Dispersi nel mare uomini, donne, bambini che hanno avuto la sventura di nascere in Eritrea, Somalia, terre di violenza. Non saranno più un problema per il Governo italiano. Non si discuterà di come distribuirli tra le regioni, non usufruiranno della protezione internazionale, non dovranno chiedere ed attendere mesi per ottenere lo status di rifugiati. Sono vite senza nome, non saranno nemmeno un numero preciso. Sono partiti secondo la guardia costiera italiana, da Zuwarah, sulla costa libica, con un barcone di 13 metri che si è ribaltato tra le onde. Quei profughi eritrei e somali fino a qualche mese fa venivano respinti grazie agli accordi con il dittatore Gheddafi che ora bombardiamo in una guerra che sta riproducendo altri profughi. E’ molto probabile che quelli del barcone affondato siano stati torturati, poi venduti come merce di scambio tra trafficanti e polizia libica ad uso della minaccia di invasione pronunciata dal dittatore. Di invasioni apocalittiche ancora non se ne vedono, vediamo tanta umanità sofferente proveniente da terre devastate dalle guerre, dagli stenti come quella somala-eritrea. A causa di tali disperate condizioni la fuga non si ferma, solo la morte può farlo definitivamente. Così è accaduto ieri, in mare, di fronte alla Guardia Costiera, in acque SAR di competenza maltese. Sono affogati con il dubbio che si poteva far di più e meglio. E’ inaccettabile. Pensiamo per un attimo se in quel mare ci fosse caduto un nostro affetto. L’immedesimazione è un buon esercizio per curare quel distacco dalla realtà che produce cinismo. Meritavano di vivere in pace, di non dover fuggire, di lavorare, andare a scuola, di poter tornare a sorridere, di non veder spezzati i propri legami. Meritavano soccorso e accoglienza umana. Ora possiamo solo dichiarare il lutto nazionale, dare loro un funerale simbolico portando pane e rose in quel canale di Sicilia che sommerge tanta morte disperata senza nome.
Marisa Nicchi
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