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Ina veduta di Napoli |
I Tegano, i Condello e i De Stefano hanno imposto il loro controllo sull'economia del capoluogo dello Stretto. Reggio Calabria è completamente soggiogata dalle cosche di 'ndrina; al punto che non è concepibile azione imprenditoriale al di fuori dei diktat delle tre famiglie che contano di più: i De Stefano, i Condello i Tegano. Quale è la novità, ci si potrebbe chiedere; è che la procura distrettuale antimafia diretta da Giuseppe Pignatone ha azzerato ieri una di queste tre cosche, e ha soprattutto scoperto come queste tre famiglie, dal loro quartiere periferico di “Archi”, avessero conquistato anche il Comune, piazzando i loro uomini nelle municipalizzate, come quel Giuseppe Rechichi che figura secondo le indagini coordinate dai Pm Giuseppe Lombardo, Colamonici e Beatrice Ronchi, come il socio privato al 49% della “Multiservizi” la società mista pubblico privato che gestisce sia i rifiuti in città come le cosiddette “utilities”, l’erogazione dei beni primari come l’acqua. Pronta una nota della società del comune compartecipata dai privati per chiarire come Rechichi, diretta emanazione del clan Tegano, «Non sia proprietario di quote della società», bensì un semplice «dipendente». Un estremo tentativo da parte dei manager comunali di non gettare una luce mafiosa sugli 8 anni di amministrazione dell’ex pupillo di Gianfranco Fini, Giuseppe Scopelliti, che nel suo primo mandato creò le società a gestione mista “Leonia” e “Multiservizi”, guarda caso affidando la gestione in mano ad “Arcoti”, ossia uomini di quei due clan che comandano nella periferia tirrenica del capoluogo dello Stretto. Ma adesso i 26 arresti disposti (cinque tuttora latitanti) dai giudici antimafia hanno azzerato i clan di Gianni Tegano (l’ “uomo di pace” invocato dai suoi familiari lo scorso 26 aprile dopo l'arresto, davanti la Questura reggina), mandando in cella sia i suoi due fratelli Bruno e Giuseppe; come pure il reggente del clan Giorgio “Franco” Benestare, con il fratello Angelo, cognati del capoclan Tegano, ma anche imparentati con i De Stefano, tramite il reggente Orazio, la cui sorella è sposata a uno dei Benestare. Anche ieri, così come per l’arresto dell’uomo di “pace”, centinaia di membri del clan Tegano si erano assiepati fuori dalla Questura per salutare i loro parenti e inveire contro i poliziotti. Alcune donne del clan hanno cercato di non fare portare via in ceppi i loro congiunti, mettendosi di traverso davanti le volanti della Polizia che sgommavano con i fermati a bordo. Il quadro delle alleanze, è ora finalmente chiaro, a 20 anni dalla fine della guerra di Mafia, grazie ai tre pentiti di alto rango degli ultimi mesi: Antonino Lo Giudice, “u nanu”, i cui affari proliferavano nei quartieri di Archi e Santa Caterina all’ombra dei Tegano; Roberto Moio, che del boss Tegano era nipote; e Consolato Villani, un contabile, un “mastro di giornata” del clan; hanno rivelato in questi ultimi mesi chi comandi nel capoluogo, le tre famiglie che fuori da Reggio rispondono solo alla “Mamma” i clan aspro montani di Natile Platì e San Luca come Strangio, Barbaro e Nirta, e sulla Piana di Gioja solo ai Piromalli e ai potentissimi Alvaro di Sinopoli, la famiglia che aveva acquistato a man bassa caffè e ristoranti lungo via Veneto a Roma, come emerse in una operazione del marzo 2009. Erano loro a imporre anche in città come si ripartissero gli appalti: loro che parteciparono alla ristrutturazione del teatro lirico reggino, il “Cilea”; loro che minacciarono più volte di morte l’ex sindaco pidiessino Italo Falcomatà; o che minacciarono anche il presidente della Reggina calcio, Lillo Foti e soprattutto il fratello imprenditore Gianni. Forse, a tal punto che le amministrazioni comunali più recenti hanno deciso di “non avere problemi”, come Berlusconi a suo tempo con Vittorio Mangano, e per quieto vivere di metterseli dentro casa?
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