di Rosario Cauchi
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Gioacchino Genchi |
Gioacchino Genchi, funzionario di Polizia e per anni consulente informatico di diversi magistrati in prima fila, da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a Luigi De Magistris, è convinto che “gli attacchi perpetrati nel 1993 ai danni di importanti testimonianze storiche del nostro paese non furono progettati da cosa nostra”. L'ammissione è giunta nel corso di un dibattito organizzato a Rosolini, in provincia di Siracusa, che ha visto la presenza proprio di Genchi. Secondo il funzionario di Polizia, infatti, “i vertici di cosa nostra di quel periodo non avrebbero mai potuto pianificare, solo per fare un esempio, un attacco alla sede dell'Accademia dei Georgofili, per il semplice motivo che non la conoscevano né, tanto meno, erano consapevoli della sua strategicità artistica”. Secondo Genchi, infatti, “la formazione scolastica dei vari Riina e Provenzano è sempre stata pari a zero, come avrebbero potuto conoscere un'istituzione culturale poco nota, fra le altre cose, anche agli stessi investigatori?”. La risposta, stando alle sue parole, non potrebbe essere più immediata, “gli attentati del 1993 furono orchestrati dai servizi segreti, troppo raffinate le pratiche utilizzate in quegli episodi per poter pensare ad una semplice mano mafiosa”. Gioacchino Genchi si spinge ancora oltre, spiegando che “le bombe romane di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro altro non erano che dei veri e propri avvertimenti, lanciati dall'interno dello Stato verso essenziali componenti istituzionali”. “Non è un caso-ha detto Genchi-che proprio nel 1993 Giovanni Spadolini ricoprisse la carica di Presidente del Senato e Giorgio Napolitano quella di Presidente della Camera”. La bomba di San Giorgio in Velabro, stando alla ricostruzione effettuata dal consulente informatico, sarebbe stata una “missiva” spedita a Giorgio Napolitano, uguale il nome di battesimo dell'attuale Presidente della Repubblica rispetto a quello del santo, mentre l'esplosione di San Giovanni in Laterano un avvertimento verso Giovanni Spadolini.
12 settembre 2010
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