A distanza di 25 e di 16 anni, il dovere della memoria non cede all’oblio. Ci sono luoghi in cui essere cittadini onesti significa sacrificare tutto e chi possiede una penna per esercitare la propria onestà, forse rischia di più. La Sicilia è tra questi luoghi meravigliosi e al contempo maledetti. Sono stati troppi i suoi intellettuali fermati dalla ferocia di Cosa Nostra. Ricordiamo due momenti di questa mattanza che comincia il 5 gennaio 1984 quando a Catania cinque proiettili calibro 7.65 raggiungono fatalmente la nuca dello scrittore giornalista Giuseppe Fava, considerato il primo intellettuale ucciso da Cosa Nostra. Una mattanza che prosegue poi l’8 gennaio 1993 con l’assassinio di Beppe Alfano, raggiunto da tre proiettili calibro 22. Una coraggiosa lotta alla mafia. Nessuna verità definitiva. Una famiglia che difende la memoria. L’indifferenza, a volte degenerata anche in infamia, che batte sempre sul tempo la giustizia e punisce doppiamente le vittime ancora prima che i tribunali condannino i responsabili. La storia purtroppo si ripete. Sono trascorsi sedici anni da quella sera dell’otto gennaio 1993, quando via Marconi di Barcellona Pozzo di Gotto, cittadina di quarantamila abitanti nella provincia di Messina, diventa teatro di morte. Quando nella sua Renault 9, il professore con la passione per il giornalismo, Beppe Alfano, corrispondente per il quotidiano catanese La Sicilia che neanche si costituirà parte civile nel processo, è freddato da tre colpi di pistola. LEGGI TUTTO
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