Walter Bonanno
Corleone
Pochi giorni fa “Repubblica” si è nuovamente ricordata del mio paese per via della morte del fratello di Bernardo Provenzano, Simone. L’articolo di Salvo Palazzolo raccontava di un funerale di popolo, di un paese bloccato, di vigili ossequiosi e di saracinesche abbassate. Io sono corleonese e quel funerale ho assistito, pur non essendo in corteo. I vigili facevano il loro lavoro, quello che farebbero per qualunque altro corteo funebre, e noi corleonesi le saracinesche le abbassiamo per il rispetto che si deve a chi muore e magari dietro a quelle saracinesche recitiamo anche i nostri “Eterno riposo” all’anima che lascia la vita. Siamo così, che ci possiamo fare? Buona gente intrisa di sentimenti cattolico che teme Dio più della mafia e che a Dio eleva preghiere di intercessione per quelle vite che la mafia ha portato con sé, uccidendole o ammaliandole. Il che non era il caso del “fratello del boss” o almeno così non sembra. Sono un ragazzo di Corleone Dialogos, ho la tessera di Libera, di Arci e voto Vendola, eppure oggi provo vergogna solo per la tendenza dei giornalisti più illuminati a voler descrivere il mio paese come irredimibile, cattivo dentro, incatenato per sempre alla sua natura omertosa e terribile. La loro Corleone mi fa schifo, la mia l’adoro. Mi chiedo come avrei dovuto comportarmi per non mostrarmi ossequioso e per far sventolare il mio tesserino di comprovata onestà. Strombazzare il clacson al passaggio del feretro? Mettere la Banda Bardò a tutto volume? Dire a voce alta “i Provenzano ci hanno rovinato”? Avrei dovuto, quindi, disonorare la mia terra e la mia cultura che mi hanno insegnato il rispetto per il prossimo che soffre e il timore di Dio? Avrei, quindi, dovuto commettere lo stesso peccato di Bernardo Provenzano che il prossimo lo uccideva e che su Dio spergiurava? Avrei dovuto, per colpa sua, maledire suo fratello? Che delusione capire di essere solo contro un mondo che, passino anni o secoli, continuerà a credere che Corleone è, e resterà per sempre, la fottutissima capitale della mafia.
Pubblicata su "La Repubblica-Palermo" del 17 dicembre 2010
***Pubblicata su "La Repubblica-Palermo" del 17 dicembre 2010
Per fortuna, oggi Corleone non è più la capitale della mafia. Nel nostro articoloo, il segretario della Camera del lavoro Dino Paternostro invitava però tutti i suoi concittadini a vigilare sul “vizio” chje ancora qualcuno mostra di ossequiare troppo facilmente i mafiosi e i loro familiari. La vera questione su cui riflettere è un’altra: come coinvolgere i figli dei capimafia nel percorso di rinascita di Corleone? Non serve chiudere in un ghetto quei giovani (come in troppi vorrebbero fare in nome di certa antimafia), oppure starli a guardare in silenzio mentre portano in giro per la città il peso di cognomi pesanti. (s.p.)
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