domenica, novembre 06, 2011

Paradosso Italia: solo nel nostro Paese e nei regimi autoritari la diffamazione è punita con il carcere

di Alberto Spampinato
La presenza nei codici italiani di sanzioni penali per la diffamazione “è incompatibile con gli ideali democratici basilari e con le norme internazionali per la libertà di informazione, le quali dicono che la reputazione delle persone deve essere difesa da ogni torto, ma i torti non possono essere compensati mettendo i giornalisti in prigione”. Il severo richiamo arriva da Londra, è indirizzato al Parlamento italiano ed è firmato dalla ong “Article 19”. Ci vuole qualcuno che sta fuori dall’Italia per dire che la legislazione italiana sulla stampa è lesiva della libertà di informazione ed è una delle più retrive del mondo occidentale? Evidentemente sì. Noi ne abbiamo viste tante, non ci sorprendiamo di nulla e ormai abbiamo fatto il callo a tutto. Non osiamo neppure chiedere la revisione della legge sulla diffamazione, che poi è la legge sulla stampa del 1948, che è alla base di moltissime prevaricazioni del diritto di cronaca.
Siamo davvero indietro. Lasciamo stare i paragoni con l’Europa, per carità, perché non c’è proprio partita. Ma le cose non migliorano se ci confrontiamo con alcuni paesi approdati di recente alla democrazia, alcuni Stati che noi italiani siamo abituati a guardare dall’alto in basso: Armenia, Bosnia Erzegovina, Georgia, Moldavia, Montenegro, Ucraina. Ebbene, questi paesi hanno depenalizzato la diffamazione a mezzo stampa e sono più avanti dell’Italia. Hanno seguito la linea giurisprudenziale raccomandata dall’ONU, dall’Unione Europea e da numerosi forum internazionali concordi nel dire che la diffamazione si deve sanzionare come violazione del codice civile; si deve punire con multe e risarcimenti e non con sanzioni penali. Adesso Article 19 ci ricorda che l’Onu e il Consiglio d’Europa ce lo avevano già chiesto e ci spiega, come si fa con gli scolaretti, che i paesi che trattano ancora la diffamazione a mezzo stampa come un reato penale sono paesi primitivi. E aggiunge: quelli poi che addirittura prevedono il carcere per i giornalisti si devono assimilare agli stati autoritari. Perché i regimi assolutistici e antidemocratici si proteggono proprio con questi reati d’opinione e li puniscono con estrema severità proprio per scoraggiare i cittadini a manifestare dissenso e per scoraggiare i giornalisti intenzionati a pubblicare notizie curiose e irriverenti su chi detiene il potere. I paesi democratici, invece, si preoccupano del fenomeno opposto: di non essere troppo duri con i giornalisti che, facendo il loro lavoro di cani da guardia del potere, possono dare qualche morso alla persona sbagliata. Scoraggiare i giornalisti con questi e altri mezzi (ad esempio con le minacce, che abbondano in Italia) significa scoraggiare l’informazione critica, significa indebolire la democrazia.

Quando diciamo queste cose, molti ci guardano infastiditi, come se fossero solo paroloni vuoti. Non lo sono, credetemi. In Italia un giornalista riconosciuto colpevole di diffamazione può essere condannato da uno a sei anni di carcere, e non sono rari i casi in cui il giudice ritiene salutare infliggere queste pene. Article 19 ha preso spunto proprio da una di queste condanne che a Londra appaiono inconcepibili. Dovremmo cambiare questa legge sulla diffamazione che, sia detto en passant, produce altri danni. Fra l’altro apre la strada a risarcimenti in danaro illimitati che rientrano nella stessa ideologia che vuole che in Italia ci sia un giornalismo che sulla carta gode della più ampia libertà, ma nella realtà è debole, ricattabile; che deve pensarci dieci volte prima di pubblicare una notizia o un’inchiesta che fa le pulci a qualche potente. Peggio ancora per chi si serve di fonti riservate, perché il codice penale italiano non riconosce pienamente il diritto alla riservatezza delle fonti. Così vanno le cose nel nostro paese. Non vanno bene per i giornalisti e neppure per i cittadini che leggono i giornali. Per fortuna ogni tanto un messaggio di allarme interrompe la quiete apparente, ma di solito viene cestinato e si continua come prima. Vedremo se sarà riservato lo stesso trattamento anche all’appello di “Article 19” che, conoscendo questo stile, ha detto: se non volete farlo per l’Italia, fatelo per il bene dell’Europa, perché state rovinando l’immagine e la missione dell’Unione Europea.
Narcomafie, ottobre 2011

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