mercoledì, aprile 06, 2011

“Siamo testimoni di una svolta epocale. E non sappiamo come gestirla”

di Alessia Gerardi
Ennesima tragedia la notte scorsa al largo di Lampedusa. Trecento migranti -la gran parte eritrei e somali – sono caduti in mare mentre venivano soccorsi da alcune unità della guardia costiera. Tra le vittime anche donne e bambini. Abbiamo parlato con padre Cosimo Scordato, da anni impegnato proprio sul fronte dell’immigrazione, a Palermo.

Sembra un vero e proprio esodo biblico quello di questi immigrati nordafricani. Secondo lei, dal momento che la ricerca della libertà comporta dei pericoli, quelli che scappano sono in qualche modo degli eroi?
“Non si può parlare di eroismo, certamente sono persone coraggiose che abbandonano la loro terra per un luogo di libertà. Questo coraggio confina con un certo eroismo, ma non dovrebbero affidarsi a persone che speculano sui loro bisogni”.
Vediamo uomini, donne e bambini passare da una condizione di schiavitù a una condizione di disumanità causata dalla nostra “improvvisata” accoglienza . Quali sono, secondo lei, le nostre responsabilità?
“Non possiamo parlare di schiavitù e disumanità se non nella misura in cui ci si deve rendere conto che è entrato in crisi un modello di società gestita da dittatori. In questi Paesi ci sono condizioni critiche di repressione e soppressione che cominciano a travalicare i confini nazionali e ci stiamo ritrovando impreparati di fronte a quello che io ritengo essere un fenomeno epocale. La vera novità è la trasmigrazione di queste persone che vorrebbero incontrare la democrazia ma noi siamo impreparati, stiamo solo tamponando con delle soluzioni a breve scadenza. Dovremmo piuttosto rivedere e riconsiderare se l’Europa è disposta ad aprire i propri confini per governare questi flussi. L’ospitalità dovrebbe considerare la possibilità di integrazione, la creazione di un diritto comune. Ma principalmente io ritengo prioritario aiutare queste nazioni a ‘liberarsi da sé’ per non essere risucchiati dal modello europeo, ma considerando il loro sviluppo senza ingigantire lo spazio di ospitalità”.
Mentre la classe politica e l’opinione pubblica continuano a dividersi qual è la vera posizione della Chiesa nei confronti di questa emergenza?
“Condivido la posizione assunta dalla Conferenza Episcopale Siciliana. Il tipo di accoglienza che l’Italia sta riservando a questi immigrati non è adeguato, è solo un tampone di questa emergenza. Necessitano nuove forme di accoglienza che mirino all’integrazione reale. Le piccole comunità parrocchiali possono in tal senso fare molto, rendendosi più ricettive, non demandando solo allo Stato”. Tra l’intransigenza di alcuni e l’ipocrisia degli altri cosa condanna di più? “Non condanno nulla. Considero quello che sta accadendo nell’ottica di una svolta epocale dove è necessario maturare un senso di cittadinanza esteso all’intero pianeta. Non è più possibile garantire la sicurezza solo dentro i nostri confini. Bisogna aggiungere all’esigenza di auto-conservazione dei nostri paesi l’esigenza di far fronte a queste vere e proprie tragedie. Bisogna dare spazio a queste presenze perché portano un rinnovamento alla nostra società”. I centri di accoglienza non possono essere una soluzione permanente… “Ripeto, è stata data solo una risposta all’emergenza, non eravamo preparati ad affrontare questa migrazione, proprio come accade spesso con i terremoti”.

Come possiamo fermare questa tragedia che si sta consumando sotto i nostri occhi?
“Dobbiamo vivere questa svolta epocale, ponendoci tutti di fronte a questo cambiamento, tutti in qualità di cittadini del mondo, come parte del pianeta-terra, in vista di una nuova fase della nostra umanità. Ciò che dobbiamo comprendere è che bisogna creare condizioni di sviluppo direttamente in quei paesi da dove questi immigrati fuggono, bisogna incrementare le risorse di auto-sviluppo magari a partire dal dirottamento dei nostri sforzi dagli armamenti alle vie dello sviluppo”.
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