Enzo Bearzot e Sandro Pertini |
Un'Italia così - come la vostra e quella di Berlusconi - a dire la verità c'era già stata, in Corea due anni prima del sessantotto. Anche allora, partiti vanagloriosi e pimpanti, fummo sbattuti fuori da una sconosciuta Corea: il giustiziere, quello che ci segnò il gol decisivo, fu un certo Pak Doo It, un odontotecnico che nel tempo libero giocava anche a pallone. Era tempo di politici ladri e di allenatori cialtroni, di operai senza neanche il diritto di andare a cagare al cesso e di Agnelli che mandava i soldi all'estero. Ma poi arrivò il sessantotto.
Dieci anni di (quasi) liberi tutti e, fra l'altro, di grandiosa Italia sui campi del pallone. Il diciannove giugno del '70 - nel pieno di una lotta metalmeccanica - arriva Italia-Germania 4 a 3: Facchetti, Riva, Rivera, il Popolo Italiano. Che altro, dopo Tolstoi e l'Iliade, che altro dopo questo? Dieci anni di palla lunga e pedalare, di azzurri operai e rocciosi che vincono, che perdono, che non si arrendono mai. L'Italia-Frrancia di Prodi, molti anni dopo, non è che un ritorno tardivo di questo Bildungsroman italiano; non solo nel pallone.
E ora? Ora so' cazzi vostri, amici miei. Hai voluto la non-Italia? Pedala. La non-Italia sta nel girone del Paraguay, della Nuova Zelanda e compagnia bella. In Nuova Zelanda, però, non succede che la Nuova Zelanda del Nord se la prenda con la Nuova Zelanda del Sud; e non ci sono più cannibali, e non ci sono mai stati mafiosi.
Riccardo Orioles
Catena di San Libero n. 391 22 dicembre 2010
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