di Vincenzo Ceruso
Il 15 gennaio del 1993 veniva arrestato Salvatore Riina. Secondo alcuni, il mafioso corleonese sarebbe stato solo una burattino criminale. Durante una popolare trasmissione televisiva, un leader politico nazionale del Partito Democratico ha esclamato: “Ma vi pare possibile che Totò Riina sia il capo della mafia?”. L’esponente politico non ha ritenuto in quell’occasione di rivelare chi fosse il vero capo della mafia per cui noi siamo costretti ad attenerci ai magistrati, alle sentenze e agli innumerevoli collaboratori di giustizia che ci hanno detto il contrario, e cioè che Salvatore Riina è stato per anni il capo di Cosa nostra. Non solo.
Da quel gennaio del 1993, i magistrati con le loro indagini, insieme a innumerevoli intercettazioni ambientali e a diversi collaboratori di giustizia, continuano a dirci che il capo sarebbe ancora lui. La stessa Commissione provinciale di Cosa nostra non è mai stata ricostituita, nonostante i numerosi tentativi, e Riina continuerebbe ad essere l’unico capo legalmente in carica per il popolo mafioso. D’altronde, l’autorità non s’inventa. Si trasmette.
Ma che accade se un capo non è morto, ma è nell’impossibilità di esercitare le sue funzioni? Il leader può essere malato, oppure temporaneamente assente. Si pone il problema di un reggente che sia dotato di piena legittimità, o di una cerchia di reggenti che abbia le chiavi del potere.
Il problema si pone allo stesso modo per qualunque organismo “a vocazione autoritaria” (Norberto Bobbio). La pubblicistica recente ha utilizzato l’espressione cerchio magico per indicare la corte dei fedelissimi, composta in parte da familiari, in parte da membri del partito, che circonderebbe il segretario della Lega Nord, Umberto Bossi, da quando la malattia ne ha limitato l’autonomia. Il cerchio magico, secondo la vulgata giornalistica, influenzerebbe le decisioni del Senatur e farebbe da filtro tra lui e il mondo esterno. Si tratta di una condizione di privilegio, poiché un gruppo ristretto di uomini e donne sarebbe così in grado di decidere chi può avere accesso alla presenza di colui che, in un partito carismatico qual è la Lega, costituisce con la sua stessa persona la fonte del potere. Non mi interessa discutere sulla verità o meno di una simile situazione, ma penso sia interessante accostare a questa un’altra condizione in cui si corre il rischio di un vuoto di potere. Anche Cosa nostra è, in una certa misura, una comunità politica in cui si pone il problema di regolamentare la successione del capo, qualora non sia stato sostituito ma continui a mantenere la carica, pur se detenuto. Si tratta di due organismi profondamente diversi: un partito politico e un’organizzazione criminale, e sarebbe banale sottolineare le differenze tra i due, ma far emergere le similitudini può essere utile, poiché certi meccanismi del potere si ripetono identici in qualunque contesto. La condizione carceraria può essere ancora più limitante di una malattia, soprattutto se vissuta secondo il duro regime del 41 bis, pur con tutte le modificazioni che ha subito negli ultimi anni. Cosa avviene allora dentro l’organizzazione mafiosa?
A differenza di un partito politico, l’associazione criminale prevede l’opzione violenta. Tramite la forza gli aspiranti successori possono competere per ottenere il posto che il capo non è più in grado di difendere. Contrariamente a quel che si potrebbe credere, nella mafia siciliana questa non è quasi mai la scelta principale. Anche Totò Riina ha il suo cerchio magico, composto da un certo numero di fedelissimi, soprattutto familiari e uomini d’onore corleonesi, alcuni dei quali arrestati recentemente, come diversi nipoti e un fratello, Gaetano, residente nel trapanese.
Se Salvatore Riina non può più esprimersi direttamente, il cerchio magico diviene la sorgente del potere. L’operazione “Perseo”, nel 2008, ha rivelato come, durante uno degli ultimi tentativi di ricostituire il vertice di Cosa nostra, i capi delle famiglie di Palermo e provincia disputassero su chi avesse titolo o meno per appoggiarsi sul nome dei Riina per far valere le proprie posizioni.
E Matteo Messina Denaro? Qual è oggi il vero ruolo del latitante di Castelvetrano? Forse, come hanno lasciato intendere alcuni collaboratori, tra i quali Antonino Giuffrè, anche Messina Denaro farebbe parte del cerchio magico di Riina. Vi sarebbero allora le condizioni, insieme al potere economico e militare che detiene, per cui la sua autorità si estenda ben oltre il mandamento di cui è capo. Qualora ciò non fosse già avvenuto.
LiveSicilia.com, 15.01.2012
Nessun commento:
Posta un commento