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Panettone artigianale |
di Agostino Spataro
Sicuramente, non vi sarà sfuggita la strana notizia di un fatto accaduto, nei giorni scorsi, all’uscita di un magazzino di Catania, dove un bonario “Babbo Natale” prima offre a un uomo una caramella e poi l’arresta. Strana, ma non troppo poiché il donatore altro non era che un carabiniere travestito. Un espediente intelligente che, oltre a rendere giustizia ai militari dell’Arma di certe ingenerose ironie, ha assicurato alla legge un estorsore che aveva appena ritirato la mesata del “pizzo” ossia 260 euro che il titolare del negozio pagava al clan di pertinenza fin dai tempi della lira. Allora erano 500 mila lire ora sono 260 euro, una somma quasi equivalente al valore ufficiale attribuito all’euro (1.936 lire). Se non si trattasse di un’estorsione, si potrebbe parlare di un cambio, tutto sommato, onesto. A differenza delle associazioni dei commercianti che, in combutta col governo dell’epoca, hanno attribuito all’euro il valore arbitrario di 1.000 lire, scombussolando i bilanci delle famiglie italiane. In un’altra tasca, l’esattore aveva duecento euro incassati dal titolare del bar di fronte dal quale- nota il cronista- aveva preteso anche, come extra natalizio, un “panettone artigianale”, per il cenone in famiglia. Non si era accontentato di uno industriale, come negli anni precedenti. Famiglia, panettone, caramelle, babbo natale, regali e luminarie. Ma che bel quadretto! Par di trovarci dalle parti della Quinta Avenue o dei magazzini Lafayette. Purtroppo, siamo a Catania, in questa Sicilia, alla vigilia di un nuovo Capodanno, che il pizzo e il favoritismo rendono sempre più povera e indolente. Ma non desidero addentrarmi in questi meandri, solo soffermarmi sulle virtù magnifiche del panettone artigianale che parrebbe svolgere un’intrigante funzione di scambio. Ovviamente, preciso che non tutti gli acquirenti e/o i donatori di un panettone artigianale sono sospettabili di chissà quali misfatti. No. Il problema si pone solo per una ristretta fascia di acquirenti che li destinano a persone che magari si sono inaspettatamente attivati o hanno chiuso gli occhi su una pratica che a occhi aperti non poteva passare. Il panettone, dunque, per disobbligarsi di un piccolo favore ricevuto. Piccolo, poiché se è grande il panettone non basta. Dolci o bustarelle il problema è che, qui, spesso, il diritto dovuto viene percepito e amministrato come un favore elargito. Così gira la ruota del favoritismo, in Sicilia e altrove. Ieri arrivava il “panareddru” ricolmo di tanto ben di Dio oggi arriva il panettone fragrante, farcito di pistacchi e canditi di rare delizie siciliane.
Per carità, nulla di scandaloso, un’inezia in un mare di sprechi. Solo una lieve forma di malcostume che, in compenso, ha contribuito ad accrescere la produzione e le vendite di questo dolce prelibato e costoso, anche in questi anni di crisi. Chiedo lumi a un amico pasticciere il quale si abbandona a un elogio del panettone artigianale. “A differenza di quelli industriali, i nostri panettoni sono pezzi unici. Altro che artigianale, “artistico” lo dovrebbero chiamare. Guarda che “sgrignatura” (1), che fragranza! In certe giornate, è più richiesto di quello industriale”. E’una produzione di nicchia, quasi di lusso, i prezzi oscillano fra i venti e i quaranta euro. A ben pensarci, un giorno di lavoro di un edile a nero o due di un bracciante immigrato clandestino. Eppure- rileva il bravo pasticciere- molti acquistano per sfizio o per “bisogno”. La prima ragione mi è chiara e si spiega con la crescita esponenziale della categoria degli “sfiziosi” ossia dei nuovi ricchi che produce la crisi, la seconda un po’ meno. L’originalità di questa nostra società dell’esclusione è connotata da una bizzarra aritmetica in cui ricchi e poveri crescono insieme. Più esattamente, la crescita dei primi induce la crescita dei secondi. Con buona pace dei praticanti del liberismo rapace e dei loro teorici benedicenti. Tutto cresce: la ricchezza (di pochi) e la povertà (di molti), le rendite e la disoccupazione, il consumismo e la precarietà dei giovani. Insomma, una vera giungla delle disuguaglianze, degli arricchimenti veloci, spesso illeciti, - se n’è accorta anche la Banca d’Italia - nella quale fiorisce l’italica arte d’arrangiarsi che rischia d’oscurare quelle, nobili, del Rinascimento. Ma, veniamo al secondo motivo: oltre allo sfizio, per quale altro “bisogno” si compra un panettone artigianale? Il nostro amico si è fatto un’idea che mi pare ben piantata nella realtà. Taluni ne comprano anche in quantità e all’assegno accludono una lista di consegna e i classici biglietti d’auguri. Basta leggere l’elenco per svelare il senso del bisogno: assessori, capi di gabinetto, dirigenti d’uffici oberati di richieste, intercessori di cortesie e via via scendendo nella graduatoria dei “venditori d'influenze” come gli spagnoli chiamano gli operatori del favoritismo. Insomma, ditelo con i dolci. In Sicilia, c’è anche un linguaggio dei dolci, delle nostre prelibatezze pasticciere (dal cannolo al panettone) che sembrano affermarsi come nuovi simboli dello scambio all’interno del cielo più basso delle relazioni sociali e interpersonali. Buon panettone a tutti.
Agostino Spataro
30 dicembre 2010
(1) la “sgrignatura” (in italiano scarpatura) sarebbe “il sorriso” del panettone o del pane provocato da un’incisione sulla cupola.