di GIUSEPPE CASARRUBEA
Tra sabato e domenica scorsa si è spento nel sonno, alla venerabile età di 93 anni, Oscar Luigi Scalfaro. Ministro dell’Interno al tempo dei governi di Bettino Craxi, presidente della Repubblica dopo la strage di Capaci e via D’Amelio. Fu protagonista e testimone delle vicende italiane in anni terribili. Quando il tritolo parlava il linguaggio del ricatto e Cosa nostra alzava il tiro contro lo Stato e i suoi uomini migliori. Nuovi fantasmi si agitavano in Europa con il loro seguito di tragedie, distruzioni e, di converso, di lotte per la libertà e la democrazia. Eravamo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso. Sembrano mille anni fa.
Qualcuno l’ha definito un pezzo d’antiquariato della storia del nostro Paese, qualche altro un uomo da santificare subito, alla stregua dei grandi cattolici martiri o eroi, come Giorgio La Pira. Qualche altro, ancora, un personaggio oscuro negli anni bui del nostro passato.
Fu semplicemente testimone di un secolo. Forse meno protagonista, impegnato come cattolico e come politico, custode discreto, ma deciso, di fatti, valori, segreti. Quando altri nel suo partito lo sovrastavano e decidevano per lui. Basti pensare agli anni della Resistenza contro il nazifascismo, alla ricostruzione dell’Italia basata sull’unità delle forze antifasciste, al suo impegno di magistrato negli anni della Liberazione, gli anni di Togliatti, Nenni e De Gasperi, Truman e Churchill, della cortina di ferro e della guerra fredda. Della gestazione e della nascita della nostra Costituzione. Anni che lo videro impegnato in prima linea nella Democrazia cristiana. Anticomunista certamente, come lo furono tutti i democristiani realmente convinti che da un giorno all’altro le truppe di Stalin si sarebbero riversate a piazza San Pietro, devastando le mura del Vaticano, i palazzi apostolici, la sacralità e l’ inviolabilità della Chiesa cattolica.
Nel 1946 fu eletto all’Assemblea Costituente e da allora lo troviamo più volte sottosegretario e ministro. Nel 1948 fu sostenitore dei Comitati civici di Luigi Gedda. Fu allora che la Dc ruppe l’unità delle forze antifasciste e avviò il suo lungo regime centrista.
Gli anni più tragici della sua vita si legano all’esperienza di governo e di massimo rappresentante istituzionale. Tra il 1983 e il 1992 corre un decennio che possiamo considerare tra i più oscuri della nostra storia. Dall’’83 al ’87 è ministro dell’Interno del governo di Bettino Craxi. Poi un susseguirsi a valanga di tragedie. Nel 1984 la strage del treno Rapido 904, l’anno successivo l’omicidio di Tarantelli e la strage di Pizzolungo in seguito all’attentato al giudice Carlo Palermo. Terrorismo nero e mafia diventano il binomio che si afferma in modo tragico dopo il delitto Moro e la strage di via Fani. Un binomio la cui natura torbida si riscontra nel caso di Ciro Cirillo, quando, nel 1981, il sequestro dell’assessore democristiano vede instaurarsi una trattativa tra Br e Stato, con la mediazione probabile da un lato di Francesco Pazienza, il faccendiere legato ai Servizi segreti italiani e dall’altro di Raffaele Cutolo, capo della Nuova camorra organizzata.
Ma il periodo più interessante della biografia di Scalfaro è la sua carica di presidente della Repubblica alla quale è eletto per un settennio dal 1992 al 1999. Si realizza allora la prima esperienza di un governo tecnico (dall’aprile 1993 al maggio ‘94) con l’elezione a presidente del Consiglio dei ministri di Carlo Azeglio Ciampi. Un uomo che in vita sua non aveva mai ricoperto cariche elettive. La prima anticipazione di Mario Monti nell’ultimo ventennio.
Appena eletto (25 maggio 1992) Scalfaro si trova, però, tra i piedi la crisi del sistema dei partiti e le stragi di Capaci (23 maggio) e di via D’Amelio (19 luglio). Si rende ben conto della situazione che dovrà gestire. Nel discorso di insediamento dice che “il grande problema che tutti insieme si dovrà affrontare e risolvere è far giustizia nei confronti di chi ha commesso fatti gravi”. E aggiunge, forse in modo enigmatico, che ciò dovrà avvenire senza “arrecare danno all’immagine dello Stato” in Italia e nel mondo.
Perché un’azione doverosa avrebbe potuto compromettere l’immagine dello Stato? Di quali segreti era a conoscenza il nuovo presidente della Repubblica? E a quali forze si riferiva quando parlava di “attentato metodico” allo Stato e di “lenta distruzione” dello stesso? Alla luce di quanto è emerso in questi ultimi mesi e delle stesse ipotesi investigative della magistratura non è da escludere che Scalfaro si riferisse alle pressioni esercitate da Cosa nostra perché le istituzioni venissero a miglior consiglio sia sul trattamento dei mafiosi in galera, sia per imprimere una svolta dopo la crisi dei partiti incalzati da Tangentopoli.
“A questo gioco al massacro io non ci sto. Sento il dovere di dare l’allarme”- disse. Era un uomo all’antica, tutto d’un pezzo. Forse qualcuno gli aveva riferito qualcosa di indicibile; forse l’ex ministro della polizia sapeva per conto suo qualcosa che avrebbe potuto riferire alla magistratura o consegnare dolorosamente al segreto di Stato. Un dicastero, il Viminale, che è stato, talvolta, l’anticamera dei presidenti della Repubblica. Da lui a Cossiga e a Napolitano. Il suo motto del resto era: “Dal Quirinale si va in pensione, da cittadini e cristiani no”. E aveva ragione. Il cittadino e il cristiano non vanno in pensione al momento in cui acquisiscono i diritti civili o quelli che derivano dalla loro fede. Non è così per un capo di Stato, che alla fine del suo mandato, se ne ritorna a casa. L’aforisma è interessante e lascia trasparire bene il carattere e la cultura di un padre costituente, acerrimo nemico di quanti la Costituzione l’avrebbero pure stracciata e travisata. Berlusconi in testa. Non è un caso che in un momento assai buio, il primo riferimento di Scalfaro, appena eletto in Parlamento, fu alla Carta costituzionale. E’ costata lacrime e sangue, disse. E invitò tutti a non dimenticarlo mai.
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