di Gianluca Floridia
Attraverso una inedita investigazione dei delitti Tumino e Spampinato, lo storico Carlo Ruta, con "Segreto di mafia", illumina gli scenari in ombra dell’est siciliano nei primi anni settanta, quando Catania costituiva, per numeri, la capitale del neofascismo italiano e l’isola tutta una sponda strategica del regime greco dei colonnelli.
È il caso di delineare anzitutto lo sfondo. Cosa rappresentava l’est siciliano negli ultimi anni sessanta e all’imbocco del decennio successivo?
Negli anni sessanta Catania veniva chiamata la Milano del sud. Siracusa e Ragusa venivano reputate le province più amene dell’isola. L’intera fascia ionica, da Messina agli Iblei, veniva considerata, per tradizione, priva di fenomeni mafiosi. In realtà, relativamente a quel decennio, la situazione era ben complessa. Dopo la chiusura del porto franco di Tangeri, nel 1960, la mafia siciliana aveva sottratto ai marsigliesi il predominio internazionale del contrabbando dei tabacchi lavorati. Malgrado i deficit di radicamento, aveva quindi dovuto rendere l’est della Sicilia un territorio pienamente operativo, per due ragioni: la maggiore vicinanza dalle nuove sedi di deposito, localizzate di massima lungo le coste iugoslave, albanesi e greche; la buona reputazione di cui godeva l’area, che rendeva le coste maggiormente permeabili, ai fini degli sbarchi. LEGGI TUTTO
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