di Alberto Spampinato Ha esagerato con le cattive notizie, mi ha screditato e deve pagarla, dice l’assessore alla sanità della Regione Sicilia Massimo Russo chiedendo una esemplare punizione per la cronista di Palermo Miriam Di Peri, autrice di un articolo sui tanti e gravi problemi del settore di cui l’assessore è responsabile politico. L’episodio conferma che il nostro paese è tollerante, liberale e rispettoso del diritto di cronaca e di espressione, ma solo fino a quando i giornalisti pubblicano notizie positive, notizie che mettono in buona luce gli assessori di turno. A giudicare dalla sua reazione, Massimo Russo non concepisce che un giornalista possa parlare male di lui e del suo operato; che possa riferire dati negativi sul suo assessorato senza aggiungere una dichiarazione in cui si affermi il contrario. Chi scrive articoli come questo, dice Russo, esprime “l’evidente intenzione di gettare discredito, in maniera faziosa, sull’azione riformatrice” del suo assessorato.
Caro assessore, lei ha una idea sbagliata del giornalismo, le sue accuse sono paradossali e infondate e si potrebbero lasciar correre se non fosse che lei ha segnalato formalmente il caso all’Ordine regionale dei Giornalisti accusando la cronista di esercizio abusivo della professione giornalistica, se no fosse che lei intenderebbe mettere fuori gioco la cronista presentando una denuncia formale alla magistratura per questo specifico reato penale.
Caro assessore, rifletta un attimo. Il reato di esercizio abusivo della professione, previsto dall’articolo 348 del Codice Penale, punibile con la reclusione fino a sei mesi di carcere e una multa di 516 euro, è vero, vale per tutte le professioni per le quali è prevista una abilitazione di Stato, dunque anche per i giornalisti, ma è veramente molto raro che sia contestato a un giornalista. Lei sa bene perché: la libertà di cronaca sconfina con la libertà di espressione, e perciò non si sa mai cosa si va a colpire. Di solito si lascia correre, anche perché in molti paesi civili confinanti con l’Italia non è richiesta nessuna abilitazione di Stato e nessuna iscrizione obbligatoria a un albo professionale per scrivere articoli di cronaca o commenti sull’attività politica e amministrativa.
Per tutti questi motivi, applicata a un giornalista questa norma penale somiglia molto a uno di quei reati di opinione residuati dai codici sabaudi e fascisti che l’Italia da anni va cancellando dai suoi codici. Tant’è vero, caro assessore, che perfino lei, essendo un uomo di legge con un’onorata carriera di magistrato antimafia, un po’ si vergogna di aver invocato questo reato. “Mi piace poco”, ha ammesso con pudore quando si è scagliato contro le clamorose proteste sollevate dalla sua iniziativa.
Pensarla così, le fa onore, caro assessore, ma sia coerente, non dovrebbe invocare questo reato. Lei non è più un magistrato. Non c’è niente di simile al reato di vilipendio a proteggere la sua funzione. Lei adesso è un rappresentante politico e risponde agli elettori e all’opinione pubblica. Perciò, in casi come questo, lei ha il dovere di chiarire, rettificare, precisare, smentire. Non cada nella tentazione di punire chi pubblica notizie sgradite. Già troppi uomini politici, troppe personalità pubbliche, troppi rappresentanti delle istituzioni cadono in questa tentazione. E’ un grande problema per l’informazione giornalistica e per il diritto dei cittadini di essere informati. Non ci si metta anche lei. Rinunci a punire l’impertinente cronista che, se lo lasci dire, proprio con la sua impertinenza ha dimostrato di essere una giornalista.
Narcomafie, novembre 2011
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