domenica, novembre 22, 2009
Nel Sud d’Italia sono cinque le cooperative modello che lavorano sui terreni confiscati alle mafie
È grazie alla legge 109 del '96, quella di iniziativa popolare che prevede l’utilizzo dei beni confiscati per fini sociali, che sono nate realtà come quella delle 5 cooperative “Libera Terra”, che oggi operano in Puglia, Sicilia e Calabria. Ci lavorano il 30% di soggetti svantaggiati, i nomi delle cooperative, in alcuni casi, ricordano le vittime della malavita. Come la «Placido Rizzotto», il sindacalista di Corleone ucciso dalla mafia nel 1948, o la «Pio La Torre», dirigente del PCI massacrato nell’82. Le 5 cooperative sociali hanno un capitale sociale di 279.301 euro, un patrimonio netto di quasi 1 milione 400 mila euro ed un fatturato che supera i tre milioni e mezzo di euto. Ci lavorano 103 persone. Ed altre decine di operai stagionali. Ma esse hanno un valore che va ben oltre il capitale sociale e il fatturato, che pure sono importanti. Costituiscono la dimostrazione visibile e concreta che è possibile togliere alle mafie i beni da esse acquisiti illecitamente. Che è possibile da questi beni creare lavoro onesto e prodotti “puliti”. Che è possibile anche nelle terre di mafia coniugare legalità e sviluppo. Si tratta ancora di piccoli esempi, di testimonianze, ma possono diventare davvero contagiosi, coinvolgendo in un processo virtuoso tante altre aziende di persone oneste. In questo modo l’economia siciliana, calabra, pugliese e campana potrà cambiare segno, potrà diventare strumento di crescita sociale e civile per tutte le popolazioni. Ma bisogna scongiurare che diventi definitiva la norma che consentirebbe di venderli. Altrimenti, non ci vuole molto ad immaginare che, nell’arco di qualche anno, oltre ai nuovi beni confiscati, anche i terreni e gli immobili già assegnati alle cooperative sociali potrebbero tornare alle mafie.
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