Il cronista antimafia venne ucciso il 5 gennaio del 1984 con cinque colpi alla nuca. Le iniziative per ricordarlo
CATANIA - Dopo 28 anni dall’uccisione di Giuseppe Fava, il 5 gennaio continua ad essere per tutti i catanesi onesti un momento importante per ricordare un giornalista che ha lottato con coraggio contro la mafia. Gli appuntamenti in memoria di Fava, intitolati «Ricordiamo Pippo Fava lavorando» avranno inizio a partire dalle 17, col presidio alla lapide, in via Giuseppe Fava, davanti al Teatro Stabile, dove avvenne l’agguato. Alle 18.30 al Centro Zō culture contemporanee si prosegue con la proiezione del docu-film «Siciliano come me» di Vittorio Sindoni, tratto dal reportage televisivo realizzato dalla Rai alla fine degli anni settanta e mai andato in onda. Alle 21, infine, al circolo Città Insieme, incontro di presentazione del mensile «I Siciliani giovani», giornale nato proprio per proseguire idealmente il lavoro d’informazione di Fava e affiancato dalla mostra fotografica «Il Giornale del Sud/archivio del nostro Novecento», con le fotografie scattate da Giovanni Caruso e Aldo Ciulla, fotoreporter dello storico giornale «I Siciliani».
Giornalista, documentarista, sceneggiatore e disegnatore, Pippo Fava con un meticoloso lavoro di analisi della realtà siciliana e italiana negli anni delle guerre fra clan a Catania, attraverso le pagine del giornale aveva scelto di raccontare i rapporti fra mafia e politica, di fare nomi e cognomi di imprenditori e uomini di potere collusi con la mafia. Ma ben presto è stato costretto a lasciare la direzione del quotidiano locale, dopo l’arrivo di un nuovo gruppo di editori-imprenditori poco disposti a tollerare lo stile spregiudicato e sincero di Fava. Insieme ai giovani giornalisti che lo avevano affiancato, Fava fonda nel 1982 un nuovo mensile, « I Siciliani», le cui inchieste e reportage diventano un caso politico nazionale. Dopo aver messo a nudo le attività illecite dei quattro maggiori imprenditori catanesi, Carmelo Costanzo, Mario Rendo, Gaetano Graci e Francesco Finocchiaro, Fava comincia a sentirsi sempre più isolato. Gli sponsor che sostenevano l’attività del suo giornale lo abbandonano, ma il giornalista non si arrende e manda avanti «I Siciliani» con le sue esigue risorse economiche. Pochi giorni prima dell’omicidio, durante una cena di famiglia, riceve dal suo precedente editore una cassa di champagne e un enorme quantitativo di ricotta. La simbologia mafiosa parla chiaro, l’intenzione degli uomini di Cosa Nostra è uccidere barbaramente il giornalista, per poi ritrovarsi a festeggiare per la sua morte.
La sera del 5 gennaio 1984 Fava si reca al Teatro Stabile per andare a prendere la nipote che aveva recitato nella commedia «Pensaci Giacomino!», ma viene freddato con cinque proiettili sparati alla nuca. Contro ogni evidenza, il delitto viene considerato passionale, prima, e legato a moventi economici dopo. Soltanto dopo molti anni si arriva a considerare l’uccisione di Pippo Fava come delitto di mafia. Il giornale continua la sua attività per altri tre anni, sempre in prima linea contro la mafia e la corruzione politica, poi è costretto a chiudere. Oggi, dall’esperienza di chi, come Riccardo Orioles, ha lavorato nella redazione de «I Siciliani», ricomincia un’avventura - quella de «I Siciliani giovani» - che sceglie di non dimenticare l’esempio di Fava e di proporre un giornalismo diverso, coraggioso, ma soprattutto, antimafia.
Giorgia Landolfo
05 gennaio 2012
05 gennaio 2012
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