di Antonio Gramsci
Si osserva da alcuni con compiacimento, da altri con sfiducia e pessimismo, che il popolo italiano è «individualista»: alcuni dicono «dannosamente», altri «fortunatamente». Questo «individualismo», per essere valutato esattamente, dovrebbe essere analizzato, poiché esistono forme diverse di «individualismo», più progressive, meno progressive, corrispondenti a diversi tipi di civiltà e di vita culturale. Individualismo arretrato, corrispondente a una forma di «apoliticismo» che corrisponde oggi all’antico «anazionalismo»: si diceva una volta «Venga Francia, venga Spagna, purché se magna», come oggi si è indifferenti alla vita statale, alla vita politica dei partiti. Ma questo «individualismo» è proprio tale? Non partecipare attivamente alla vita collettiva, cioè alla vita statale (e ciò significa solo non partecipare a questa vita attraverso l’adesione ai partiti politici «regolari») significa forse non essere «partigiani», non appartenere a nessun gruppo costituito? Significa lo «splendido isolamento» del singolo individuo, che conta solo su se stesso per creare la sua vita economica e morale? Niente affatto. Significa che al partito politico e al sindacato economico «moderni», come cioè sono stati elaborati dallo sviluppo delle forze produttive più progressive, si «preferiscono» forme organizzative di altro tipo, e precisamente del tipo «malavita», quindi le cricche, le camorre, le mafie, sia popolari, sia legate alle classi alte.
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