di Mario Pintagro
Spira un vento gelido fra le colline e le valli del disastro. Ogni tanto, qualche macchina si avvicina al luogo delle rovine. C´è chi scende dall´auto, passeggia per quello che una volta era il corso e ora è solo un accenno di strada divorato da incuria ed erbe infestanti. C´è chi cammina fra alberi di ailanto e cespugli di artemisia e si ferma a guardare ciò che rimane della madrice, dei palazzi baronali, delle case.Quelle Case umili e fragili travolte dal terremoto del 1968. È un copione che si ripete identico in tutti i paesi del Belìce. A Santa Ninfa, in via Roma, ci sono due portali a tutto sesto di un palazzo padronale ancora in piedi. Tutto intorno i muri sono crollati. L´area è recintata da una lamiera ed è contigua alle nuove case. A Gibellina vecchia il nuovo paese non si vede nemmeno. Bisogna andare al di là di una cresta di colline, in pianura, per vedere l´utopia possibile immaginata e realizzata negli anni Settanta da urbanisti e architetti di vaglia con il mecenatismo di Ludovico Corrao. LEGGI TUTTO
FOTO: rovine di Poggioreale
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