Sesso né debole, né gentile. Le donne di mafia sono protagoniste dell’impresa mafiosa, coordinano, gestiscono, comandano con spietatezza non inferiore ai loro compagni uomini, mariti e padri, di cui sono vicarie ma non vittime. Subordinate agli uomini per statuto interno mafioso, ma non sottomesse. Escluse dall’affiliazione eppure protagoniste della gestione economica dei business criminali. Uno status in costante ridefinizione che ha vinto la sfida contro l’arcaica e rigida struttura criminale di matrice rurale. Oggi le donne di mafia sono capaci, feroci ed emancipate. Ce lo spiega bene ill numero 67 della rivista di storia e scienze sociali Meridiana, pubblicata dall’istituto Imes. Il volume ha ispirato un seminario organizzato dall’università di Palermo attualmente in svolgimento che si articola in due sessioni: la mattina al dipartimento Mosca, in piazza Bologni, la seconda, dalle 16, alla bottega di Libera, in piazza Castelnuovo. Emancipazione, dicevamo. Ma illusoria. ”Tra carcerazioni e latitanze, è alle donne che viene delegato il potere, confermando la natura adattiva del fenomeno mafioso in contesti di espansione economica turbolenti”, osserva Salvatore Lupo, storico del fenomeno mafioso, docente all’università di Palermo. Alessandra Dino, utilizzando la metafora dello straniero, però corregge il tiro: ”Sono estranee perché non ammesse al vincolo associativo, e straniere in casa propria perché ingabbiate dagli uomini in una diversità che tende a situarle dentro e fuori la mafia”. ”Per anni si è banalizzato il ruolo criminale svolto dalle donne di mafia, ma il loro contributo è molto più complesso – dice Giovanna Fiume, coordinatrice del seminario – con differenze di genere che si declinano nelle distinzioni tra cosa nostra, camorra, sacra corona unita”. ”Sono donne che accettano gli assassini dei figli e dei congiunti – scrive Renate Siebert, dell’università calabrese- congelano le loro emozioni per salvare far coincidere la famiglia parentale e quella criminale”. (m.zol)
Narcomafie.it
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