giovedì, novembre 10, 2011

Un tram di nome Mario

Mario Monti e Giorgio Napolitano
di Denise Pardo Prudentissimo, da sempre. Molto competente, su questo nessuno ha dubbi. Schivo al punto da imbarazzarsi se lo elogiano. Stimatissimo da un arco che va dal Quirinale all'Economist. Figlio della vecchia borghesia lombarda, è un cattolico liberista, tra De Gasperi e Ugo La Malfa. Ecco l'uomo in pole position per Palazzo Chigi
L'informazione è per gli europignoli: il noto soprannome Super Mario fu coniato per Mario Monti al tempo in cui da Bruxelles controllava con grande cipiglio e polso la Concorrenza. Fu solo in un secondo momento che venne usato anche per il futuro presidente Bce, l'omonimo Draghi.
Tempo di Mario e soprattutto di "super" in Europa per non parlare dell'Italia dove il professor Monti, teorico della cultura della stabilità, apostolo del mercato unico europeo, the man in grey ("Sono démodé" dice di sé) finalmente dopo tanto multicolor, è diventato il super eroe della Repubblica, il riformatore tecnico-politico, il salvatore dell'emergenza, il miglior papa straniero per tutti. O meglio per quasi tutti.
Tanto si disse che sta accadendo. Sono anni che la sua figura si staglia all'orizzonte, indicato, sondato, interpellato per ruoli di gran rango - quello di ministro per almeno due volte, una al posto di Renato Ruggiero, un'altra sulla poltrona di Giulio Tremonti - ma non per quello che interessa a lui: la premiership. C'era arrivato vicino dopo il ribaltone del governo Berlusconi. Il presidente Oscar Luigi Scalfaro per Palazzo Chigi aveva sul tavolo due nomi, il suo e quello di Lamberto Dini. Passò Dini e l'economista volò in Europa da commissario. Qualcuno osserva: quante similitudini con l'instabilità di oggi.
Determinato anche se prudentissimo, Monti ha sempre voluto giocare la partita principale. Ora è il candidato della provvidenza. Per il Colle che certo ne ha massima stima. Per un governo di centrosinistra. E però anche, naturalmente, via libera dal Terzo polo. Ora è arrivata anche la benedizione cattolica.
Anni fa "The Economist", che lo tiene in palmo di mano, ha scritto che Monti è un persuasore. Non è un polemista. In effetti, non ha veri nemici. Ma nessuno è pronto a svenarsi per lui. A fine estate, quando a invocare il suo nome ci si è messo mezzo mondo, Paolo Mieli ci ha scherzato su. E ha detto che se in Italia il potere finisse in mano ai marziani loro non avrebbero altro candidato che super Mario e così sarebbe anche per i venusiani. Battute. Nel momento più alto di disincanto europeo, nel momento più basso di affidabilità politica del Paese, quel che conta davvero è che uno come Monti ha l'Europa dalla sua parte. E nell'ora del possibile baratro e dell'allarme rosso del debito pubblico, il suo nome rappresenta la garanzia di un'Italia credibile, capace di cambiare sul serio registro e politica. Qualunque cosa accada ora - elezioni, governo tecnico o di transizione - è una riserva, senza più dubbio.
Uomo del Nord, nato a Varese 68 anni fa, espressione della buona borghesia lombarda garbata, non allegrona, low profile pur calcando i palcoscenici di quella che viene considerata la Spectre dell'economia e della finanza mondiale (i think tank a porte chiusissime del capitalismo Bilderberg, Trilateral, Aspen oltre naturalmente Goldman Sachs), Monti non è un Richelieu come Draghi. E non suona tutte le corde della seduzione come l'ex governatore. Non è di sinistra. Ma è un cattolico liberista e liberale, a cavallo tra Alcide De Gasperi e Ugo La Malfa.
"Non un santo, ma un saggio", ha detto di lui Marco Follini. Le sue caratteristiche non hanno un gran successo nel nostro Paese: competenza e serietà, coram populo. E un'ambizione esibita: la Banca d'Italia di Carlo Azeglio Ciampi veniva pungolata senza tregua da lui con fondi sul "Corriere della Sera" e su riviste scientifiche, tanto da essere definito il "governatore-ombra" altra carica che non gli sarebbe dispiaciuta. Ma la ricerca di un difetto sostanziale (almeno uno!) è effettivamente magra. Marito affettuoso ("Ha sempre la stessa moglie?" gli chiedono ogni tanto) di Elsa (pezzo grosso della Croce rossa milanese con la passione per i mercatini), due figli, nonno adorabile, gli viene rimproverata al massimo una certa rigidità di carattere. Nelle sue memorie, Jack Welch, mitico boss di General Electric, dopo aver spiegato come in Usa si negozi, o almeno ci si provi, con l'Antitrust, racconta che finito sotto il mirino di Monti per la fusione con Honeywell, gli bastarono pochi minuti per capire che il commissario europeo non si sarebbe mosso di un millimetro dalla sua posizione. Questo, a seconda che lo si veda dal dritto o dal rovescio può essere un pregio oppure no per la politica.
(L’Espresso, 10 novembre 2011)

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