Uno dei rolex confiscati a Brusca |
di SALVO PALAZZOLO
Ecco i gioielli sottratti ai boss di Cosa nostraNei sotterranei del palazzo di giustizia di Palermo esiste un tesoro di orologi, anelli e collane che la magistratura ha tolto definitivamente a capimafia del calibro di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. Ma l’agenzia per i beni confiscati non sa della loro esistenza.
La fine del corridoio non si intravede neanche. I sotterranei del palazzo di giustizia sono avvolti da una luce debole, un odore forte, e da cento porte messe in fila. Ma solo una apre il caveau dove sono custoditi i gioielli confiscati ai padrini. Quale sia davvero la porta del forziere lo sanno solo pochi fidati funzionari del tribunale. Pochissimi conoscono la combinazione per aprirla. Perché quel piccolo tesoro di orologi, collane e argenterie è un bottino di guerra, la guerra a Cosa nostra, che non è mai finita. E i padrini potrebbero volerseli riprendere i loro gioielli, che furono ossequiosi regali di un complice insospettabile, il prezzo di una tangente, il ringraziamento per una elezione in Parlamento, il pagamento di un pizzo, il ricordo di una memorabile riunione della Cupola o di un omicidio eccellente. Ecco perché quelle collane, gli anelli, gli orologi rinchiusi nel caveau del palazzo di giustizia di Palermo hanno rappresentato, più delle case e dei terreni frutto di reinvestimento e riciclaggio, il simbolo del potere di Cosa nostra. Oggi, dopo i provvedimenti di confisca della magistratura, quei gioielli sono diventati il simbolo di una vittoria importante dello Stato. Eppure, una parte dello Stato non sa neanche dell’esistenza di questo tesoro.
Repubblica l’ha scoperto chiedendo notizie all’agenzia per i beni confiscati dei gioielli sottratti a due mafiosi di rango come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. Così è emerso che i 184 pezzi dell’argenteria Cartier che Bagarella conservava gelosamente nel suo ultimo covo, nel centro di Palermo, dove fu arrestato nel 1995, sono stati dimenticati nel caveau del palazzo di giustizia dal 2003, l'anno in cui è scattato il provvedimento di confisca definitiva. Stessa sorte hanno avuto i cinque costosi orologi che erano della moglie di Bagarella, Vincenzina Marchese: un Audemars Piguet, due Laurens, due Lucien Rochat. Bagarella non ha provato neanche a riaverli, perché quegli orologi sono stati un triste presagio e il segno di un’attesa infinita: Vincenzina, latitante per amore, si impiccò dopo aver saputo che non avrebbe mai potuto procreare un figlio. Il giorno prima aveva urlato al marito: "Dio ci ha voluto punire". Dopo il provvedimento di confisca definitiva, l’allora agenzia del Demanio aveva acquisito il fascicolo della magistratura, ma non fece assolutamente nulla. Avrebbe potuto metterli all’asta quei beni così particolari, oppure affidarli a un’ente o un’associazione, per una mostra sull'antimafia. Non è stato fatto nulla. Adesso, dopo la segnalazione di Repubblica, la nuova agenzia per i beni confiscati, che ha preso il posto dell'agenzia del Demanio, ha scoperto di dover gestire anche questi beni, e sta decidendo il da farsi (...).
La fine del corridoio non si intravede neanche. I sotterranei del palazzo di giustizia sono avvolti da una luce debole, un odore forte, e da cento porte messe in fila. Ma solo una apre il caveau dove sono custoditi i gioielli confiscati ai padrini. Quale sia davvero la porta del forziere lo sanno solo pochi fidati funzionari del tribunale. Pochissimi conoscono la combinazione per aprirla. Perché quel piccolo tesoro di orologi, collane e argenterie è un bottino di guerra, la guerra a Cosa nostra, che non è mai finita. E i padrini potrebbero volerseli riprendere i loro gioielli, che furono ossequiosi regali di un complice insospettabile, il prezzo di una tangente, il ringraziamento per una elezione in Parlamento, il pagamento di un pizzo, il ricordo di una memorabile riunione della Cupola o di un omicidio eccellente. Ecco perché quelle collane, gli anelli, gli orologi rinchiusi nel caveau del palazzo di giustizia di Palermo hanno rappresentato, più delle case e dei terreni frutto di reinvestimento e riciclaggio, il simbolo del potere di Cosa nostra. Oggi, dopo i provvedimenti di confisca della magistratura, quei gioielli sono diventati il simbolo di una vittoria importante dello Stato. Eppure, una parte dello Stato non sa neanche dell’esistenza di questo tesoro.
Repubblica l’ha scoperto chiedendo notizie all’agenzia per i beni confiscati dei gioielli sottratti a due mafiosi di rango come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca. Così è emerso che i 184 pezzi dell’argenteria Cartier che Bagarella conservava gelosamente nel suo ultimo covo, nel centro di Palermo, dove fu arrestato nel 1995, sono stati dimenticati nel caveau del palazzo di giustizia dal 2003, l'anno in cui è scattato il provvedimento di confisca definitiva. Stessa sorte hanno avuto i cinque costosi orologi che erano della moglie di Bagarella, Vincenzina Marchese: un Audemars Piguet, due Laurens, due Lucien Rochat. Bagarella non ha provato neanche a riaverli, perché quegli orologi sono stati un triste presagio e il segno di un’attesa infinita: Vincenzina, latitante per amore, si impiccò dopo aver saputo che non avrebbe mai potuto procreare un figlio. Il giorno prima aveva urlato al marito: "Dio ci ha voluto punire". Dopo il provvedimento di confisca definitiva, l’allora agenzia del Demanio aveva acquisito il fascicolo della magistratura, ma non fece assolutamente nulla. Avrebbe potuto metterli all’asta quei beni così particolari, oppure affidarli a un’ente o un’associazione, per una mostra sull'antimafia. Non è stato fatto nulla. Adesso, dopo la segnalazione di Repubblica, la nuova agenzia per i beni confiscati, che ha preso il posto dell'agenzia del Demanio, ha scoperto di dover gestire anche questi beni, e sta decidendo il da farsi (...).
La Repubblica, 26.1.2011
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