L'arresto di Bernardo Provenzano |
PALERMO - «I periti chiedono esami e terapie ma lo Stato non lo cura». Lo dice al magazine «Sette» del Corriere della Sera , in edicola giovedì in un'intervista a Raffaella Fanelli il figlio maggiore del boss mafioso Bernando Provenzano, Angelo. «Lo sdegno lo sento...., è quello di chi crede che se lo meriti di morire così. Solo e non curato. Perchè è Bernardo Provenzano», dice. Poi aggiunge: «Una cosa è lo Stato di diritto, un’altra la vendetta. Lo Stato deve punire chi non rispetta la legge, ma ha il dovere di rispettare l’essere umano. Un rappresentante delle istituzioni deve garantire l’ordine non proclamare vendette».
Il figlio di «zu Binnu» parla a lungo con «Sette» nello studio dell’avvocato Rosalba Di Gregorio, legale di Provenzano. Il boss corleonese è malato. «Per questo ho presentato nel 2009 un’istanza di scarcerazione, non perché lo vogliamo fuori, sia chiaro, quell’istanza è stata la via per chiedere una perizia medica», precisa l'avvocato Di Gregorio, 58 anni, il legale che difende, con il collega Franco Marasà, Bernardo Provenzano dal giorno dell’arresto del boss, l’11 aprile del 2006. «C’è una perizia che dice che Provenzano sta male, molto male. Come sosteniamo da tempo. Ci sono voluti due anni e l’oncologo ha giurato lo scorso 2 febbraio, fra trenta giorni depositerà la sua relazione».
Provenzano jr commenta: «In Italia, non c’è più chiarezza nei ruoli, quello del carnefice e della vittima si invertono uno sull’altro, si confondono. Perché una cosa è lo Stato di diritto, un’altra la vendetta. Lo Stato deve punire chi non rispetta la legge ma ha il dovere di rispettare l’essere umano. Quando sento in televisione o leggo sui giornali dichiarazioni di vendetta da persone che rappresentano lo Stato noto una pericolosa inversione dei ruoli. Un rappresentante delle istituzioni deve garantire l’ordine non proclamare vendette».
Infine una «rettifica» del profilo del padre, disegnato spesso come quello di una belva. «È dotato di un’integrità morale quasi islamica, ed è paradossale pensando a quello che c’è scritto nelle carte processuali. Io non ho mai visto istigazione alla violenza, anzi tutt’altro. Mi ha sempre detto: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te… Quello che vuoi ricevere dagli altri lo devi fare”.»
Redazione online Corriere del Mezzogiorno
01 marzo 2011
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