di Matteo Massi
Di dignitoso, a volte, c’è soltanto il nome con cui li chiamano. Free lance. E letto così sembrerebbe un mestiere avventuroso. Ma di avventuroso nella vita della maggior parte dei free lance italiani c’è solo come arrivare alla fine del mese con quei miseri compensi che vengono elargiti dagli editori. Free lance o collaboratori poco importa la definizione, ma nella sostanza c’è un precariato che è diventato un tema forte anche per l’ordine nazionale dei giornalisti. E’ nata così la due giorni “Giornalisti e giornalismi” che si è tenuta a Firenze nel secondo week-end di ottobre. “Diamo le notizie, ma non facciamo notizia”. In uno degli slogan ripetuti, con una frequenza piuttosto assidua, nel corso della due giorni fiorentina, c’è il quadro di come il giornalismo, almeno in Italia, si sia trasformato e del livello cui è arrivata la divisione del lavoro. Chi sta in strada a cercare le notizie è spesso un collaboratore, sottopagato. Dieci euro a pezzo, in media, quando va bene. Tre, sempre di euro si tratta, quando va male. Ma nelle storie che si accavallano sul palco del teatro Odeon di Firenze ci sono testimonianze che smontano quello che potrebbe sembrare come un’equazione fin troppo facile nella sua sua soluzione: giornalisti uguale casta. “Non siamo una casta”, ci tengono a sottolineare i tanti precari che sono arrivati a Firenze (oltre 400 e diverse migliaia collegati via web), mentre si agitano, brandendo un foglio e raccontando la loro storia personale. LEGGI TUTTO
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