giovedì, dicembre 01, 2011

Il Liceo classico? La scelta migliore

Umberto Eco
di UMBERTO ECO Aumentano le iscrizioni al liceo nonostante l'opinione pubblica consideri sorpassato il tempo degli studi umanistici. Ed è un dato positivo. Perché anche nel mondo della tecnologia l'avvenire è di chi sappia ragionare. Proprio quello che assicura una preparazione umanistica
Leggevo le settimane scorse di un (rinato) dibattito sulla sopravvivenza del liceo classico. Dibattito motivato dal fatto che pare che le iscrizioni al classico stiano aumentando, e proprio mentre gli allievi si lamentano di quanto siano faticosi lo studio del greco e del latino, e l'opinione pubblica ritenga che non è più tempo di dedicarsi a studi umanistici bensì a una preparazione scientifica. Idea che ha ispirato il governo a tagliare i fondi alle facoltà umanistiche - anche se peraltro non ne dà in misura sufficiente neppure alle facoltà scientifiche.
Ora nessuno più di me ritiene che ci si dovrebbe iscrivere in maggior numero alle facoltà scientifiche, che all'università molti si iscrivono a facoltà umanistiche perché sono aree di parcheggio ritenute più facili, e che bisognerebbe lavorare con incentivazioni generose per far sì che, se mancano laureati - che so - in agraria o in chimica, chi si iscrive a queste facoltà abbia borse di studio, posti in collegi universitari e altri incoraggiamenti.
Ma l'idea che alcuni ragazzi delle medie scelgano il classico, anche se appare più esigente, mi consola. Evidentemente non si tratta di "bamboccioni" ma di una élite di volonterosi (e si può essere élite anche essendo figlio di un nullatenente). Però viene avanzata l'obiezione che il figlio di nullatenente che si iscrive prima al classico e poi a una facoltà umanistica abbia molte probabilità di rimanere un nullatenente di seconda (o decima) generazione.
Qui c'è un errore. Tutti sappiamo che, per dirla in parole povere e con inevitabili anglicismi, il futuro sarà sempre più dominato dal "software" a scapito dello "hardware", ovvero dalla elaborazione di programmi più che dalla produzione di oggetti che ne consentono l'applicazione. Steve Jobs è diventato quel che è diventato non perché ha progettato degli oggetti che si chiamano computer o tavolette (che ormai li costruiscono i paesi del Terzo mondo) ma perché ha ideato programmi innovatori che hanno reso i suoi computer più efficienti e creativi di quelli di Bill Gates, che fa peggio a ogni nuova versione di Windows.
Quindi, anche nel mondo della tecnologia, l'avvenire è di chi sappia ragionare in modo da inventare programmi. E si dà il caso che chi abbia fatto una tesi di logica formale, di filologia classica, di filosofia, abbia allenato una mente più adatta a inventare programmi (che sono materia del tutto mentale) di chi abbia studiato come fabbricante di "ferraglia". Naturalmente conosco laureati in ingegneria che sanno inventare ottimi programmi ma che, appunto e guarda caso, hanno anche un'ottima cultura umanistica, e non di rado hanno studiato bene il loro latino e il loro greco al liceo.
Serve studiare greco per ideare un buon programma per computers? Sì. Perché? Non lo chiedete a una Bustina che dispone di poco spazio. Se non lo avete capito da soli, datevi al contrabbando di droga e vivrete felici e contenti.
C'era una volta un signore che si chiamava Adriano Olivetti, il quale , quando ancora i computers occupavano ciascuno una stanza - e ricordo che i tecnici del primo computer Olivetti, l'Elea, avevano perso giorni o settimane per programmarlo in modo che suonasse la prima strofa del "Ponte sul fiume Kwai" (cosa che adesso può fare anche un bambino), assumeva laureati in materie umanistiche, che magari avevano fatto una tesi (ma una buona rigorosa ricerca) su Aristotele o su Esiodo, poi li mandava a fare gavetta per sei mesi in fabbrica, perché capissero per chi dovevano lavorare, e alla fine ne faceva delle menti altamente produttive per un futuro tecnologico.
Italiani, allora, cercate certo di coltivare un poco di più le materie scientifiche, ma vi invito alle "humanitates": non abbandonate (e non condannate a morte) gli studi umanistici. Il futuro è di chi sappia con mente agile unire quelle che P. C. Snow (che non aveva capito gran che) chiamava le "due culture", ritenendole irrimediabilmente separate.
L'Espresso.it

Nessun commento: