La brillante operazione della squadra mobile di Palermo, coordinata dalla Procura del capoluogo siciliano, che ha portato all’arresto del boss Domenico Raccuglia, oltre a dare un duro colpo alla mafia, ha messo in luce il forte sentimento antimafioso della società civile. In particolare quello dei ragazzi che a Calatafimi e a Palermo hanno festeggiato la cattura del numero due di Cosa nostra. Un fatto apparentemente "ovvio", "normale", ma fino a poco tempo fa impensabile. La cortina di paura, assuefazione e indifferenza rispetto al fenomeno mafioso è stata spezzata. E i primi a ribellarsi sono proprio i giovani, nati durante il periodo stragista e cresciuti negli anni della protesta civile, tra progetti di educazione alla legalità nelle scuole, manifestazioni antimafia, cortei di commemorazione. Questa realtà si aggiunge alle associazioni antiracket, a quelle del volontariato impegnato nei quartieri a rischio, alle associazioni di categoria che si oppongono al pizzo, alle cooperative che gestiscono i beni confiscati, alle parrocchie che operano nei luoghi di frontiera. È l’antimafia sociale, che ha preso coscienza e che si ribella al potere di condizionamento esercitato dalle mafie nell’economia, nella politica e nella vita sociale dei territori. Prende finalmente forma quel movimento di cui parlavano Falcone e Borsellino, i due magistrati che per molti rappresentano non solo degli eroi da ammirare da lontano, ma modelli positivi a cui guardare con ammirazione e da cui trarre insegnamenti di vita da vivere giorno per giorno. Quella di due giorni fa, quindi, non è solo una vittoria repressiva delle istituzioni. E' soprattutto un successo culturale che dà speranza nella lotta alla mafia, perché la libertà, la giustizia, la solidarietà, il rispetto delle regole, il bene comune sono valori irrinunciabili di cui nessuno può fare a meno per una vita sana, piena e significativa.
Giuseppe Lumia
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