Bernardo Provenzano appena arrestato |
di SALVO PALAZZOLO
Le rivelazioni dell'ultimo pentito di Cosa nostra svelano i retroscena della latitanza del capo di Cosa nostra. Ma anche altro: a Bagheria c'era l'ala dura dell'organizzazione mafiosa, che voleva la morte del pm Nino Di Matteo e dell'onorevole Giuseppe Lumia. Il gruppo di Onofrio Morreale progettava pure l'omicidio di un dentista. Dopo una riunione, Provenzano bloccò tutte le nuove iniziative di sangue. Lo Verso rivela anche le confidenze che gli avrebbe fatto in carcere l'imprenditore Michele Aiello su Totò Cuffaro e la sua fonte romana: "E' un ministro"
Mentre polizia e carabinieri gli davano la caccia, nel 2003, Bernardo Provenzano andava a pregare nella chiesa di Sant'Atanasio, a Ficarazzi. "Lo vedevo che riempiva delle bottigliette d'acqua nel fonte battesimale", rivela Stefano Lo Verso, l'ultimo pentito di Cosa nostra, che da febbraio sta collaborando con i magistrati della Procura di Palermo: "Mi occupai di Provenzano dal gennaio 2003 all'ottobre 2004", ha spiegato. In un lungo verbale, depositato ieri in tribunale, ci sono i retroscena della latitanza del capo di Cosa nostra: "Se ne andava tranquillamente in giro per Bagheria - ha spiegato Lo Verso - abitava nella parte alta del paese, nel rione Lannari, dietro un istituto di suore". Ogni tanto, Lo Verso andava a prenderlo, per accompagnarlo agli appuntamenti con i fedelissimi. Lui, naturalmente, non partecipava. E molte cose le ha apprese dopo il suo arresto. I mafiosi si confidavano con Lo Verso, anche perché dopo la gestione di Provenzano aveva fatto carriera nella famiglia di Ficarazzi. Nel 2007, il boss Giuseppe Di Fiore gli rivelò che un'ala di Cosa nostra aveva discusso di riaprire la stagione delle stragi. Un anno prima, la famiglia di Bagheria aveva già scelto due obiettivi: il sostituto procuratore Nino Di Matteo e il deputato del Pd Giuseppe Lumia, componente della commissione antimafia. A guidare l'ala dura di Cosa nostra era proprio Di Fiore, fedelissimo cassiere di Provenzano: "Fu lui stesso a rivelarmi il progetto - ha messo a verbale Lo Verso - ne parlammo durante un'udienza del processo Grande mandamento. Io gli dicevo che il pm in udienza, Michele Prestipino, era davvero cattivo. Lui mi disse che ce n'erano di più cattivi. Mi parlò di Di Matteo e del progetto di eliminarlo quando sarebbe venuto in villeggiatura a Santa Flavia. Analoga decisione - prosegue Lo Verso - avevano preso per Lumia, che aveva un villino a Mongerbino. Poi, però, non arrivò l'autorizzazione a procedere, così spiegò Di Fiore. Perché c'erano i processi in corso".
Lo Verso ipotizza che fu Provenzano a bloccare le nuove stragi. "A Bagheria, aveva messo pace anche in un'altra occasione - racconta - il gruppo di Onofrio Morreale voleva uccidere il dentista Alfonso Bongiovanni, di Ficarazzi, e pure Di Fiore, che avrebbe dovuto attirare il dentista in un tranello, con una scusa, alla Sicula Marmi". Nel 2003, Bagheria fu sull'orlo di una guerra di mafia, ma Provenzano la sventò con la solita riunione pacificatoria.
Con Lo Verso si sarebbe confidato in carcere anche Michele Aiello, il re mida della sanità privata siciliana, condannato nel processo "Talpe". "Eravamo a Pagliarelli, mi disse: Io non posso parlare, ho paura per i miei figli. Io e Totò siamo stati processati, ma il sardo che informò Totò se la fece franca". Lo Verso prosegue così: "Aiello si riferiva al fatto che il ministro che aveva informato il presidente Cuffaro delle circostanze che poi erano state riferite ad Aiello non è stato neppure processato".
Le parole di Lo Verso si addentrano nei misteri di Provenzano. "Nel settembre 2004, ci informarono che l'appuntamento del giorno dopo, a Ficarazzi, bisognava farlo saltare". E così fallì il blitz della polizia, che era ormai vicinissima al capo di Cosa nostra. Lo Verso non sa da chi arrivò la soffiata. Sa invece quanto gli raccontò Provenzano: "Nell'ottobre '95, si era visto con Luigi Ilardo. Lui sapeva che Ilardo lo stava tradendo. Provenzano mi disse: "Chi si mette contro di me, prima o poi fa una brutta fine". E si riferiva alla fine fatta da Ilardo, che fu ucciso".
La Repubblica, 28 maggio 2011
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