giovedì, marzo 04, 2010
I mafiosi dal carcere: "Non c'entriamo con la morte di Fragalà"
PALERMO - "Con l'uccisione dell'avvocato Fragalà noi non c'entriamo". È questa la "voce" raccolta in carcere dai difensori di alcuni boss detenuti. L'indiscrezione confermerebbe che la selvaggia aggressione al penalista, massacrato a colpi di spranga davanti al suo studio, non avrebbe una matrice mafiosa. Un concetto ribadito ieri in aula, sia pure indirettamente, dal boss Gaetano Fidanzati, processato insieme ad altre cinque persone per l'omicidio del genero, Giovanni Bucaro, ucciso a bastonate in una strada di Palermo. "Per ammazzarlo avrei avuto altri modi", si è difeso il padrino. Un modo per sostenere che la mafia non uccide a colpi di spranga. Solo una volta, in passato, Cosa Nostra si è "dissociata" pubblicamente da un omicidio: nel corso del maxiprocesso Giovanni Bontade, fratello del boss Stefano, affermò che i detenuti stigmatizzavano l'uccisione del piccolo Claudio Domino. Oggi intanto i carabinieri del Ris eseguiranno gli esami di laboratorio sugli abiti, sui caschi e sul bastone di legno sequestrati all'unico indagato per l'omicidio, un ex cliente del penalista che aveva lamentato lo scarso impegno del suo difensore e una parcella giudicata esosa.
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