ancora nulla».
È un modo per riconsegnarlo anche alla memoria di un paese che si è dimenticato per troppo tempo di lui, delle sue lotte e del suo omicidio?
«Certamente. Del resto non è un caso se la prima cooperativa che stata aperta sui terreni confiscasti alla mafia è intitolata proprio Placido Rizzotto. Lui si era battuto perché la terra tornasse ai contadini, e l'hanno ucciso per questo. Per onorare anche le sue lotte nel 1996 abbiamo raccolto un milione di firme per la destinazione sociale dei beni confiscati, e siamo partiti proprio da Corleone. Lo abbiamo fatto pensando a lui e a chi l'ha sostituito in quelle battaglie, ossia a Pio La Torre. Quest'anno ricorrono i trent'anni del suo omicidio, lui che si era battuto per quella legge ma non riuscì a vederla, perché fu ucciso quattro mesi prima dell'approvazione della norma sul 416 bis che conteneva il primo accenno alla confisca: ai suoi funerali tutti avevano promesso che quella legge sarebbe stata approvata in fretta ma poi servì un'altra morte, quella del giudice Rocco Chinnici. E non dimentichiamo che, in mezzo ai tanti depistaggi, ad indagare sulla scomparsa di Placido Rizzotto fu Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tutta questa gente non c'è più, li hanno ammazzati perché si sono battuti per la democrazia, per la giustizia e la ricerca della verità».
Vittime di mafia che hanno un nome, morti come centinaia di altri di cui non c'è ricordo.
«Da tempo ci battiamo perché nella legislazione che attribuisce lo status di vittime delle mafie, del terrorismo e del dovere venga cancellata la data del 1961 da cui partono i diritti di riconoscimento e risarcimento. Quella data va fatta sparire perché ad esempio taglierebbe fuori proprio Placido Rizzotto e la sua famiglia. Non possiamo mantenere in vita quel meccanismo legislativo».
Veniamo a Genova. Un appuntamento che si ripete da 17 anni. È l'ostinazione della memoria?
«È una memoria che vuole farsi impegno, un momento di raccoglimento per ribadire la nostra vicinanza alle famiglie delle vittime e alla loro straordinaria forza morale. Migliaia di giovani da tutta Italia si danno appuntamento ogni anno, da diciassette anni, per abbracciarli, mantenere viva la memoria e dire che c'è una fetta di Paese che sta dalla loro parte. Andiamo a Genova per rinnovare un deciso no alle mafie, alle corruzioni morali, alle ingiustizie sociali e agli egoismi che le alimentano. Genova è stata definita porta d'Europa, una porta aperta all'incontro fra le genti. Facciamo in modo che sia anche una porta sbattuta in faccia alle mafie, all'illegalità e alla corruzione».
Cosa ne pensa del dibattito che si è acceso intorno al concorso esterno in associazione mafiosa dopo la decisione della Cassazione che ha annullato la condanna in appello per Marcello Dell'Utri?
«È gravissimo. Sono discorsi che ci fanno tornare indietro di decenni. La forza della mafia non sta dentro alla mafia, sta fuori. Sta in quelle connessioni, in quei rapporti, in quelle coperture dirette e indirette. Il concorso esterno è uno degli strumenti che ha permesso di individuare e attaccare quella zona grigia. Non si possono fare passi indietro. Si tratterebbe di un gravoso e pericoloso ripensamento».
Nel frattempo arrivano buoni segnali dal parlamento Europeo, dove è stata votata l'istituzione di una Commissione Antimafia, sul modello di quella italiana.
«Anche questa è una battaglia partita da lontano e iniziata proprio da Libera tanti anni fa. Penso ai grandi incontri che abbiamo organizzato portando a Bruxelles centinaia di giovani da tutta Europa e al lavoro di tanti deputati italiani che si sono battuti insieme a noi per l'ottenimento di questo risultato. Ancora una volta, questa vicenda dimostra che è un noi che vince: il ruolo della società civile e responsabile e quello della politica e di chi la rappresenta. Insieme si possono unire forze, energie e intelligenze per graffiare di più la realtà e far prendere coscienza sul fatto che il problema delle mafie è trasversale a tutti i paesi».
L'Unità Massimo Solani il 15 marzo 2012
Nessun commento:
Posta un commento