di Gianni Parlatore
Avvocato Michele Costa, lei ha più volte criticato il modo in cui è stato costruito e gestito il personaggio Ciancimino. Cosa lo ha condotto a formulare un giudizio così negativo sul figlio di don Vito?
“Onestamente che Massimo Ciancimino venga presentato, anche da una parte dei giornalisti, come una sorta di eroe civile mi pare inaccettabile. Innanzitutto voglio precisare, che da un punto di vista rigorosamente giuridico, Ciancimino è un testimone fasullo. Un testimone credibile e affidabile è esclusivamente colui che dice tutta la verità e nient’altro che la verità. Il testimone che racconta, invece, solo una parte di verità o che omette o falsifica anche una minima parte di racconto, non può essere considerato affidabile. Poi, non capisco un’altra cosa: se Ciancimino, che collaborava con suo padre e che conosceva mafiosi del calibro di Provenzano, con queste dichiarazioni a rate e con questo continua tira e molla rischia di inquinare le prove, perché non viene indagato, in un contesto in cui anche per molto meno, altre persone sono state arrestate o processate?”.
In un suo commento di qualche giorno fa ha anche detto che non accetta il fatto che Massimo Ciancimino pretenda di essere affrancato dalle responsabilità paterne. Perché?
“Sì è così, perché anche se è vero che le responsabilità dei padri non possono ricadere sui figli, è pur vero che Ciancimino jr ha goduto dei benefici dell’eredità paterna. E’ facile dire certe cose solo dopo aver goduto di certi privilegi. Da questo punto di vista, ho ritenuto più coerente la figlia di Riina quando disse che lei amava suo padre. Era una affermazione che non si poteva contestare”.
Che effetto le ha fatto vedere seduti allo stesso tavolo Salvatore Borsellino e Massimo Ciancimino in occasione della presentazione di un libro avvenuta a Palermo qualche tempo fa?
“Ho già criticato quella circostanza e per questo sono stato attaccato. Parto, però, da una considerazione più generale. La mafia, nella storia siciliana e palermitana, ha avuto un andamento ondeggiante: talvolta i salotti buoni della città la ossequiavano, talvolta emergeva da parte della cosiddetta intellighenzia un maggiore “dissociamento”. Ora mi pare che siamo tornati alla fase di riqualificazione della mafia. Mi chiedo se arriveremo perfino a intitolare una strada o una piazza a don Vito Ciancimino. Le faccio un altro esempio: qualche giorno fa alla festa dell’Unità di Bologna è stato invitato Ciancimino. Dieci o venti anni fa si invitavano i figli delle vittime, ora invece quelle dei carnefici. E questo mi fa davvero imbufalire, mi fa dire che non mi riconosco davvero in questa città e in questo Stato”.
Ciancimino intanto continua a partecipare a convegni, dibattiti, show televisivi. C’è il rischio che un testimone potenzialmente chiave per ricostruire i periodi più tormentati e oscuri della storia siciliana si trasformi in un divo, in un evento mediatico?
“Senza dubbio. Già questo sospetto, di un’immagine altamente mediatica costruita ad hoc, fu lanciato da un noto studioso come Klaus Davì qualche tempo fa. In tutta questa vicenda è, infatti, importante il ruolo svolto dai giornalisti. Ho letto quanto scritto da Felice Cavallaro secondo cui Ciancimino ha mandato a quel paese Riina e Provenzano. Mi permetto di aggiungere solo una piccola postilla: Ciancimino ha fatto questo solo dopo che i due boss mafiosi erano in carcere, e dopo tanti anni dalla morte del padre che frequentava questi elementi. Capisco Francesco La Licata che col suo libro ha realizzato uno scoop giornalistico, però quando si parla di morti, dello sfacelo di un intero Paese occorre molta prudenza e attenzione. Non voglio arrivare al punto di dover dire ai miei figli che in questa nazione, per essere ricordati e apprezzati, conviene essere un delinquente piuttosto che un fedele servitore dello Stato che ha sacrificato la propria vita per questo scopo.”
Diversi magistrati della procura di Palermo hanno ritenuto credibile il racconto di Ciancimino jr. Lei che idea si è fatto?
“La mia idea è che ci sono tanti fatti non chiari, cose che non tornano. Faccio un esempio. Ciancimino ha detto che Giusto Sciacchitano, ex sostituto procuratore aggiunto e dal 1993 alla Direzione nazionale antima era il garante degli interessi della sua famiglia presso la procura di Palermo. Perché questa vicenda non è stata indagata a dovere? Ciancimino ha anche tirato in ballo la memoria scritta da Falcone prima di morire. Che ci spieghi tutto quello che sa, ma davvero tutto questa volta. E’ ora di smetterla di scherzare con queste cose, facendo strale della verità e dei morti di mafia, non lasciando riposare in pace neppure chi non c’è più per aver provato a combattere Cosa nostra”.
venerdì 25 giugno 2010
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