di Claudio Reale C’eravamo tanto amati. “Antimafia duemila” attacca a testa bassa l’ex superconsulente delle Procure Gioacchino Genchi per la sua “nuova vita garantista”, raccontata dal numero di “S” in edicola: il direttore del periodico, Giorgio Bongiovanni, firma un duro editoriale a quattro mani con il suo vice Lorenzo Baldo per contestare la scelta di Genchi, oggi avvocato, di “difendere un personaggio vicino ad ambienti mafiosi come l’ex presidente di Confindustria Caltanissetta, Pietro Di Vincenzo, condannato in I° grado a 10 anni di reclusione per estorsione”. Una “censura”, quella di “Antimafia duemila”, che Genchi aveva citato indirettamente nell’articolo di “S”: “Ho ricevuto critiche da un amico giornalista di un periodico antimafia, che stimo e apprezzo e a cui sono molto affezionato, per la mia scelta di difendere Di Vincenzo”, aveva detto il neo-avvocato ad Andrea Cottone.
Per Bongiovanni e Baldo, però, è una “questione di scelte”. “Ritrovare in un’aula di giustizia un professionista come Genchi, con la sua storia, che tenta di destrutturare il lavoro di un magistrato come Scarpinato, con la sua storia, per cercare di difendere il proprio cliente – si legge nell’editoriale – disorienta pesantemente chi ha conosciuto l’ex consulente delle procure sotto tutt’altra veste. È più che giusto che Gioacchino Genchi si ricrei una posizione professionale dopo quello che ha subito ingiustamente. Ma qui si tratta di scegliere chi si vuole difendere e quale percorso si intende seguire”. Anche perché i due cronisti di Antimafia duemila hanno un ricordo personale: “Abbiamo conosciuto Gioacchino Genchi più di dieci anni fa. Spesso – ricordano Bongiovanni e Baldo – lo incontravamo nel suo ufficio quando ancora era consulente informatico delle procure, quando passava molte ore davanti al computer districandosi tra tabulati telefonici per ricostruire minuziosamente i contatti tra i vari indagati, fossero stati mafiosi o uomini politici locali e nazionali. Della sua storia professionale conoscevamo la sua collaborazione con Falcone e Borsellino, così come il suo lavoro di fine investigatore con il pool Falcone-Borsellino nelle indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio”.
Per un attacco, però, arriva sempre una difesa. A rispondere ad Antimafia duemila, sulle colonne dello stesso giornale, è Fabio Repici, il combattivo legale messinese da sempre al fianco delle parti civili nei processi di mafia: “Criticare pubblicamente un avvocato per la figura o il nome di un suo cliente, converrete con me, è un non sense – scrive Repici – Ovvio: difendere Gioacchino Genchi o difendere anche voi dalle accuse di diffamazione è umanamente e professionalmente più gratificante che difendere Di Vincenzo. La contestazione pubblica sarebbe doverosa nel caso di scorrettezza nell’esercizio della professione, non certo per il fatto di contrastare la posizione processuale di una controparte che in questo caso può essere un pubblico ministero stimato da tutti ma che domani potrebbe essere una toga infedele o semplicemente imbelle come purtroppo alle volte capita”. Di più: secondo Repici, che oltre alle famiglie di Graziella Campagna e Beppe Alfano ha anche difeso Genchi dopo il sequestro del suo archivio, la critica di Antimafia Duemila ha “il solo effetto – so bene, di là dalla vostra volontà e dalle vostre previsioni – di completare il tentativo di isolamento di quell’uomo”. Un’accusa che Baldo e Bongiovanni rispediscono al mittente: “La storia di Genchi – rispondono – non è quella di una persona comune che a un certo punto della propria vita decide di fare l’avvocato dopo aver subito un torto. Gioacchino ha risposto alla gravissima ingiustizia subita con un atto che suona come una vendetta nei confronti dello Stato. È ovvio che Genchi ha tutto il diritto di esercitare la professione di avvocato e non abbiamo il minino dubbio che lo farà con la massima correttezza. Ma la questione riguarda la scelta della persona da difendere a fronte del proprio vissuto professionale. Qui non si tratta di togliere o meno il saluto alla quasi totalità dell’avvocatura e della magistratura italiane per coerenza o senso delle proporzioni. A noi preme difendere i singoli uomini ‘giusti’ che cercano la verità, siano essi all’interno dell’avvocatura o della magistratura”. La polemica è servita.
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