martedì, gennaio 17, 2012

Il declassamento è un attacco all'euro? Perché dirlo solo orta?

Leggiamo, con piacere, che ieri (13 gennaio 2012) anche il Presidente del Consiglio, prof. Mario Monti, ha parlato di “attacco all’Europa “ da parte delle società di rating. Molti cittadini italiani lo pensano da tempo, come ho scritto nel sottostante articolo, del 9 ottobre 2011 (tre mesi fa!), pubblicato in “Rischio Calcolato” e in tanti altri giornali online. Purtroppo, i “grandi quotidiani” italiani non l’hanno voluto nemmeno riprendere. (a.s.)

Società di rating: Attacco all’euro, attacco all’Europa
di Agostino Spataro


La crisi c’è ed è grave. Nessuno può negarla. Le cause sono molteplici e di natura complessa, interne e internazionali.

Nell’Italia repubblicana le crisi, anche gravi, ci sono sempre state. Tuttavia, mai era successo, come oggi accade, che a decretarle, a pilotarle e a indicarne le soluzioni siano tre agenzie private straniere (Usa) i cui soci hanno da difendere corposi interessi societari, per altro concorrenti con altri dei paesi sottoposti al loro vaglio.
Chi sono, chi controlla queste società di rating che stanno facendo tremare l’Europa?
E’ questa una domanda banale che tutti si fanno, ma alla quale nessuno dei tanti esperti, banchieri e uomini del potere risponde.
Una risposta, forse, si può trovare in due articoli scritti dal giornalista indipendente Alberto Puliafito (che ho travato sul web) che danno un’idea circa la proprietà delle famose “società di rating”, dei loro compiti e comportamenti (non sempre lineari), dei loro rapporti con il “dio-mercato” e con le varie consorterie finanziarie, con i singoli Stati e forze politiche più o meno influenti.
Non c’è bisogno di essere esperti d’alta finanza per cogliere il valore destabilizzante di questi ben mirati e tempestivi verdetti emanati dalle “agenzie di rating” a carico di questo o quell’altro Stato.

Se ci fate caso, la loro scure si è abbattuta soprattutto contro i Paesi dell’eurozona più esposti ai contraccolpi della crisi, nell’ordine: Grecia, Portogallo, Spagna e ora Italia.

Contro, cioè, gli anelli più deboli della catena dell’euro, per indebolirlo, per smantellare lo stato sociale e deprimere i consumi di massa e acuire la conflittualità interna, ecc.
Insomma, una miscela davvero esplosiva che può mettere a dura prova il processo di costruzione unitaria dell’Europa e la stabilità politica dei singoli Stati.
Un attacco all’euro che tanti problemi sta creando al re-dollaro che galleggia in un mare di debito pubblico interno e di deficit commerciali spaventosi e sottoposto a incursioni finanziarie di governi stranieri (specie cinese e saudita).
E’ chiaro che, comprando il debito, questi Paesi comprano quote di sovranità degli Usa ossia della prima potenza economica e militare del Pianeta.
Tuttavia, il rischio maggiore, già in atto, è la tendenza dell’euro a sostituire il dollaro Usa come principale moneta di scambio nelle transazioni commerciali internazionali.
Perciò, oltre- atlantico non hanno gradito il varo dell’euro e il conseguente rafforzamento ed allargamento del processo di unità europea.
Un’Europa unita, con una moneta forte ed apprezzata sul piano internazionale, non è nei programmi delle oligarchie dominanti statunitensi.

Così come sono considerati ostili quei governi che vorrebbero vendere il loro petrolio in euro (non più in dollari) e per questo hanno dovuto subire le rivoluzioni arancione e, in alcuni casi, perfino l’aggressione militare.

La Casa Bianca infatti, li ha bollati come “Stati canaglia”, “paesi dell’impero del male”, inserendoli in liste di proscrizione nelle quali figurano soltanto le dittature a lei ostili e non le dittature amiche, munifiche e anche un po’ servili.
Perciò, è necessario attaccare l’euro, indebolirlo. Per eliminare un pericoloso concorrente.
Se così fosse davvero sarebbe un attacco all’Unione europea, al suo progetto di crescita autonoma, al suo importante ruolo, economico e politico, nel mondo.
Senza più l’euro, l’Unione non ha futuro, rischia la divisione, la dissoluzione e di nuovo la subordinazione all’impero americano.
Gli Usa hanno bisogno di un’Europa debole e allineata, probabilmente in vista del regolamento di conti (speriamo solo commerciali) con la Cina e con altre potenze regionali emergenti.
Certo, questa è solo un’ipotesi da verificare ed eventualmente da smentire, ma con dati e argomenti convincenti.

Purtroppo, di queste cose in Italia quasi non si parla. Tacciono i grandi giornali, i grandi media, i grandi partiti, i grandi sindacati, i grandi…

Tutti grandi, tutti muti! Ma che succede? Perché nessuno di questi soggetti informa la gente di come stanno realmente le cose?
Possibilmente usando la lingua ufficiale dello Stato cioè l’italiano e non questa miscellanea di tecnicismi inglesi frutto di un provincialismo briccone al servizio del manovratore.
Perché, invece di andare in giro con il “pizzino” delle nuove privatizzazioni (leggi svendita di quel che resta del patrimonio pubblico del popolo italiano) i grandi leader di governo e dell’opposizione non spiegano ai cittadini le cause vere, strutturali della crisi italiana e la loro mancanza d’idee e di progetti per superarla?.
Certo, si può tener conto dei verdetti delle società di rating e/o degli andamenti, talvolta bizzarri, dei mercati borsistici, ma non fino al punto di farsene scudo per chiedere le dimissioni di un governo. Poiché, oggi, toccherebbe a Berlusconi, domani un altro potrebbe subire l’indebita pressione.

Le scelte economiche, politiche, le elezioni anticipate non si possono decidere sull’onda delle reazioni emotive provocate dai verdetti di società di rating straniere o degli umori delle borse valori.
Sarebbe come affidare le sorti del Paese a potentati stranieri senza volto e senza alcuna legittimità politica democratica.
Più che un “errore”, questo sarebbe un comportamento dissennato che cambierebbe il senso e la sostanza della democrazia.
In Italia, i governi si cambiano con le lotte politiche e sociali e con il voto degli elettori!
La politica, le scelte si fanno alla luce del sole, nel Parlamento e nelle altre istituzioni repubblicane, sulla base del confronto democratico delle idee fra le forze in campo.
Oppure, in fasi eccezionali come l’attuale, ricorrendo a soluzioni politiche e programmatiche che esaltano la coesione e la responsabilità nazionali, come chiede di fare il presidente Napolitano.
Agostino Spataro
Giornalista, 

direttore del periodico 
Informazioni dal Mediterraneo  www.infomedi.it

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