domenica, maggio 16, 2010

Il nuovo libro di Enrico Bellavia: Così i superboss della mafia "scelsero" Napoli

di Giovanni Marino
L´incontro fra Corleonesi e camorristi cambiò le regole: dai duelli agli agguati plateali. L´affiliazione di Bardellino, considerato "un giovane d´azione, che si dava molto da fare".
Quando la mafia colonizzò Napoli. Ne fece una irrinunciabile filiale di affari e delitti. Trasformò camorristi emergenti in "uomini d´onore". Condivise grandi progetti criminali. E, inedito assoluto, mise in piedi con i napoletani un eclatante agguato per eliminare un uomo dello Stato. Racconta questo e molto altro il pentito di Cosa nostra Francesco Di Carlo, ex padrino della Cupola. Misteri antichi e nuovi raccolti dal giornalista di "Repubblica" Enrico Bellavia in 375 pagine che si leggono con l´intensità di un legal-thriller. "Un uomo d´onore" attraversa la lunga saga nera della mafia siciliana. Molte pagine sono dedicate al rapporto tra Cosa nostra e camorra. Di Carlo, l´ex boss che ha risposto ai giudici anche su Andreotti, Berlusconi, Dell´Utri, fa capire con queste parole quale sia stata l´incidenza di Cosa nostra nel dna della camorra: «L´incontro tra i Corleonesi e i napoletani ha cambiato profondamente le regole della criminalità da quelle parti. Era come una peste. Nacquero mille problemi tra gli uomini d´onore. E la violenza aumentò. La storia criminale di Napoli era una storia fatta di duelli. L´avversario veniva intimidito: se si usavano le armi, si mirava alle gambe. Siamo noi ad avere esportato l´agguato plateale e il sistema della lupara bianca». Sono davvero tanti i retroscena del rapporto mafioso Palermo-Napoli e il pentito mostra di conoscerli nelle pieghe più nascoste. Ecco come descrive l´affiliazione a Cosa nostra di Antonio Bardellino, considerato l´antesignano della cosca dei Casalesi: «Un giorno arrivai a Marano di sera e mi dissero che in un furgone c´erano due che avevano strangolato (....) mi dissero che avevano anche intenzione di "combinare" chi glieli aveva portati (...) l´indomani feci da padrino ad Antonio Bardellino (...) gli spiegai le regole e lui divenne "compariello"(...) era un giovane di azione e aveva una famiglia che si dava molto da fare (...) un nome conosciutissimo nel Casertano». Luciano Liggio, Totò Riina, Bernardo Provenzano e lo stesso Francesco Di Carlo erano di casa tra Napoli e Marano, impegnati a «disciplinare il contrabbando», ospiti dei Nuvoletta, con Zaza, tra i più vicini al gotha di Cosa nostra. Al punto da essere coinvolti nel tentativo di omicidio del questore Angelo Mangano. Il pentito svela come andò. Anni Settanta, Mangano dà la caccia a Liggio, nel frattempo riparato in Campania, che decide di assassinarlo a Roma. Il raid in via Tor Tre Teste a Roma, nell´aprile 1973. Liggio agisce con Michele Zaza, Angelo Nuvoletta e Ciro Mazzarella. Ma non tutto va liscio: si inceppa la pistola di Nuvoletta, si perde tempo, Zaza, alla guida, è costretto a scendere per fare fuoco. Mangano e il suo autista restano gravemente feriti, ma si salvano. Liggio ha un diavolo per capello, «l´esitazione di Nuvoletta lo fa molto arrabbiare». Storie di mafia. Raccontate da chi le ha vissute in prima persona: Di Carlo, che vide un´ala della camorra sposare rituali, strategie e crudeltà della mafia siciliana.
Napoli, 12.05.2010 (da repubblica.it)

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