lunedì, dicembre 12, 2011

Ancora sulla signora Riina, ricordando Peppino Impastato e sua Madre

Maria Concetta Riina
di Giovanni Perrino
Sono stato perplesso se esprimermi o meno sulla discussa elezione della Riina negli organi rappresentativi della Scuola Primaria di Corleone temendo che ogni parola rappresenti per certi comportamenti una gratuita pubblicità. Ho seguito con amarezza e stupore l’intera vicenda con il corredo di commenti alcuni dei quali chiaramente ambigui ed elusivi e penso che occorra sgombrare il campo da due equivoci indotti da alcune incaute dichiarazioni del Dirigente scolastico e seguite da altri “commentatori”. Nessuno mette in dubbio la regolarità delle elezioni ma soprattutto nessuno dubita della necessità di garantire a tutti i cittadini della repubblica il diritto all’istruzione e quindi all’inclusione sociale. Rischiano quindi di essere fuorvianti dichiarazioni che usano incautamente tali argomenti perché non si tratta di negare il diritto all’istruzione ed alla formazione dell’uomo e del cittadino previsto dalla Costituzione ma di impedire semmai che genitori titolari di tale dovere verso i figli, lo pieghino ai loro interessi, in questo caso malavitosi. Quindi tutto l’opposto dell’inclusione sociale. La Signora Riina, che mai ha rinnegato l’operato di genitori e fratelli, si trova a far parte di un organismo che ha delle funzioni di indirizzo importanti per l’educazione dei giovani. Sarebbe quindi “legittimo”, prima di interrogarsi sulla “legittimità” dell’elezione, chiedersi se la sua presenza è opportuna e quale tipo di contributo potrà dare una persona che reputa onesta e limpida la vita malavitosa e criminogena nella quale lei stessa fin da piccola è stata coinvolta. Tale episodio, ragione del mio rammarico, conferma il persistere, a quasi 20 anni di distanza, era il 1993, di quella grave ferita creatasi nel tessuto sociale di Corleone con la ricomparsa di Ninetta Bagarella Riina e dei figli.
Si sarebbe potuto sperare in un rientro silenzioso e rispettoso dei lutti e delle macerie di tanta attività criminale ma tale atteggiamento non è certo rientrato nello stile né negli obiettivi dei protagonisti. Tutti, a partire dalle forze dell’ordine, sapevamo che sarebbe stato un problema l’inserimento  in un paese che stava faticosamente voltando pagina e che rendeva già allora “inopportuno” il rientro di tali personaggi. Infatti, mentre la madre Ninetta viveva con apparente fastidio la curiosità dei cronisti, Concetta, la maggiore, in nome dei legami di sangue, rifiutava pubblicamente ogni invito a prendere le distanze dalla mentalità mafiosa e dai delitti di cui si era macchiato il padre, accettava con diligenza la frequenza scolastica ma non disdegnava di farsi eleggere rappresentante nel Consiglio d’Istituto. Già quella pretesa di visibilità, auspicata come normale dalla giovane studentessa, sollevò un vespaio di polemiche non tanto per l’elezione in sé ma perché avveniva nel quadro di un’impavida difesa dei valori che il padre le aveva trasmesso e che, senza una doverosa e pubblica presa di distanza, segnavano una preoccupante collateralità di chi pretendeva di occuparsi della scuola pubblica.
Sorse allora il dubbio che una certa “arroganza” fosse il segno, giustificabile in un’adolescente, di un bisogno di “ inclusione”, di tornare a far parte  finalmente della comunità civile. Tanti tuttavia, compreso chi scrive, espressero pubblicamente dubbi e timori sulla sincerità di tale protagonismo non certo sconosciuto all’etica mafiosa e praticato anche dalle donne di mafia (non si dimentichi che Ninetta era stata negli anni precedenti la latitanza, la prima donna ad essere proposta per il confino). Maria Concetta dalla nascita all’adolescenza era stata esposta a tale mala-educazione che continua ad essere motivo di preoccupazione.






La storia, come avviene, si ripete, e da anni la presenza nel sociale della famiglia di Totò Riina, continua ad essere ingombrante ed a creare problemi. Degli atti delinquenziali continua ad occuparsi la magistratura ma i comportamenti quotidiani rientrano nella sfera della civile convivenza e vanno quindi valutati con attenzione.
Non importa sapere chi sono i 35 che hanno espresso la preferenza, né per quali competenze è stata la Signora ritenuta da essi degna di rappresentare la scuola. Mi rifiuto per altro di pensare che quei voti avessero un valore statistico. Era un diritto della Signora proporre la candidatura ma era anche un dovere dei responsabili farle notare quanto inopportuna essa fosse e chiederle quali contributi aveva intenzione di dare alla vita della scuola. Molti sarebbero stati i modi per prendere le distanze a cominciare dalla presentazione di una lista alternativa.
Mi preoccupano invece, se mai li avesse, i progetti formativi che può avere a cuore la Signora Riina visto che apprezza tanto l’operato del padre, e degli altri figli e parenti e sapere, come intende coniugarli con una scuola che, con l’impegno di tanti maestri, aderisce ad associazioni antimafia e che educa gli scolari ad una cittadinanza nuova e diversa dalla sua. Crede forse ancora che il peso di un nome e una notorietà cercata sui media possa giovare ad acclarare una pretesa cittadinanza svincolata del tutto da precisi doveri riguardo l’obbligo di uno stile di vita e da un sentire diverso da quello per i quali lo Stato ha condannato padre e fratelli e congiunti?
A proposito della“inopportunità”, repetita juvant, mi chiedo come mai non abbia pensato lei stessa che la sua presenza potesse non essere opportuna per lo stesso percorso educativo della figlia e dei suoi stessi compagni? Anche il pudore è segno di onestà e di ravvedimento oltre che di amore materno!
Non entro nelle responsabilità di quei genitori che hanno accettato come normale una tale candidatura nella loro lista e nella scuola. Vorrei chiedere loro se hanno valutato e riflettuto sulle responsabilità dei genitori e sul loro ruolo negli organi gestionali di una scuola. Forse non hanno avuto il tempo per riflettere e capire cosa accadeva e nessuno ha spiegato loro ruolo e funzioni degli organismi di partecipazione democratica nella scuola. Cosa c’entri tutto questo con “la regolarità burocratica” vallo a capire! Temo con pessimismo che a generare il mostro questa volta non sia stato tanto il sonno della ragione quanto la veglia di una ragione malata e residuale, il confuso e maldestro tentativo di intorpidire le acque confondendo il gesto di Peppino Impastato che a 15 anni, educato dalla madre, condannò il padre per i suoi omicidi con quello di una madre che, lontana mille passi da quel gesto, intriga per far passare come normali comportamenti che, in perfetta continuità col passato, sono la pericolosa coltura della mentalità mafiogena.
Giovanni Perrino