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Salvatore Cuffaro |
PALERMO - "La Procura non ha nessun intento ingiustamente persecutorio nei confronti di Cuffaro". Cominciano così le repliche del pm Nino Di Matteo, pubblica accusa al processo per concorso in associazione mafiosa in corso davanti al gup di Palermo Vittorio Anania in cui è imputato l'ex governatore siciliano. L'udienza di oggi è dedicata ai pm che sintetizzeranno le argomentazioni accusatorie a carico dell'imputato per cui hanno chiesto una condanna a 10 anni. Cuffaro, che sconta 7 anni per favoreggiamento alla mafia - il verdetto è diventato definitivo nelle scorse settimane -, ha rinunciato a presenziare all'udienza. "La difesa ci ha dipinto Cuffaro come un ingenuo in balia delle millanterie di questo o quel mafioso, come una persona costretta a subire amicizie che non cercava", ha detto il pm contestando le tesi dei legali dell'ex governatore siciliano. "Cuffaro - ha proseguito il magistrato - non era un involontario recettore di notizie segrete di riservatissime indagini antimafia che divulgava solo per evitare pregiudizi a se stesso". Di Matteo nel suo intervento ha poi preso in esame la carriera politica e le condotte di Cuffaro dal 2001, anno in cui l'imputato si candidò alla presidenza della Regione, sfruttando, secondo l'accusa, l'appoggio elettorale di Cosa nostra. Un aiuto, quello dato dai clan in cambio del quale, poi, l'ex senatore fu "costretto a pagare cambiali a Cosa nostra". Il pm ha poi ricordato le dichiarazioni del pentito Giuffrè che ha parlato di un accordo di tutta Cosa nostra per sostenere elettoralmente Cuffaro. Progetto voluto dal boss Bernardo Provenzano in persona. Rilevanti per l'accusa anche le parole dei pentiti agrigentini come Maurizio Di Gati, che ha raccontato che in Cosa Nostra era notorio l'accordo tra l'ala provenzaniana di Cosa nostra e Cuffaro. La mafia si sarebbe impegnata a votare l'imputato e lui, una volta eletto, avrebbe garantito finanziamenti di progetti, assunzioni. E poi ci sono i documenti consegnati da Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito. Il teste della trattativa, di cui il pm ha ribadito l'attendibilità, ha dato ai magistrati un pizzino dattiloscritto del 2001 del padrino di Corleone, indirizzato a don Vito, in cui si faceva riferimento a un presunto interessamento del "nuovo pres. e del sen.", che secondo l'accusa sarebbero l'allora presidente Cuffaro e il senatore del Pdl Dell'Utri, a un provvedimento di amnistia per detenuti di cui avrebbe potuto beneficiare pure l'ex sindaco mafioso.
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